MONDO SALUTE

Coronavirus: dalla Diamond Princess al primo decesso in Italia

Aggiornamento ore 16:20: i rettori delle università del Veneto hanno deciso, in accordo anche con le autorità coinvolte, di sospendere le lezioni, se presenti, e gli esami per una settimana. In particolare il rettore dell’Università di Padova, Rosario Rizzuto, ha inviato all’intera comunità la comunicazione visionabile a questo link
Aggiornamento ore 8:30: Primo caso di test positivo anche nel veneziano. Si tratterebbe di un uomo di 67 anni di Mira (VE). Il paziente sarebbe passato prima dal pronto soccorso di Mirano, per essere poi trasferito in rianimazione a Dolo. Dopo l'aggravarsi delle condizioni sarebbe stato poi trasferito all'ospedale di Padova. A dichiararlo all'Ansa il governatore Luca Zaia. Si attendono per la mattinata i primi risultati dei tamponi effettuati nella giornata di ieri agli abitanti di Vo' Euganeo

Aggiornamento ore 23:00: Purtroppo il paziente di 78 anni, che risultava essere in condizioni più gravi, è deceduto all'ospedale di Schiavonia alle 22:45. 

Aggiornamento ore 19.49: dalla sede della USL cittadina di Padova ha appena parlato il presidente della Regione Veneto. Luca Zaia ha deciso, in via prudenziale e di massima cautela, una serie di provvidementi per evitare qualsiasi rischio di contagio nel Paese di residenza dei due anziani, Vo' Euganeo, in provincia di Padova e nell’ospedale di Schiavonia, dove erano ricoverati: “Scuole, uffici pubblici e locali verranno chiusi a Vo' - ha detto Zaia -, allo stesso tempo abbiamo dato disposizione di predisporre un campo base davanti all’ospedale di Schiavonia”. Test con tamponi a tutta la rete di “contatti dei due contagiati, a tutti i cittadini di Vo' Euganeo e anche a tutti coloro che si presenteranno nei ricoveri ospedalieri del Veneto con sintomi influenzali importanti. Mentre cercheremo anche di svuotare entro 5 giorni l’ospedale per principio di precauzione”. 

"Dobbiamo ancora capire chi sia stato a contagiare queste persone del 1943 e del 1952 - ha continuato Zaia -. L'unica cosa che sappiamo è che giocavano a carte assieme in un bar di Vo' Euganeo".

I test di conferma arriveranno dallo Spallanzani entro mezzanotte. 
Alla redazione dell’aggiornamento ha collaborato Antonio Massariolo, inviato sul posto. 


Aggiornamento ore 19: ci sono due possibili casi di contagio da nuovo coronavirus, in provincia di Padova. Si tratterebbe di due anziani, già ricoverati in ospedale e in attesa del test di conferma già inviato all’istituto Spallanzani di Roma secondo i protocolli operativi messi a punto dal ministero della Salute. 


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Un trentottenne, risultato positivo al nuovo coronavirus (SARS-CoV-2), è ricoverato in terapia intensiva all’ospedale di Codogno, comune di 15mila abitanti in provincia di Lodi. La prognosi è riservata ma il paziente presenterebbe un'insufficienza respiratoria e le sue condizioni sarebbero molto gravi. L’uomo, che non ha trascorso periodi nelle aree a rischio, avrebbe avuto diversi contatti con un collega tornato dalla Cina, sebbene questa persona sia in salute e non presenti alcun sintomo (motivo per cui non è ancora accertato che questa sia l’origine dell’infezione). Anche la moglie, incinta, è stata confermata positiva ed una terza persona, compagno di attività sportive del 38enne, è stata posta in isolamento all'ospedale Sacco di Milano e sarebbe risultata positiva ai test. Oltre a ciò sarebbero altre tre le persone arrivate  nella notte tra il 20 e il 21 febbraio al pronto soccorso dell'ospedale di Codogno con una polmonite che poi è risultata essere coronavirus.

“Abbiamo certificato questi tre nuovi casi (divenuti poi sei ndr) – ha dichiarato il premier Conte durante il Consiglio Europeo straordinario di Bruxelles –. Il ministro della Salute Speranza ha appena adottato una nuova ordinanza che dispone il trattamento di isolamento obbligatorio con tutti quelli che son venuti a contatto con i tre pazienti risultati positivi e predisposto sorveglianza attiva, con una domiciliazione fiduciaria per tutti coloro che sono stati in area a rischio”.

