SCIENZA E RICERCA
Dipendenza da cocaina: una “scossa” può aiutare?
Un coltivatore colombiana mostra un panetto di cocaina semi-raffinata. Foto: Reuters/
Nei giorni scorsi è uscito su tutti i giornali, italiani e non: la stimolazione magnetica cerebrale, in pratica l’uso di impulsi magnetici in specifiche aree del cervello, potrebbe essere il primo trattamento medico efficace contro la dipendenza da cocaina. Ridurrebbe il ricordo del piacere e quindi il desiderio di assumere la sostanza. L’argomento è di quelli che fa parlare di sé, specie quando va a braccetto come in questo caso con una possibile terapia. Ad oggi infatti non esistono farmaci specifici, fatta eccezione per le terapie comportamentali. Ora dunque ci siamo? Gli scienziati, pur dimostrandosi ottimisti, sono i primi a essere cauti: si tratta di uno studio preliminare che deve essere replicato su un gruppo più ampio di pazienti. Anche perché, più in generale, la ricerca in questo settore è ancora giovane.
L’indagine, pubblicata recentemente su European Neuropsychopharmacology e a cui hanno partecipato il dipartimento di Neuroscienze dell’università di Padova, l’Irccs san Camillo di Venezia e il National Institute on Drug Abuse (Nida) di Bethesda negli Stati Uniti, è stata condotta su un gruppo di 32 persone dipendenti da cocaina: 16 pazienti hanno ricevuto dei farmaci per alleviare i sintomi da astinenza (depressione, ansia, insonnia) e 16 sono stati trattati con stimolazione magnetica transcranica ripetitiva (rTMS). Attraverso onde elettromagnetiche è stata stimolata la porzione dorsolaterale sinistra della corteccia prefrontale, molto meno attiva in chi abusa di droga, la quale ha recuperato la funzionalità originaria. Oltre a un calo del desiderio di assumere droga, l’esperimento ha rilevato anche una reale diminuzione del consumo di cocaina (attraverso il monitoraggio delle urine). I pazienti sono stati seguiti per oltre un anno e 11 dei 16 trattati con stimolazione magnetica non hanno avuto ricadute nell’uso di cocaina. “L’efficacia – commenta Luigi Gallimberti coautore dello studio – appare elevata, come testimoniato sia dal lavoro sperimentale pubblicato sia dalla nostra ricerca osservazionale. Negli ultimi due anni abbiamo trattato circa 70 altri pazienti e i risultati ottenuti appaiono sovrapponibili”. Lo studio recentemente pubblicato parte da una evidenza preclinica, in particolare da un esperimento con cui Antonello Bonci del Nida era riuscito a far “smettere di drogarsi” dei topi resi dipendenti da cocaina, grazie a una tecnica chiamata optogenetica.
In generale, la stimolazione magnetica transcranica è una tecnica in fase di studio per il trattamento di numerosi disordini neuropsichiatrici. La U.S. Food and Drug Administration (Fda), che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici, ha autorizzato ad esempio due dispositivi da utilizzare in caso di depressione maggiore negli adulti. Tuttavia, allargando lo sguardo, nel trattamento delle dipendenze lo studio della stimolazione magnetica transcranica è ancora agli inizi. David A. Gorelick e il suo gruppo, in un articolo pubblicato alla fine del 2014 nella rivista Annals of the New York Academy of Sciences, citano complessivamente 19 studi sull’argomento, nove sulla dipendenza da tabacco, sei da alcol, tre sulla dipendenza da cocaina e uno da metanfetamina. Il primo tra quelli citati a suggerire (su un numero molto esiguo di pazienti) le potenzialità della stimolazione magnetica transcranica nella riduzione del desiderio di assumere cocaina è il gruppo di Joan Albert Camprodon nel 2007. Risultati che vengono confermati l’anno successivo da un altro esperimento, questa volta italiano, coordinato da Ernestina Politi dell’Ospedale San Raffaele di Milano. Va detto che in entrambe i casi i pazienti hanno dato feedback soggettivi. Gorelick cita anche uno studio clinico controllato che riporterebbe una significativa diminuzione non solo del desiderio ma anche dell’assunzione di cocaina, verificata quest’ultima attraverso l’esame delle urine. Non tutte le sperimentazioniperò danno gli stessi risultati, anche perché a seconda dei casi vengono stimolate aree cerebrali diverse e a differente intensità.
“Considerata la scarsità di dati clinici – continua il gruppo di Gorelick – non sorprende che molte domande importanti dal punto di vista clinico sull’impiego della stimolazione magnetica transcranica nelle dipendenze rimangano ancora senza risposta”. Ad esempio, quanto deve durare il trattamento? Quanto persistono gli effetti della terapia? Può/deve essere combinata con altre cure farmacologiche o psicologiche? E ancora, l’efficacia della TMS è sempre la stessa anche al variare dell’età? In sintesi, sebbene gli studi clinici finora condotti siano in generale favorevoli all’impiego di questo tipo di trattamento nelle dipendenze, sono ancora limitati. E nessuna agenzia regolatoria nazionale li ha ancora approvati a questo scopo. “In questo momento dunque – concludono gli studiosi – la stimolazione magnetica transcranica non può essere consigliata come trattamento di prima linea nelle dipendenze”.
Proprio per ottenere ulteriori dati clinici, l’Irccs di Venezia intende ora proseguire le indagini iniziate. L’obiettivo è di definire una “mappa cerebrale”, di individuare cioè le aree del cervello in cui la stimolazione risulta più efficace, e di documentare con neuroimmagini quali cambiamenti avvengano all’interno della corteccia prefrontale dorsolaterale. Inoltre si dovrà ripetere l’esperimento su pazienti che non siano a conoscenza del trattamento assegnato (tecnicamente si parla di studio clinico in “doppio cieco”), per evitare eventuali effetti placebo. Finora i risultati sono promettenti, ma la strada da fare è ancora lunga.
Monica Panetto