SOCIETÀ
Stati Uniti: la ricerca prima vittima della paralisi
Cartelli, divieti di ingresso e strade sbarrate: i monumenti simbolo, i parchi e anche i settori della ricerca sono chiusi a causa del mancato accordo fiscale tra democratici e repubblicani. Foto: Reuters/Jason Reed
L’impasse politica che ha portato, il primo ottobre, allo shutdown, la chiusura di parte delle funzioni svolte dal governo di Washington, è entrata nella seconda settimana, ma democratici e repubblicani non sembrano essere per nulla più vicini a una risoluzione della contesa fiscale. E così gli americani, che tradizionalmente guardano con sospetto al ruolo dello Stato nella vita del Paese, stanno imparando a proprie spese quante, e quanto importanti per loro, sono le attività cosiddette non-essenziali che sono finanziate tramite la spesa pubblica – dai parchi nazionali agli asili nido per i bambini poveri, dalle ispezioni alimentari della Food and Drug Administration al monitoraggio delle malattie infettive del Center for Disease Control.
Cultura e ricerca scientifica sono state fra le prime vittime della paralisi legislativa al Congresso. Solo a Washington si contano oggi circa venti musei chiusi, oltre alla Libreria del Congresso, al National Institutes of Health (NIH) e a numerosi istituti governativi che si occupano di raccogliere e pubblicare una gran varietà di statistiche e analisi (per citarne due tra i più usati, il Bureau of Economic Analysis del dipartimento del Commercio e il Census Bureau, responsabile di dati demografici).
Una situazione critica, che ha spinto i tre studiosi americani che hanno ricevuto questa settimana il premio Nobel per la medicina, James Rothman, Randy Schekman e Thomas Südhof, a esprimere una certa preoccupazione per l’impatto dello shutdown sulla ricerca. “Data questa incredibile paralisi federale che sta smantellando gli enormi sforzi fatti in campo biomedico, bisogna tornare a dire che la scienza è fondamentale e che senza investimenti di base il progresso in questo settore si arresterà completamente”, ha commentato Schekman, il quale aveva ricevuto i primi finanziamenti per il lavoro che lo ha poi portato al Nobel proprio dalla NIH.
Ai dipendenti che lavorano presso questo centro, tra i più importanti al mondo per la ricerca medica, la notizia che non sarebbero più potuti andare in laboratorio è arrivata la settimana scorsa in maniera improvvisa. “Mi trovavo a San Francisco per un convegno di lavoro e il governo ha ordinato che rientrassi immediatamente a Washington, pagandomi un nuovo volo di ritorno all’ultimo minuto – racconta Rahul Roychoudhuri, un immunologo che fa ricerca sul cancro – Sono stato obbligato a perdermi gran parte degli interventi”. Il personale della NIH ritenuto essenziale continua andare al lavoro, per garantire la sicurezza delle attrezzature e la salute delle cavie. Ma i ricercatori come Roychoudhuri devono starsene a casa con le mani in mano in attesa che il Congresso raggiunga un accordo sul deficit e sul debito. “Questa situazione sta già avendo un impatto terribile sugli esperimenti, alcuni dei quali hanno il potenziale di sviluppare nuove cure per il cancro”, prosegue Roychoudhuri.
E questo è solo l’inizio. Democratici e repubblicani rimangono infatti molto lontani da un compromesso e lo shutdown rischia di durare ancora a lungo. “L’interruzione nella raccolta di dati economici diventerà sempre più un problema – dice Heidi Shierholz, economista che si occupa di mercato del lavoro e disuguaglianze presso l’Economic Policy Institute di Washington DC - Peggiorerà la qualità delle informazioni disponibili sulla performance del Paese, informazioni che sarebbero quanto mai necessarie proprio nel momento in cui il governo riaprirà i battenti”. Shierholz è tra i tanti ricercatori a Washington che si affidano alle statistiche pubblicate dal dipartimento del Lavoro e dal Congressional Budget Office. Dall’inizio del blocco, queste agenzie federali hanno già dovuto saltare due scadenze importanti, quella del rapporto mensile sull’occupazione, la cui pubblicazione cadeva il 4 ottobre e, ironicamente, quella del 7 ottobre sullo stato del budget federale.
Ci sono poi i tanti ricercatori venuti a Washington da ogni angolo d’America per attingere all’enorme patrimonio di risorse della Libreria del Congresso e degli Archivi Nazionali. “Si tratta di ore, giorni e incontri di lavoro che sto perdendo per sempre”, ha dichiarato al sito web Insight Higher Ed Lisa Cook, professore associato di Economia e Relazioni Internazionali presso la Michigan State University, in questo momento nella capitale americana per un periodo come visiting fellow della Smithsonian Institution.
Infine, l’impatto dello shutdown sulla cultura e sulla ricerca si sta facendo sentire anche nel resto del mondo, con studiosi delle discipline più disparate che sono stati improvvisamente privati di risorse, per lo più digitali, fondamentali al loro lavoro. “Sto scrivendo un articolo sul settore della sicurezza nei Balcani occidentali e avevo bisogno di leggere un paper pubblicato dal dipartimento americano della Giustizia, il quale gestisce un programma di addestramento delle forze dell’ordine in collaborazione con vari governi stranieri – spiega Jelka Klemenc, Programme Manager presso l’ufficio di Lubiana, in Slovenia, del Geneva Centre for the Democratic Control of Armed Forces – Ma ora non posso più accedervi”.
A questi ricercatori e studiosi e a tutti gli appassionati di storia, cultura ed economia non rimane quindi che pazientare. Oppure bisogna rimboccarsi le mani come promette di fare Rahul Roychoudhuri. “È impossibile tenere gli scienziati lontani dai loro laboratori – dice– Anche se ci è vietato, abbiamo trovato il modo di entrare comunque alla NIH”. La speranza è che, nel frattempo, gli americani sappiano rivalutare l’importanza del ruolo svolto nelle loro vite dallo Stato e dalla spesa pubblica.
Valentina Pasquali