SCIENZA E RICERCA

Perché schizofrenia e disturbi cognitivi sono parenti

È stato individuato un nuovo gene coinvolto in patologie come schizofrenia e disturbi cognitivi: il TOP3B. A parlarne uno studio recentemente pubblicato su Nature Neuroscience, che consente di dare risposta a questioni ancora insolute sullo sviluppo delle due malattie e suggerisce una visione integrata dei fattori alla base della malattia mentale (genetica, ambiente ed esperienza).

L’indagine è stata condotta su una popolazione che vive isolata nel nord-est della Finlandia, dove l’incidenza della schizofrenia è tre volte superiore rispetto al resto della popolazione e che ha dunque consentito di maturare evidenze statistiche generalmente precluse per la rarità della maggior parte delle varianti genetiche.

Gli studiosi si sono concentrati innanzitutto su quali fossero le cancellazioni genetiche, cioè i pezzi di Dna che venivano persi da un cromosoma, più frequenti nel gruppo preso in esame (173 individui) rispetto al resto della popolazione che costituiva il gruppo di controllo (1586). È stato osservato che il cromosoma interessato era il 22q11.22, con una frequenza di 18 casi tra i primi e uno tra i secondi. I ricercatori hanno inoltre dimostrato una relazione tra la cancellazione di questo cromosoma e l’aumento nella frequenza dei casi di schizofrenia e deficit cognitivi, individuando in questo modo un fattore di rischio per le due tipologie di malattia associate da una comune base genetica. 

Ulteriori indagini hanno rivelato che la regione cancellata normalmente contiene un gene, il TOP3B, che codifica l’enzima TOP3β detto topoisomerasi, fondamentale nella replicazione del Dna. Tale enzima è in grado di “rompere” temporaneamente i filamenti del Dna per consentire la trascrizione genetica durante la quale una parte del Dna è copiata in Rna. In particolare i ricercatori hanno scoperto che il TOP3β agisce sul metabolismo del Rna messaggero e interagisce anche con una proteina conosciuta come Fmrp, la cui disattivazione o interruzione è responsabile della malattia di X fragile, legata a forme di autismo e difficoltà di apprendimento. Tutto questo ha effetti sul fenotipo, cioè sullo sviluppo e sul comportamento della persona.

“Lo studio – sottolinea lo psichiatra Vittorino Andreoli – costituisce un passo avanti per due ordini di ragioni. Da un lato suggerisce l’esistenza di una continuità, di un filo rosso che lega disturbi cognitivi e schizofrenia, dall’altro propone una genetica di tipo fenotipico che permette di unire biologia ed esperienza”. 

Quando si parla di disturbi cognitivi e schizofrenia, spiega, ci si riferisce solitamente a due patologie distinte: la prima si presenta nell’infanzia e nell’adolescenza ed è caratterizzata da disturbi dell’attenzione, del linguaggio, della comprensione; la seconda viene diagnosticata a partire dai 18-19 anni e la persona manifesta allucinazioni, difficoltà di linguaggio, incapacità di comunicare, disaffezione. Fino ad ora ci si è chiesti se i disturbi cognitivi potessero essere all’origine della schizofrenia, ma in molti hanno risposto negativamente. Questo studio, invece, individua una base genetica comune e associa le due patologie in una sorta di sviluppo: la funzione del gene TOP3B è messa in relazione a un processo patologico più che a un disturbo dato. “Cio significa – conclude Andreoli – che ora esiste una spiegazione genetica a sostegno di un’ipotesi che finora non aveva ancora avuto risposta: i disturbi cognitivi possono portare alla schizofrenia”.

È ormai risaputo inoltre che il comportamento e i suoi disturbi sono dovuti a tre fattori: ragioni di ordine genetico, che interessano la struttura della persona, il suo “hardware”; l’ambiente in cui agisce e le relazioni che costruisce; le esperienze vissute in passato soprattutto durante l’infanzia. Al punto che Gregory Bateson, ad esempio, nella seconda metà del Novecento secondo la teoria del double bind parla di madri schizofrenogene che con il loro atteggiamento (chiedono al figlio di abbracciarlo, ma si irrigidiscono quando questi tenta di farlo), possono causare l’insorgere della schizofrenia nei figli. Questi tre elementi solitamente si ritengono slegati, mentre in realtà non lo sono e l’obiettivo dev’essere proprio quello di trovare un linguaggio comune. 

Lo studio in questione fa un passo avanti proprio in questa direzione poiché sebbene il focus sia sul primo dei tre fattori, la genetica, prende in esame in realtà uno sviluppo, un processo, non una alterazione. Esamina ciò che avviene nel fenotipo, cioè nel “software” (Rna messaggero), che entra in relazione con l’ambiente e con l’esperienza. “La ricerca in questo modo propone un linguaggio chimico compatibile con le osservazioni cliniche e suggerisce un terreno comune su cui agiscono genetica, ambiente ed esperienza. Avvicina due mondi, quello della genetica e delle psicologie, che sono sempre stati molto distanti”. 

Monica Panetto

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