SCIENZA E RICERCA

Seicento anni di arte e medicina

A Padova, nella sala al pianterreno di Palazzo Zuckermann, grandi tele pregiate e bassorilievi scoloriti dal tempo, sculture sacre e celebrative, oggetti di e per il culto si mischiano con spessi volumi antichi, mappe, vasi ceramici per la pratica della farmacia, enormi siringhe e piccoli gioielli di vetro, mappe, documenti e modellini. È un bignami d’arte e di medicina, di storia dell’ospedale padovano e della città che lo ospita; un racconto composito di persone, oggetti, edifici e istituzioni che affonda le proprie radici nel Medioevo e che trovò una prima compiuta realizzazione nell’ospedale San Francesco Grande nei primi decenni del Quattrocento. È un patrimonio artistico, archivistico, monumentale, librario che per la prima volta viene censito, catalogato e recuperato grazie al lavoro di archivisti, docenti, ricercatori, studenti dell’Università di Padova e degli ospedali padovani. E che ora viene esposto, almeno in parte, nella mostra La salute e la fede, aperta gratuitamente al pubblico fino al 20 luglio. “Ci siamo accorti che molte opere di rilievo non erano mai state catalogate – spiega Alessandra Pattanaro, docente del dipartimento di beni culturali dell’università di Padova - e questo comportava parecchi rischi, anche quello di possibili furti. Si è deciso di studiare e schedare gli oggetti, e una parte del lavoro è stato affidata, come esercizio, anche a specializzandi e studenti di laurea magistrale. La ricognizione del corpus ha richiesto uno sforzo aggiuntivo, perché i singoli oggetti erano divisi in più sedi o affidati ai Musei civici, e inoltre con il tempo alcune sedi ospedaliere si erano aggregate”. Padova ha infatti una lunga tradizione di assistenza e cura, prima nell’ospedale quattrocentesco per passare poi, nel Settecento, al Giustinianeo, e ampliare successivamente i propri spazi nel Policlinico e nel Monoblocco, nel complesso socio-sanitario ai Colli, nel presidio ospedaliero di Sant’Antonio, nell’Istituto oncologico veneto e nel presidio di Piove di Sacco.

Nonostante il lavoro di ricerca si sia concentrato su di un patrimonio ospedaliero, la mostra parla anche di fede  oltre che di salute. Chiarisce Pattanaro: “Molte delle opere esposte sono di carattere devozionale, a sottolineare il forte legame intercorso nei secoli scorsi fra la cura del corpo e quella dello spirito. I moderni ospedali, infatti, affondano le loro radici in contesti di carità organizzata”. Nei secoli scorsi l’assistenza era in gran parte affidata a religiosi e volontari; l’istituzione delle strutture, il loro mantenimento e tutto ciò che di materiale serviva alle cure era dovuto a benefattori e donatori. Chi veniva ospitato o curato in genere affidava i propri beni in lascito all’ospedale, o a questo faceva doni: da qui l’origine dei patrimoni ospedalieri che nel tempo sono andati in gran parte dispersi. Senza contare che tradizionalmente nella “macchina per guarire”, come la definisce la  ricercatrice Giovanna Baldissin Molli, è innestato un edificio religioso, una cappella per la preghiera e il conforto, com’è oggi Santa Maria ad Nives. È da lì che proviene un piccolo altarolo – reliquiario senza pretesa artistica ma di fondamentale importanza per intuire il nesso fra fede e malattia: il volto dolce di una Madonna circondato da reliquie di santi, particole, Agnus Dei, in un montaggio che forse ha richiesto generazioni di raccolta, a partire dal Seicento. Dalla Chiesa della Carità, vicino al primo ospedale, proviene l’enorme Madonna col bambino, san Francesco, santa Caterina e devoti, la pala più antica (1419), ora conservata negli uffici dell’azienda ospedaliera. A partire dal 1872, una parte di opere d’arte e di oggetti eterogenei venne affidata alla custodia dei Musei civici padovani. Fra quelli, una serie di collanine, anelli e orecchini memorie di donne sole, offerte votive; capelli intrecciati mischiati a perle rosse di vetro in ricordo di bambini, piccoli sofferenti.

Per riunire le carte, gli oggetti e le opere d’arte, la ricerca che sta alla base della mostra La salute e la fede ha dovuto necessariamente iniziare negli archivi. La curatrice, Maria Cristina Zanardi è perentoria: “Vorrei ribadire con forza la necessità di partire dalla ricerca archivistica, spesso trascurata nella preparazione di un evento perché comporta tempi lunghi e non dà sempre risultati eclatanti: tuttavia è questa  la base per approfondire un argomento”. Perché ricerca non significa necessariamente scoperta. Ma incessante e testardo studio dei materiali, delle teorie, delle storie; è pratica che può farsi racconto, come in questo caso.

Chiara Mezzalira

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