SCIENZA E RICERCA

Quando la fantascienza diventa scienza

“Tutto quello che si può immaginare esiste”, pare abbia detto una volta Picasso. La citazione, che rimbalza, nuda e enigmatica, di sito in sito, potrebbe servire da exergo a una notizia recentissima e, a prima vista, sconvolgente: un consorzio europeo di scienziati italiani, israeliani e tedeschi, coordinato da Stefano Vassanelli, neurofisiologo al dipartimento di Scienze biomediche dell’Università di Padova, ha comunicato ufficialmente di avere messo a punto un microchip di silicio impiantabile nel cervello, in grado di stabilire una comunicazione bi-direzionale e ad alta risoluzione con i neuroni cerebrali.

Perché, però, sorprendersi? Non avevamo forse già visto sette o otto anni fa un microchip conficcato –  con esiti invero tutt'altro che rassicuranti – nel cervello dell'aspirante vicepresidente americano Raymond Shaw/Liev Schreiber nel film di Jonathan Demme, The Manchurian Candidate? Certo, qui non ci sono misteriosi esperimenti condotti in Kuwait da una multinazionale pronta a tutto pur di estendere il suo potere, e neppure (per fortuna) la voce suadente e letale di Eleanor Shaw/Meryl Streep, madre-burattinaia dello sventurato uomo politico. Ma l'idea del microchip era già lì, pronta a trasformarsi – come insegnava il profetico padre del cubismo – in qualcosa di immediato e tangibile.

Bene fa allora Vassanelli a definire con precisione gli obiettivi della ricerca: “Il microchip – ha spiegato infatti il neurofisiologo – può essere utile per la ricerca di base, dal momento che,  garantendo, oltre alla stimolazione, anche la lettura del feedback, della risposta del neurone allo stimolo, aiuterà a comprendere come funziona il cervello”. E soprattutto, “nel campo medico, il microchip permetterà di migliorare la terapia per esempio dei malati di Parkinson, rendendo la stimolazione del paziente più adeguata, soprattutto grazie alla risposta e alla reazione neuronale che siamo in grado di registrare”.

Eppure un brivido resta, quando sentiamo lo studioso proseguire che “poi negli anni, ma parliamo di fantascienza, si potrà pensare di utilizzare i chip sui pazienti affetti da lesioni cerebrali o spinali”, che “l'idea di proseguire in questa direzione c'è”, anche se “prima di pensare a neuroprotesi interattive si dovrà innanzitutto capire meglio come funzionano il cervello e i suoi neuroni”.

Già, fantascienza, dice Vassanelli, quasi a scongiurare pericoli imminenti. Ma – Picasso docet – il futuro è qui. Esce a giorni una nuova versione cinematografica di Total Recall, remake dell'omonimo film di Paul Verhoeven del '90, a sua volta basato su un racconto di Philip Dick incentrato sulla manipolazione chimica dei ricordi. Fantascienza? Non tanto, visto che sono in corso negli Usa esperimenti simili sui veterani di guerra in Iraq. E se qualcuno teme che pratiche del genere si possano generalizzare, beh, forse non ha tutti i torti. Poco più di un secolo fa, quando gli studi sull'anestesia erano agli albori, l'idea di poter ottundere le esperienze sensoriali di un individuo incontrò non poche resistenze. Non resta insomma che accogliere, nel modo più consapevole possibile, quello che il futuro ci riserva. Con tanti auguri agli studi di Vassanelli e dei suoi colleghi.

 

Maria Teresa Carbone

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