SCIENZA E RICERCA

Vita su altri pianeti: questione di tempo

“Per centinaia di anni le persone si sono chieste ‘siamo soli?’… La nostra galassia possiede 100 miliardi di stelle e il nostro universo ha più di 100 miliardi di galassie e la possibilità che esista vita altrove sembra inevitabile, basandosi sulla pura probabilità”. A sostenerlo è Sara Seager del Massachusetts Institute of Technology di Cambridge in un lavoro pubblicato recentemente su Proceedings of the National Academy of Sciences (Pnas). La tecnologia attuale ci consente ormai di rilevare pianeti sempre più piccoli e simili alla terra. Con la prossima generazione di telescopi spaziali, sostiene la studiosa riferendosi in modo particolare al Transiting Exoplanet Survey Satellite (Tess) e al James Webb Space Telescope (Jwst) della Nasa operativi a partire rispettivamente dal 2017 e dal 2018, si avranno in mano gli strumenti per individuare forme di vita su altri pianeti, se esistono.

L’argomento è di quelli che incuriosiscono. “La biologia ha smesso da tempo di chiedersi se esiste un principio vitale – sottolinea Giuseppe Galletta, docente di astrobiologia all’università di Padova – ma studia più che altro le caratteristiche degli esseri viventi. Si tratta di una differenza significativa, se si considera che noi conosciamo soltanto le forme di vita terrestre e le loro proprietà”. Spiega che le forme di vita terrestri non hanno bisogno di un pianeta, ma possono sopravvivere nello spazio. Esistono batteri che sono stati portati nelle stazioni orbitanti, esposti allo spazio esterno e sono sopravvissuti. Allo stesso modo i cosiddetti ‘water bears’, animaletti delle dimensioni di circa mezzo millimetro, hanno resistito una quindicina di giorni all’ambiente esterno. Ma non solo. Attraverso i radiotelescopi sono state individuate nello spazio molecole complesse, come amminoacidi, zuccheri, idrocarburi policiclici aromatici, connesse al metabolismo e alla vita terrestre.

Esiste tuttavia un elemento essenziale per i processi vitali: l’acqua liquida. “Questo ci limita – puntualizza Galletta – perché se è vero che l’acqua esiste in enormi quantità nello spazio senza pianeti, per essere liquida ha bisogno di una temperatura tra 0 e 100 gradi centigradi alla pressione di una atmosfera. Ed è necessario dunque un pianeta”. Stando ai dati raccolti in The Extrasolar Planets Encyclopaedia, i pianeti noti finora sono complessivamente 1815 disposti intorno a 1130 stelle. Ciò significa che esistono 466 sistemi con più di un pianeta intorno.

A essere identificati per primi sono stati i pianeti più grandi, i più massicci, per arrivare poi a quelli di dimensioni pari a due tre volte la Terra, chiamati super-terre, su cui oggi si concentra la ricerca. Tra i metodi che vengono utilizzati, la spettroscopia si rivela uno strumento importante perché permette di rilevare la presenza di elementi chimici nell’atmosfera. Come dire, le impronte digitali di eventuali forme di vita presenti sul pianeta.

Gli esseri viventi, nel corso dei loro processi metabolici, producono infatti gas che lasciano tracce nell’atmosfera. Basti pensare all’ossigeno prodotto nel corso della fotosintesi, ma anche all’anidride carbonica, al metano, all’ozono, al vapore acqueo. Biomarcatori che i telescopi di nuova generazione saranno in grado di rilevare con precisione. Sara Seager sembra esserne convinta. L’unico problema potrebbe derivare dal fatto che alcune di queste sostanze possono essere prodotte anche in maniera inorganica. “Sono d’accordo – riflette Galletta – Quando sarà disponibile questo tipo di strumentazione saremo in grado di rilevare atmosfere con tracce di vita. Il punto è che se non dovessimo individuare questi pianeti, non è detto che non esistano”.

Le missioni della Nasa non sono le uniche a occuparsi di pianeti extrasolari e a utilizzare la spettroscopia. L’Inaf-Osservatorio astronomico di Padova ad esempio, nell’ambito dello studio dei pianeti extrasolari, partecipa a un consorzio europeo, che ha lavorato alla costruzione di uno spettrografo, Sphere (Spectro Polarimetric High contrast Exoplanet Research), un “cercatore di esopianeti spettro-polarimetrico ad altro contrasto”. Uno strumento in grado di rilevare la presenza e le caratteristiche di pianeti che orbitano intorno a stelle diverse dal Sole, montato lo scorso gennaio nell’unità tre del Very Large Telescope dell’European Southern Observatory (Eso) in Cile.

Ancora a Padova un secondo gruppo, un team di ricercatori del dipartimento di fisica e astronomia “G. Galilei”, collabora alla missione Plato (Planetary transits and oscillations of stars), un satellite dedicato alla ricerca di pianeti extrasolari.

“Il telescopio spaziale della Nasa in futuro sarà sicuramente il più potente, anche grazie a finanziamenti ingenti – osserva Galletta – Personalmente preferisco ragionare in una prospettiva mondiale. Ritengo sia inutile investire sugli stessi progetti in concorrenza”. Così, ad esempio, l’Eso ha preferito puntare su un’enorme batteria di telescopi da terra in Cile, mentre l’Agenzia spaziale europea promuove missioni molto mirate. Strategie diverse per un unico scopo. Esplorare lo spazio per saperne di più e scoprire, se esistono, forme di vita lontane da noi.

Monica Panetto

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