UNIVERSITÀ E SCUOLA
Studiare in paradiso: gli studenti Usa in Italia
Educating in Paradise: è questo il motto scelto dall’Association of American College and University Programs in Italy (AACUPI), l’ente che raggruppa 147 istituzioni universitarie statunitensi e canadesi che operano in Italia con corsi e programmi di studio propri. Se gli italiani infatti, a partire dai più giovani, sono spesso (e giustamente) insoddisfatti del loro paese, gli americani non sembrano affatto pensarla allo stesso modo: l’Italia, oggi, è la seconda destinazione in assoluto per gli studenti Usa con 30.361 presenze nell’anno accademico 2010-2011, l’11,1% del totale nel mondo.
“Superpotenza culturale” e patria della “vita buona”
A cosa si deve tanto successo? “Tradizionalmente l’Italia è apprezzata per il suo patrimonio artistico e culturale unico”, dice Elisabetta Convento, direttrice della filiale italiana della Boston University, aperta a Padova nel 1988. “Per i nostri studenti venire qui è un sogno: la possibilità di spaziare dall’epoca romana all’arte contemporanea in poche ore di macchina o di treno”. La sede ospita ogni anno circa 80 studenti divisi in due semestri, non solo della BU ma anche di altre 20 università partner, tra cui Yale e Princeton, che scelgono un programma di immersione nella lingua e nella cultura italiane. Perché scelgono di venire? L’immagine dell’Italia negli Usa spesso è legata a stereotipi di segno positivo, e non negativo: “esempi sono tipicamente la famiglia e il cibo – continua la Convento – percepito anche come momento di incontro e di condivisione. Anche per questo, oltre che per migliorare la lingua, i nostri studenti apprezzano in maniera particolare la possibilità di alloggiare presso famiglie italiane”.
L’Italia patria della cultura e della qualità della vita? Per Portia Prebys, presidente dell’AACUPI, senza alcun dubbio. “Ricordo quando assieme agli studenti ho letto l’Eneide a Cuma, nell’antro della Sibilla: un’esperienza davvero indimenticabile, difficile da fare in altri paesi”. Momenti che inevitabilmente lasciano un segno nei ragazzi: “Non vogliono mai andarsene; in quarant’anni e tre generazioni di studenti non ricordo un solo ragazzo infelice o insoddisfatto”.
I programmi più richiesti
La maggior parte degli studenti americani viene in Italia innanzitutto per studiare la lingua e la storia del nostro paese: “C’è un interesse crescente per la lingua italiana come mezzo per accostarsi alla letteratura e all’arte – conferma Elisabetta Convento – e sono sempre più anche gli adulti a venire. Anche nelle università americane, che negli ultimi anni hanno tagliato molto gli istituti di italianistica, si inizia a vedere un’inversione di tendenza”. Secondo Portia Prebys “oggi si viene in Italia per studiare tante cose, come l’architettura (42 programmi attivi), le scienze politiche – ad esempio il pensiero di Machiavelli – e le relazioni internazionali”.
“Sempre più registriamo anche un interesse per l’economia italiana – conclude la Convento – soprattutto in ambiti come ristorazione, moda e design, oltre che in generale per il modello economico delle piccole aziende. Altri sono attratti dalle tematiche dell’attualità, ad esempio le dinamiche dell’immigrazione e dell’integrazione in Italia. Si viene a imparare l’italiano anche per metterlo in curriculum e poterlo sfruttare in futuro”.
Una tendenza confermata anche da Laura Graziano, Resident Director dei programmi della Wake Forest University a Venezia: “Oggi arrivano studenti anche per materie come biologia ed economia. Fino a qualche anno fa la lingua era un ostacolo, mentre ora l’inglese inizia a diffondersi anche a livello accademico. Assieme ai nostri corsi organizziamo inoltre, in collaborazione con Ca’ Foscari, un prestigioso master in diritto internazionale. Per molti studenti dopo i programmi si aprono delle prospettive interessanti anche dal punto di vista lavorativo”.
I numeri di un successo crescente
A livello mondiale, la Penisola si piazza al secondo posto: dopo la Gran Bretagna (33.182 arrivi), per ovvie ragioni storiche e linguistiche, ma davanti a Spagna, terza con 25.965 presenze, Francia (17.019) e Germania (9.018). Staccate nettamente anche vecchie e nuove potenze economiche, come Cina (14.596), India (4.345), Giappone (4.134) e Brasile (3.485). A livello generale, il 58,1% dei corsi seguiti è costituito da programmi brevi (Summer School o inferiori alle otto settimane), il 38% da corsi semestrali e solo il 3,9% da corsi annuali. Il dato positivo dell’Italia è ancora più evidente nei trend, visto che già nel 2010-11 le presenze verso l'Italia sono tornate ai livelli pre-crisi, e tutto sembra indicare un’ulteriore ascesa: con un incremento dell’8,7% – il più alto tra le destinazioni maggiori – il nostro paese arriva addirittura a tallonare la capolista, dimezzando quasi il distacco rispetto all’anno precedente.
Cifre, però, molto diverse da quelle degli studenti italiani negli Usa: con 4.284 studenti (-0.6 rispetto all’anno precedente), l’Italia è fuori dalle prime 25 nazionalità presenti nei campus americani, staccatissima da Cina (194.029, più di un quarto di tutti gli studenti stranieri), India (100.270) e Corea del Sud (72.295), ma ben dietro anche a Vietnam (15.572), Turchia (11.973) e Nepal (9.621), per non parlare dei nostri partner europei, tutti invariabilmente molto davanti a noi.
Tanti pezzi di America in Italia
Da un punto di vista organizzativo, non bisogna confondere le strutture e le modalità dello “studying abroad” statunitense con quelle, ad esempio, del progetto Erasmus europeo: gli americani normalmente non si iscrivono a università italiane, bensì a sedi distaccate degli atenei di origine. “Non diamo titoli su suolo italiano – conferma Portia Prebys – e vorrei anche sottolineare che non prendiamo finanziamenti pubblici e che non veniamo a cercare studenti italiani. Siamo solo interessati all’Italia e alla sua cultura”. I corsi e le lezioni sono organizzati autonomamente secondo i programmi e le modalità delle università americane, anche se generalmente in lingua italiana. Questo comunque non esclude affatto la collaborazione con le università italiane: “Alcuni corsi vedono la collaborazione di docenti dell’Università di Padova – dice sempre Elisabetta Convento (Boston University) – ci appoggiamo inoltre al Centro Linguistico di Ateneo per programmi e-tandem, che permettono ai ragazzi di scambiare competenze linguistiche e di inserirsi nell’ambiente universitario e cittadino”. E, come conferma Laura Graziano, l’AACUPI ha sicuramente dei grossi meriti, riuscendo a semplificare non poco i procedimenti e le trafile con la burocrazia italiana, tradizionale ostacolo, per gli studenti e gli atenei stranieri nel nostro paese. Anche se, continua Laura Graziano, alcuni problemi comunque rimangono: “la Legge Fornero, ad esempio, sta rendendo molto difficili i contratti per l'insegnamento”.
Daniele Mont D’Arpizio