CULTURA
Nelle acque inquiete di Minotto il colore scompare con l'umanità
Sono quadri spessi, di un olio denso e pastoso, piani su cui strati di olio incarnano figure umane, oggetti e paesaggi, esito di un lavoro ostinato del pittore che ritorna sui propri movimenti e li perfeziona, ancora e ancora, producendo una matericità prorompente, via di fuga dalla bidimensionalità della tela. È questo il lavoro per cui è conosciuto l’artista Raffaele Minotto. Eppure in questi giorni, alle pareti del salone della Gran Guardia a Padova, alcune sue opere parlano un linguaggio differente: in esse si riconosce distintamente la voce dell’artista, ma lo spessore del colore sparisce, lasciando il posto al segno, al disegno, ai pigmenti, alla grafite, rivoluzionando una tecnica espressiva ormai consolidata. Racconta Minotto “Due anni fa Stefano Annibaletto, che sarebbe divenuto il curatore di questa mostra, vide una mia acquaforte che rappresentava dei bagnanti: mi ha proposto di approfondire il tema, in cui, diceva, aveva visto un richiamo forte ai bagni misteriosi di De Chirico. Mi ha incoraggiato a insistere sul disegno nudo, non coperto dalla pittura. Più tardi mi sono lanciato all’avventura: è da quattro mesi che lavoro a questo progetto, ideato e realizzato appositamente per questo spazio”. Acque misteriose rivela un Minotto sorprendente e inedito, in parte anticipato dalle sue incisioni, prodotti però non centrali della sua attività artistica, eppure mai abbandonate: vi conserva il suo amore per il disegno finalmente disvelato, segno che nel quotidiano s’asserve alla pittura che le si sovrappone. E nelle grandi carte alla Gran Guardia diventa protagonista di immagini vaste e profonde, acque che inghiottono le figure umane, trascinate dalla corrente. “L’acqua, con la sua rifrazione che distorce, è un tema ricorrente nel mio lavoro. L’ho indagata nel ciclo Bagnanti e ne ho fatto una ricerca che mi è divenuta cara” ricorda l’artista, che con le opere oggi in mostra abbandona la confidenza benigna delle figure riflesse nelle pozzanghere e nei fiumi di una campagna familiare, per sperimentare nuove inquiete declinazioni del tema.
Lo fa in un paio di fogli neri di carbone che scava nella carta estraendone correnti aggrovigliate; mischia strumenti e tecniche nelle altre tredici grandi carte che assorbono la grafite e si coprono di polveri brune impastate d’acrilici, con un blu reso trasparente da abbondante trementina. E segni fitti e involuti, che sciolgono le figure umane, tramutandole in ombre; presenze appena illuminate da pennellate di schiuma bianca, da gocce di colore simili a piccole luci chiare che escono dal nero, dal marrone, dai toni scuri e cupi di un fluido inospitale. Sono i colori ai quali Minotto rimane fedele, una cifra che ritorna nella sua produzione, in questi fogli liberata dalle imposizioni del mercato e dei galleristi “Sono stati mesi in cui ho ritrovato una gioia nuova nel lavorare, finalmente libero di sperimentare. Ho potuto trovare nuovi moduli espressivi e recuperare il gusto del segno, creare qualcosa di nuovo” confida l’artista. Nascono così corpi che si ergono centrali e padroni in un paio di opere, per poi mischiarsi negli altri fogli con l’acqua e trascinare nei flutti la propria ombra, diventando ombra essi stessi, e trasformandosi in liquida impressione. In una stanza di carte, disegni, ombre e colori, l’inquieta ricerca di Minotto mostra i suoi nuovi esiti. Del tutto all’altezza della qualità mostrata fino ad oggi.
Chiara Mezzalira