SCIENZA E RICERCA

Oceani, un blu sempre più acido

Pessime notizie sulle condizioni di salute dei mari arrivano dalla pubblicazione del rapporto biennale da parte dell’agenzia internazionale sullo stato degli oceani (IPSO), disponibile sul sito dell’associazione e sulla rivista scientifica Marine Pollution Bulletin

Secondo gli esperti, gli oceani hanno raggiunto il loro più alto livello di acidità delle acque degli ultimi 300 milioni di anni e si trovano ad un punto di non ritorno. La causa principale è l’attività industriale umana, ovverosia l’eccesso di emissioni di anidride carbonica dovute all’utilizzo dei combustibili fossili. Il rapporto dell’Ipso non lascia molte speranze: sostiene che l’ecosistema marino sia definitivamente compromesso nei suoi equilibri biologici attuali, che gli organismi acquatici in queste condizioni siano sottoposti a un’intollerabile, inedita pressione evolutiva e che la loro estinzione di massa sia già cominciata. 

L’acidificazione degli oceani procede a livelli insostenibili e la salute dei mari è peggiorata più velocemente di quanto i precedenti rapporti prevedessero. In particolar modo è il ruolo degli oceani nell’equilibrio terrestre a essere gravemente compromesso. Per un lungo periodo, infatti, i mari sono stati capaci di assorbire oltre un terzo dell’anidride carbonica prodotta dall’uomo e questo ha per decenni sensibilmente limitato la visibilità degli effetti del cambiamento climatico. Assorbendo in modo così significativo il calore e le emissioni di anidride carbonica, gli oceani hanno quindi protetto l’uomo dalle conseguenze più immediate del global warming. Ora però la loro capacità di assorbimento è giunta a saturazione, e con essa la funzione di “scudo” che hanno esercitato. Se non ci sarà la capacità di mutare queste condizioni, la sorte di gran parte delle specie marine appare irrimediabilmente segnata. 

Secondo il rapporto dell’Ipso gli attuali livelli di anidride carbonica nei mari sono di dieci volte superiori a quelli immediatamente precedenti all’ultima estinzione di massa, avvenuta nel Paleocene-Eocene, circa 55 milioni di anni fa. In questo momento, l’elevata acidità delle acque sta mettendo a repentaglio la formazione dei coralli e dei gusci di molte specie marine, indebolendone e dissolvendone le strutture, prevalentemente composte da carbonato di calcio. E i coralli così come le numerosissime specie dotate di guscio sono fondamentali per la vita di molte specie marine. Inoltre, in molti mari, l’aumento della temperatura delle acque sta portando alla sparizione di alcune specie di alghe e allo spropositato aumento di altre, alterando quindi l'equilibrio naturale. Secondo il rapporto, le conseguenze dell’acidificazione sono già nettamente visibili in alcune aree del pianeta, come la costa occidentale statunitense, dove sempre più spesso vengono pescate ostriche non sufficientemente sviluppate e rimaste allo stato larvale. 

A monte del problema sta la scarsa consapevolezza della rilevanza della questione da parte della politica e dell’opinione pubblica. Quasi solo gli addetti ai lavori conoscono l’importanza delle condizioni degli oceani nell’equilibrio ambientale globale. Per citare solo due dati, pochi sanno che il plancton marino produce il 40% dell’ossigeno presente nell'atmosfera e che il 90% di tutte le specie animali e vegetali si trova in acqua. Ma è in mare, prima che sulla terra, il vero pericolo del global warming, ed è qui che si misurano in tutta la loro portata le conseguenze dell'eccesso di anidride carbonica prodotta dalle attività umane.

Le attuali politiche di riduzione delle emissioni sono del tutto inadeguate, specie perché i risultati effettivi sulla salute dei mari si vedono a distanza di anni. Questo significa che ulteriore acidificazione e riscaldamento saranno comunque inevitabili anche se le emissioni venissero ridotte drasticamente dall’oggi al domani. E nemmeno il contingente ed estremamente grave problema della sovra-pesca, largamente eccedente i livelli di sostenibilità, pare essere preso molto sul serio. In molti paesi, i pesci più consumati sono ormai considerati a rischio di estinzione. Ma ciò nonostante tra interessi contrapposti e veti incrociati appare tutt'ora molto difficile il raggiungimento di accordi internazionali sulle regole di pesca e sulla tutela dei mari.

Marco Morini

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