SOCIETÀ
Prove di fine del mondo
Incendi in Italia, in Spagna, nel sud della Francia e le previsioni non sono affatto buone. La siccità perdurerà, o addirittura si aggraverà, di qui a ottobre, provocando un aumento enorme dei prezzi alimentari. Si tratta della peggiore siccità che abbia colpito gli Stati Uniti da mezzo secolo e gli Stati Uniti producono il 40% del mais, il 40% della soia e il 20% del frumento a livello mondiale. Nel 2008, fenomeni climatici più limitati di quelli che stiamo vivendo produssero rivolte per il cibo in tutta l’Africa e fecero da apripista per le primavere arabe del 2011 in Egitto e Tunisia.
Tempeste di sabbia in Arizona, mancanza d'acqua, terre arse ovunque. E provvedimenti d'emergenza da parte del governo: Obama ha stanziato 170 milioni di dollari per acquistare prodotti alimentari da destinare ai soccorsi più immediati. Ma la crisi, tra la siccità del Nord-America e dell'Europa e le piogge alluvionali asiatiche, è globale. Si lavora a un vertice G20 straordinario, sull'aumento del prezzo del grano e delle altre materie prime di base mentre la speculazione internazionale ha già anticipato sui mercato gli effetti dell'emergenza ambientale sui prezzi. Depressione economica e crisi alimentare così si intrecciano. Richiamando un immaginario ricorrente nella storia degli Stati Uniti, e nelle pagine dei loro grandi narratori del '900.
Alberto Arbasino (in America Amore) la chiama Faulknerlandia: è l’ostico paese dell’immaginario collettivo letterario dell’epopea del Mississippi. E aria calda e nuvole di terra riarsa aleggiano abbondantemente in gran parte della letteratura americana del secolo scorso dentro storie dove drought, siccità, e famine, carestia, vanno a braccetto come l’Omino di latta e lo Spaventapasseri sul sentiero di mattoni gialli. Prendiamo proprio Lyman Frank Baum: il primo volume della serie del Mago di Oz uscito nell’aprile del 1900, come evidenziato nella lettura allegorico- populista che ne danno tra gli altri H. M. Littenfield (The Wizard of Oz: Parable on Populism) e H. Rockoff (The ‘Wizard of Oz’ as a Monetary Allegory), prende le mosse dalla crisi economica e agricola che sul finire del diciannovesimo secolo aveva colpito gli Stati Uniti e in particolare il Kansas, flagellato da una terribile siccità che avrebbe portato i farmers a rivendicare il potere di libero conio dell’argento per aumentare la circolazione di contanti, risollevare l’agricoltura in ginocchio e dare nuova prosperità alla vita disseccata e incolore degli abitanti delle praterie.
Zia Em e Zio Henry, contadini e tutori legali della Dorothy protagonista della saga, avevano perso la brillantezza dello sguardo per lasciare posto a un “sober grey”: grigi fin nelle guance e le labbra, perfettamente uniformati al paesaggio; “not a tree nor a house broke the broad sweep of flat country that reached the edge of the sky in all directions…the sun had baked the ploughed land into a grey mass”. Una landa dove persino l’erba è grigia né più né meno come tutto il resto, come le case da cui piogge antiche hanno lavato via anima e vernici sgargianti.
I colori del paesaggio, o meglio, la loro mancanza, occupano gli incipit e excipit di molte trame americane sulle soglie della Grande Depressione e in mezzo a disastri climatici. Ecco il Faulkner di Santuario (1929):
“Era stata una giornata grigia, un'estate grigia, un'annata grigia…e nella triste oscurità dei castagni il secco schioccare delle palle e le grida occasionali dei bambini avevano un che di autunnale, di coraggioso ed evanescente e desolato. Da dietro la rotonda con la sua spuria balaustra greca, rappresa di movimento, pervasa da una luce grigia dello stesso colore e della stessa tessitura dell'acqua che la fontana si divertiva a far ricadere nella vasca…”. Grigiume, desolazione, persino nei simulacri della pioggia.
Dieci anni dopo, Steinbeck, in Furore:
“Nella regione rossa e in parte della regione grigia dell’Oklahoma, le ultime piogge erano state benigne.. la terra si coprì d’una sottile crosta dura che impallidiva man mano che il cielo impallidiva e risultava rosa nella regione rossa, bianca nella grigia”. Grigia anche in questo caso la pioggia quando si decide a cadere sotto forma di bisbetici temporali rotti da pause per poi assumere ritmi di caduta costanti, implacabili e plumbei. Perché gli agenti atmosferici sono impietosi, come il Dio sconosciuto di Steinbeck, quando si rivolgono a chi ha già i suoi problemi: dunque se piove diluvia e la terra diventa nera, al massimo della vita, quando beve tutta l’acqua che può riuscire a contenere (sempre in Al Dio sconosciuto). Di contro la siccità e la carestia possono raggiungere un grado di tale violenza che le divinità americane sembrano reclamare vittime da immolare per far cessare il disastro, come neanche l’Apollo delfico: e il protagonista di Steinbeck, Joseph, nel suo misticismo pagano, arriva a sacrificare se stesso.
La descrizione steinbeckiana delle foglie di granturco che perdono giorno dopo giorno la loro baldanza e durezza e piegano il capo su campi sempre più screpolati e attraversati da fenditure che si moltiplicano somigliano drammaticamente alle foto che, in questo 2012, corredano gli aggiornamenti del sito dello IATP (Institute of Agricolture and Trade Policy http://www.iatp.org).
La Luce d’agosto di Faulkner è lontana 76 anni terrestri, ma in questa estate del nostro e loro scontento, oltre la metà delle contee della nazione nordamericana sono state dichiarate zone colpite da calamità naturale a causa di una siccità che così imponente non si conosceva da cinquant’anni. La sete nei campi si traduce nell’innalzamento vertiginoso del costo di grano e soia: l'indice prezzi alimentari della Fao ha registrato aumenti nell’ordine del 6% a livello globale, mentre alla borsa di Chicago le quotazioni si impennano: più 23% il mais, più 36% il grano, più 33% la soia. Ne conseguono flessione dell'export mondiale e crisi alimentare planetaria: motivo per cui il G20 prova a correre ai ripari, preparando – si dice – un vertice d'emergenza del Rapid Response Forum. Prove da fine del mondo? Sicuramente disastri da cambiamento climatico. Non prenderemo al volo palle da baseball nella segale, forse mangeremo brioche come surrogato del pane, ma qualcosa di sinistro “this way comes”, come diceva Bradbury. Saranno i serpentoni di Rambaldi nelle Dune, nella più apocalittica delle ipotesi, o magari “solo” crisi psicologiche da riscaldamento globale (così sostengono gli specialisti dell’American Psychologist Special Issue). A dimostrare che “l'uomo è la somma delle sue esperienze climatiche” (Faulkner, L'urlo e il furore).
Silvia Veroli