UNIVERSITÀ E SCUOLA
Usa, la trappola dei debiti per laurearsi
Per i giovani americani, il già gravoso costo di un’istruzione universitaria è aumentato improvvisamente di circa 4.000 dollari all’inizio di luglio. Era infatti fissata per il primo del mese la scadenza per l’aumento dei tassi di interesse su un certo tipo di prestiti garantiti dal governo e di cui usufruiscono diversi milioni di studenti ogni anno. In queste ore il Senato discute per cercare di evitare il raddoppio del tasso medio pagato (dal 3,4% al 6,8%) ma non è detto che la Camera sia d’accordo e che le somme necessarie per continuare a sovvenzionare i prestiti vengano trovate.
Nel labirintico sistema universitario a stelle e strisce, diviso non solo fra pubblico e privato ma anche profondamente frammentato a livello geografico, solo i figli dei più ricchi possono permettersi una laurea senza incorrere in un qualche debito. Al di là delle varie Yale, Duke e Stanford, istituti tanto rinomati quanto costosi, nemmeno i college statali garantiscono un’istruzione a buon mercato. I finanziamenti pubblici che questi ricevono variano di stato in stato, e varia di conseguenza anche il prezzo ai consumatori, in questo caso gli studenti. Secondo i dati più recenti provenienti dal ministero dell’Istruzione, nel 2011-2012 il titolo universitario quadriennale meno caro del Paese era offerto dalla Haskell Indian Nations University di Lawrence, in Kansas (con tasse di soli 182 dollari l’anno), mentre quello più costoso si poteva conseguire alla University of Pittsburgh in Pennsylvania (per l'ammontare di 16.132 dollari l’anno per i ragazzi residenti nello stato, cifra che sale ulteriormente per chi viene da fuori).
Per pagarsi gli studi, molti giovani oltre a lavorare ricorrono quindi a prestiti, preferibilmente attraverso un programma federale che si chiama Stafford, che offre condizioni favorevoli quanto a tassi di interesse e modalità di rimborso. Di prestiti Stafford ce ne sono di due tipi, uno disponibile a tutti, che ha un tasso del 6,8%, e un altro destinato solo agli studenti meno abbienti, il cui tasso è stato dimezzato dal Congresso in via temporanea nel 2008 per incoraggiare i giovani meno fortunati a perseguire comunque un titolo di studio universitario anche a fronte della crisi economica. Ed è proprio questa seconda categoria che, data la solita paralisi politico-ideologica alla Camera e al Senato, ha visto il proprio tasso raddoppiare dal primo luglio. Con un costo aggiuntivo di circa 1.000 dollari per ogni anno di college per i quasi dieci milioni di ragazzi che faranno domanda per questi prestiti in vista dell’anno accademico che comincia a settembre.
Il Congresso ha ancora tempo di intervenire. Se non lo farà, l’aumento del costo di questa tipologia di prestiti andrà a incrementare ulteriormente il debito complessivo contratto dagli studenti, che ha assunto negli ultimi anni proporzioni allarmanti, superando nel 2012 quota 1.000 miliardi di dollari.
Da un lato, la possibilità data ai giovani americani di indebitarsi per studiare permette a chi altrimenti ne sarebbe escluso di conseguire una laurea - un investimento che storicamente più che ripaga chi lo fa, in termini di mobilità sociale e di reddito. Un rapporto del governo americano pubblicato nell’ottobre 2012 rivela che, in media, i titolari di una laurea guadagnano nel corso della propria carriera circa un milione di dollari in più di chi ha solo un diploma di scuola superiore. In questo senso, l’istruzione universitaria è un investimento migliore di tanti altri strumenti finanziari, ad esempio azioni, titoli, oro, e il mercato immobiliare.
“Quando si parla di debito studentesco, si tende a guardare solo agli aspetti negativi, però bisogna ricordarsi che questo finanzia un investimento nell’istruzione della gente e che, nel lungo periodo, chi si laurea trae vantaggio dall’aver fatto l’università”, spiega Matthew Chingos, ricercatore presso il Brown center on education policy della Brookings Institution a Washington. “Fino a che la crescita del debito contratto dagli studenti significa che più gente va al college e investe nella propria educazione, allora va vista come un segnale positivo”.
Allo stesso tempo, però, questo sistema educativo fondato sull’indebitamento ha conseguenze di lungo periodo, sia per i debitori sia per l’economia nazionale. Secondo il Consumer Financial Protection Bureau (Cfpb), l’agenzia federale creata a difesa dei consumatori nel 2010 dalla legge di riforma del sistema finanziario Dodd-Frank, chi esce dall’università avendo contratto debiti (tra questo gruppo di laureati, la media nazionale è di 27.000 dollari) deve poi affrontare una lunga serie di ostacoli in campo personale e professionale. Ad esempio, diventa più difficile fare un mutuo per acquistare la prima casa, e quindi mettere su famiglia. E ancora, il peso dei soldi presi a prestito li convince spesso a non lanciarsi in carriere magari di soddisfazione, ma relativamente poco remunerative o non sicure, come ad esempio il medico di base o l’imprenditore, ma a puntare sulla sicurezza del guadagno, a discapito di capacità, aspirazioni, potenziale innovativo. Con un impatto negativo sulla società tutta, che di queste professionalità in particolare, e in generale di gente che è disposta a rischiare, ha bisogno.
Se questi sono gli incubi che rovinano il sonno di chi una laurea, perlomeno, l’ha intascata, la situazione è ancora peggiore per coloro che, dopo essersi indebitati per pagarsi gli studi, mollano prima di finire, ritrovandosi con prestiti da ripagare ma senza lo stipendio tipico di chi possiede un titolo universitario. Secondo un’analisi del centro di ricerca Education Sector, nel 2009 il 29% di studenti indebitati ha lasciato l’università; un numero in netta crescita sul 21% registrato nel 2001. Date le maggiori difficoltà a trovare lavoro e a conseguire redditi sufficienti a ripagare il prestito ricevuto, questi americani diventano insolventi sui propri debiti a un ritmo quattro volte superiore a quello di chi si laurea, il 16,8% contro il 3,7%. Oltre a quello personale, naturalmente, questo fenomeno ha un costo economico e sociale, visto che i contribuenti che hanno, attraverso il programma Stafford, garantito tali prestiti finiscono per dover sborsare loro i soldi.
Infine, la dipendenza da prestiti per finanziare l’istruzione universitaria in America ha probabilmente un’altra conseguenza, più difficile da misurare ma di impatto ancora superiore. “La preoccupazione è che i college facciano pagare troppo”, dice Matthew Chingos di Brookings Institution, “e che la disponibilità di prestiti sia tra i fattori che li incoraggiano a aumentare i prezzi, in modo da attingere al danaro che il governo mette così a disposizione”. Se, tra il 1986 e il 2012, l’inflazione è stata del 115%, il costo di una istruzione universitaria è cresciuto quasi del 500%.
Insomma, gli Stati Uniti si trovano ora nel mezzo di un circolo vizioso di costi universitari sempre in aumento, che producono quindi maggior indebitamento tra i giovani, proprio mentre diminuiscono i salari d’ingresso nel mercato del lavoro. Pare dunque che l’istruzione di qualità, uno degli strumenti più efficaci di mobilità sociale, sia sempre più fuori dalla portata dei meno fortunati, di chi ne ha più bisogno.
Valentina Pasquali