Intanto, in queste stesse ore, stanno rientrando in Italia una trentina di passeggeri a bordo della Diamond Princess, la nave da crociera attraccata alla baia di Yokohama in Giappone. Una volta in Italia, seguiranno il periodo di quarantena previsto, i 14 giorni che i medici ritengono necessari per escludere la presenza della malattia. La nave, che trasportava circa 3.700 persone provenienti da 50 Paesi, è stata messa in quarantena agli inizi del mese di febbraio dopo aver appurato che un viaggiatore sbarcato a Hong Kong aveva contratto l’infezione. In questo momento, oltre agli italiani, stanno sbarcando anche altri passeggeri risultati negativi al test e che non manifestano sintomi influenzali. Chi invece è stato in contatto con persone infette deve rimanere a bordo per un ulteriore periodo di osservazione. In Giappone, ad oggi, i casi confermati di infezione da coronavirus sono 97 con un solo decesso; sulla Diamond Princess i contagiati hanno superato quota 600 e i decessi – avvenuti nei giorni scorsi – sono due. Migliaia di persone hanno trascorso le ultime due settimane isolate su una nave che è diventata il secondo focolaio al mondo dopo la Cina. Da più parti ci si chiede se sia stato il modo migliore di gestire la situazione.

The Guardian ha dedicato un lungo articolo all’argomento, raccogliendo il parere di vari esperti di salute pubblica. Roojin Habibi, avvocato specializzato in leggi sanitarie internazionali, ritiene che la maniera in cui è stata affrontata l’emergenza abbia trasformato la Diamond Princess in un “calderone bollente” di trasmissione del contagio. Mark Eccleston-Turner, docente alla Keele University specializzato in diritto sanitario internazionale, evidenzia invece che nel momento in cui si decide di mettere in atto delle misure di quarantena, le persone che vengono isolate hanno un agente infettivo, non stanno bene. Nel caso della Diamond Princess, invece, la maggior parte dei passeggeri non era infetta quando è iniziata la quarantena. Ancora, Paul Hunter, docente di medicina alla University of East Anglia, afferma che, se da un lato la quarantena sembra aver impedito ai passeggeri di trasmettere l’infezione all’esterno, l'alto numero di casi segnalati a bordo negli ultimi giorni suggerisce che le misure per fermare la diffusione sulla nave sono state inefficaci.

I parerei sulla questione, tuttavia, non sono tutti dello stesso tenore. “Penso che sia stata la scelta giusta – dichiara a Il Bo Live il medico epidemiologo Donato Greco –. Purtroppo ha aumentato i contagi interni, però è vero anche che sbarcare i passeggeri senza la quarantena, avrebbe rappresentato un rischio sociale ben più grave. Ci sono stati dei contagiati, ma l’episodio è stato molto contenuto, il numero di persone gravi è stato molto limitato. Trattandosi di misure che incidono sulla vita sociale comune, inesorabilmente sollevano critiche, anche perché esiste un margine di incertezza sull’efficacia che non è superabile. Forse far sbarcare i passeggeri sarebbe stato peggio. Esistono, del resto, le International Health Regulations, misure sanitarie internazionali che comprendono il contenimento a bordo delle navi”.

Di parere diverso il virologo Giorgio Palù, intervistato da Il Bo Live: “La quarantena era necessaria, ma in una nave non esistono le condizioni idonee”. Spiega, ad esempio, che le persone vengono inevitabilmente in contatto, specie se si considerano i momenti dedicati ai pasti, la comunicazione tra le celle, l’ora d’aria. “Come si è visto, del resto, le persone a bordo hanno continuato ad infettarsi. A mio parere, la decisione migliore sarebbe stata quella di far sbarcare le persone negative al test fin dall’inizio e metterle in quarantena in un altro luogo, oppure farle tornare nei Paesi di origine. Qui poi sarebbero stati sottoposti ad altri controlli ed eventualmente ai 14 giorni di contumacia”. Secondo il virologo l’esperienza ha dimostrato che è stata una decisione sbagliata, perché è stata una scelta cautelativa nei confronti degli abitanti di Yokohama, ma non dei passeggeri.

“Questo insegna una volta di più - conclude - che in occasioni come questa, in caso di emergenza di salute pubblica di rilievo internazionale, fin dal principio a coordinare queste operazioni dovrebbe essere un team di esperti sotto l’egida dell’Organizzazione mondiale della Sanità”.

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