
Foto di Massimo Pistore
Oggi è il 22 marzo, cioè quella che globalmente è ritenuta essere la giornata mondiale dell’acqua. Lo è dal 1992 quando fu istituita dalle Nazioni Unite alla conferenza di Rio de Janeiro. Ma di acqua, dovremmo occuparcene tutti i giorni. Lo scriveva Ugo Leone sul nostro giornale: “In un pianeta, la Terra, che è costituita di acqua per il 70 per cento della superficie e abitato da 7,8 miliardi di persone (ora abbiamo superato gli 8 miliardi ndr) il cui corpo è per altrettanti tre quarti costituito di acqua, la sete corre il rischio di diventare una pandemia”.
E quindi questo è uno dei tanti buoni motivi per cui di acqua bisognerebbe parlarne. Bisogna parlarne perché la crisi idrica non colpisce solamente zone a noi lontane, come ad esempio in Iraq o in Uruguay, ma è ben presente anche da noi. Sappiamo che, “miliardi di persone vivono ancora senza acqua e servizi igienici gestiti in modo sicuro”. E proprio l’obiettivo di sviluppo sostenibile (SDG) 6 vuole garantire la disponibilità e la gestione sostenibile di acqua e servizi igienici per tutti entro il 2030. Il raggiungimento dell'SDG 6 è parte integrante del successo dell'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, che mira a porre fine alla povertà estrema e a proteggere il pianeta. Ma il nostro paese a che punto è? Abbiamo cercato di capirlo con un'inchiesta internazionale sullo stato delle nostre acque. Under the surface ha affrontato la crisi idrica del Po, lo stato di salute dei bacini idrici sotterranei europei e le responsabilità generali, chiedendo “chi ci rimette se non c'è acqua, o se ce n'è troppa?”. Ma partendo dalla crisi idrica del 2023, vissuta qui in Italia ma già dimenticata, all’ora avevamo provato a capire quanti e quali sono gli invasi nel nostro Paese.
“ Garantire a tutti la disponibilità e la gestione sostenibile dell’acqua e delle strutture igienico-sanitarie Obiettivo sei dell'Agenda 2030
Il problema però è che non è importante sapere solo quanta acqua abbiamo, ma come la gestiamo e soprattutto se questa è inquinata o no. “Credo che nel nostro paese manchi ancora un’educazione civica incentrata sul risparmio dell’acqua”, osservava solo un anno fa Andrea Rinaldo, il premio Nobel dell’acqua -. Si tratta decisamente di un problema culturale: tendiamo a dare per scontate le risorse collettive”. Risorse collettive che purtroppo troppo spesso vengono inquinate. Un caso lampante è quello dei PFAS e del Veneto occidentale, dove oltre 350 mila persone sono state esposte ad acque contaminate da sostanze invisibili, inodori e insapori. La storia non è nuova, è cominciata tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, ma solo negli ultimi anni si è arrivati a definire i contorni del disastro e delle sue conseguenze. Sappiamo che queste sostanze sono state trovate anche nel sangue dei parlamentari europei, e probabilmente anche nel nostro. Proprio su questo tema Elisabetta Tola e Marco Boscolo, grazie a un’inchiesta internazionale, hanno cercato di capire quali sono i costi di questo inquinamento.

Veneto meridionale con evidenziati i livelli di esposizione sanitaria rispetto ai PFAS nelle acque (Legambiente Vicenza)
Siamo partiti dal locale per cercare però di allargare ancora lo sguardo, osservando la fotografia a una risoluzione ancora più alta. Tutte gli esperti e le esperte che abbiamo sentito a Il Bo Live e, più in generale, nel Forever Lobbying Project, sottolineano che la questione PFAS va affrontata su un piano sistemico. A questo livello entra in gioco la volontà o meno di vietare la produzione e l’uso dei PFAS di cui si discute nell’Unione Europea. L’inchiesta cross-border Forever Lobbying Project è stata coordinata da Le Monde e ha coinvolto oltre 46 giornalisti e 29 media partners provenienti da 16 paesi, a dimostrazione che il problema è comune.
Un’ulteriore conferma di ciò è il fatto che i PFAS sono presenti anche nell’acqua potabile che arriva a più di 20 milioni di statunitensi, negli uccelli migratori dell’Australia, in Danimarca fino alle Isole Faroe e non solo.
I ghiacciai: protagonisti della Giornata mondiale dell'acqua 2025
Dai PFAS non si salvano nemmeno i ghiacciai, la cui conservazione è il tema della giornata dell’acqua 2025.
"Il ghiacciaio è un termometro, è una sentinella dei cambiamenti climatici in corso perché restituisce in maniera rapida e chiara le variazioni climatiche a livello locale, ma è anche un patrimonio culturale e una risorsa idrica importante - ci raccontava Mauro Varotto, docente di geografia all’università di Padova -. È un segnale d'allarme e quello che noi dobbiamo capire e far capire è che non è tanto la conservazione del ghiacciaio stesso l'obiettivo, ma che quel ghiacciaio deve insegnarci una lezione che va molto lontano".
Proprio ai ghiacciai, alla loro importanza ed alla loro conservazione abbiamo dedicato una puntata della nostra serie intitolata “Dolomiti”, in cui abbiamo voluto raccontarle, da quattro punti di vista diversi: foreste, ghiacciai, torrenti e il racconto della montagna.
Siamo saliti fino al ghiacciaio della Marmolada per raccontarlo e documentare il suo stato di salute. Sappiamo che non è buono e che esiste un Manifesto per un’altra Marmolada: quando il ghiacciaio non ci sarà più, che mette nero su bianco le problematiche. Ma purtroppo sappiamo anche gli altri, a livello globale, stanno fondendo a un ritmo senza precedenti, con una perdita annua di circa 300 miliardi di tonnellate di acqua.
Ma di acqua, ça va sans dire, sono composte anche le zone umide. Ed è proprio sulle wetlands, cioè quelle zone che includono saline, lagune, delta, laghi artificiali, stagni, paludi, foreste di mangrovie, oasi, risaie, bacini acquiferi e così via, che Il Bo Live si è concentrato in una serie dal titolo Wasted Wetlands. Ma perché farlo? Perché le wetlands, pur occupando ben meno del 10% del totale delle terre emerse giocano un ruolo ecologico ed ecosistemico fondamentale. Perché sono degli efficaci carbon sink, e cioè contribuiscono in modo sostanzioso, soprattutto rispetto alla loro ridotta superficie, ad assorbire i gas climalteranti e in particolare la CO2. Perché sono zone di eccezionale biodiversità, luoghi di nidificazione e rifugio di molte specie migratorie. Perché fanno da cuscinetto nei confronti dell’innalzamento delle acque salate dei mari, proteggendo così i bacini idrici di acqua dolce. E sono una barriera contro l’erosione delle coste. Contribuiscono a rinnovare fertilità e vitalità dei suoli. E sono un fantastico strumento di contrasto alle inondazioni e agli eventi meteorologici estremi e improvvisi.
Insomma di acqua siamo fatti, noi e la Terra stessa. Il nostro pianeta visto dallo spazio è di colore blu proprio a causa dell’acqua che ricopre il 70 % della superficie terrestre e di acqua dobbiamo occuparcene con cura. Noi de Il Bo Live cerchiamo e cercheremo di tenere alta l’attenzione su questa tematica, tutti i giorni, non solo il 22 marzo.