SOCIETÀ

Usa, Obama alla prova delle elezioni di medio termine

Gli Stati Uniti si stanno avvicinando all’importante scadenza elettorale di novembre, quella delle elezioni "di medio termine", o Midterm: la tornata elettorale che, a metà del mandato del presidente (da qui il nome), rinnova gran parte dei rappresentanti eletti nel Paese. Gli americani andranno a votare per un terzo del Senato, composto da 100 membri - i seggi in palio in questa occasione saranno 36, poiché sono in programma anche tre elezioni “speciali”, che fanno seguito a dimissioni o decessi di senatori in carica - e per l’intera Camera dei Rappresentanti, oltre ad altre cariche nei singoli stati. Queste elezioni saranno determinanti per gli ultimi due anni di amministrazione Obama: un’eventuale maggioranza del Partito Repubblicano in entrambi i rami del parlamento renderebbe impossibile la vita al presidente, la cui azione di governo è già oggi fiaccata dall’aspra conflittualità parlamentare e dalla presenza di una maggioranza repubblicana alla Camera. 

Attualmente i repubblicani dispongono infatti di una solida maggioranza alla camera bassa, mentre i democratici con un margine di sei seggi controllano il Senato. I sondaggi sembrerebbero penalizzare il presidente Obama: la sua popolarità è scesa al 40% (solo Reagan nel 1982 e George W. Bush nel 2006 si trovarono ad affrontare elezioni di Midterm con un tasso di approvazione più basso) e su molti temi – immigrazione, politica estera, sanità - l’opinione pubblica sembra in prevalenza contraria alle politiche presidenziali. 

Gli analisti prevedono che i Repubblicani manterranno con facilità la maggioranza alla Camera e che abbiano buone possibilità di conquistare anche il controllo del Senato. Attualmente, il Partito repubblicano conta su un margine di vantaggio di 17 seggi alla Camera: un numero apparentemente esiguo, ma che potrebbe risultare assai più rilevante in virtù del massiccio ricorso al cosiddetto gerrymandering che ha fatto seguito al censimento del 2010. L’origine del termine è curiosa e prende il nome da Elbridge Gerry, governatore del Massachusetts nei primi anni dell'Ottocento, che, volendo ridisegnare i confini dei distretti congressuali a proprio favore, lo fece in modo talmente bizzarro da farli assomigliare nella forma a delle salamandre (salamander, appunto). All’inizio di ogni decennio, infatti, i dati del censimento permettono di aggiornare le mappe elettorali: a seconda delle variazioni della popolazione residente, gli stati possono vedersi aumentare o diminuire il numero dei propri deputati (fermo restando il totale federale di 435 deputati). I parlamenti statali, sulla scorta degli stessi dati, possono poi modificare i confini dei distretti congressuali. Per Repubblicani e Democratici è quindi molto importante controllare la maggioranza parlamentare nei singoli stati all’inizio di ogni decennio, poiché questo consente spesso di attuare operazioni di ridisegno a proprio favore. 

Un altro vantaggio per i Repubblicani è quello di contare su un elettorato prevalentemente bianco, maschile, anziano e di reddito medio-alto: una fascia di popolazione che, dal punto di vista politico, ha il pregio di essere tendenzialmente più fedele e poco incline all’astensione. Donne, giovani e minoranze etniche come neri e latinos, che sceglierebbero in larga maggioranza il Partito democratico, sono invece elettori meno costanti, e si attivano solo in presenza di grandi operazioni di mobilitazione, come quelle messe in atto dalle campagne elettorali di Obama del 2008 e del 2012. 

Il paradosso è quindi quello di un paese che per ragioni demografiche tenderebbe a spostarsi verso i democratici, ma che per abitudini di voto li penalizza nelle poco elettrizzanti Midterm Elections. Ad avvalorare questa ipotesi, vi è una recente ricerca di Mike Podhorzer, uno dei più ascoltati consulenti politici del Partito democratico e dirigente dell'AFL-CIO, il più importante sindacato, che indica nel comportamento elettorale degli elettori che guadagnano meno del reddito medio nazionale (50.000 dollari l’anno) la variabile chiave per predire i risultati elettorali. 

Il fattore decisivo negli ultimi quindici anni di elezioni americane sarebbe quindi il voto della Working Class, o, più precisamente, la percentuale di voti che il Partito demcratico riesce a conquistare tra gli elettori che hanno ricavi annui inferiori ai 50.000 dollari annui. Podhorzer ha osservato come i Repubblicani siano costantemente maggioritari tra coloro che guadagnano cifre superiori al reddito medio nazionale (nel 2012, per esempio, Romney sarebbe stato scelto dal 53% di loro, mentre nel 2010 i loro candidati avevano conquistato oltre il 55% dei consensi della classe medio-alta). Nello stesso periodo, i democratici hanno sempre avuto la maggioranza dei voti di coloro che guadagnano meno, ma il margine di vantaggio sugli avversari è variato sensibilmente da un’elezione all’altra. Nel 2004 i democratici superarono i repubblicani di 11 punti nel voto della Working Class e George W. Bush fu agevolmente rieletto. Nel 2006 il gap fu di ben 22 punti percentuali e il Partito democratico conquistò la maggioranza di Camera e Senato. Stessa percentuale due anni dopo con vittoria di Barack Obama alle presidenziali, mentre nel 2010 il margine si ridusse di dieci punti e i repubblicani riuscirono a riconquistare la Camera. Nel 2012 Obama si confermò alla Casa Bianca e la distanza tra i due partiti nel voto delle fasce di redito inferiori alla media crebbe di nuovo, assestandosi attorno a quasi 20 punti di margine. 

Gli elettori di reddito medio-basso, ci dicono i numeri, sono quindi più inclini a votare democratico ma hanno anche molta più facilità a non recarsi al voto, e lo sforzo del partito di Obama è tutto nel limitare l’astensione, impegnandosi a fondo nella mobilitazione della Working Class e delle minoranze. La strategia è chiara: non ci sarà alcun tentativo di far cambiare idea agli elettori del campo avverso, tutte le energie saranno volte a far affluire al voto i propri simpatizzanti. Secondo Podhorzer, per convincere gli elettori a basso reddito la mossa chiave sarebbe fare del “populismo economico” e concentrarsi sui bisogni della classe medio-bassa, che più spesso di quel che si ritiene vota pensando al proprio portafoglio. 

Tuttavia, un recente sondaggio pubblicato dal Pew Research Center sembra gettare acqua fredda sulle speranze di recupero dei democratici: il 45% dei repubblicani si dichiara entusiasta di recarsi alle urne il prossimo novembre a fronte soltanto del 37% dei democratici. Ancora più significativi i dati scomposti per fasce di reddito: tra gli elettori con un reddito inferiore a quei 50.000 dollari che costituiscono lo spartiacque fra redditi alti e redditi bassi, il vantaggio a favore dei Democratici sembrerebbe essersi ridotto ancora una volta a soli 11 punti, un margine che in passato ha sempre accompagnato roboanti vittorie Repubblicane.

Marco Morini

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