UNIVERSITÀ E SCUOLA

Esperti, tocca a voi!

«These are dangerous times». Questi sono tempi pericolosi, scrive Tom Nichols in un libro che sta avendo un grande successo: The Death of Expertise: The Campaign Against Established Knowledge and Why it Matters, pubblicato con la Oxford University Press. Tradotto in italiano, il titolo suona più o meno così: La morte della competenza: la campagna contro la conoscenza consolidata e perché essa funziona.

Tom Nichols insegna presso l’US Naval War College, la scuola di guerra della marina della Harvard University Extension School, una delle dodici scuole in cui è strutturata la Harvard University di Cambridge, nel Massachusetts. È un rappresentante, dunque, non solo della comunità che coltiva la “conoscenza consolidata”, ma anche una personalità molto vicina ai gruppi politici e militari degli Stati Uniti.

Questo suo libro è tuttavia un’invettiva contro quel populismo tanto dilagante negli Stati Uniti da aver portato alla Presidenza federale Donald Trump. Un populismo che non solo è ignorante. E non solo si vanta della propria ignoranza. Ma la ostenta con aggressività contro le “elite colte” che si prenderebbero gioco del popolo.

Tom Nichols analizza il movimento che negli Stati Uniti fa dell’anti-cultura e, quindi, dell’anti-scienza – la sua bandiera. E spiega anche perché questo movimento ha successo nella nazione che fonda la sua leadership mondiale sulla conoscenza e, in particolare, sulla scienza. Sì, perché anche la potenza economica e militare USA sono fondate sulla conoscenza e, in particolare, sulla scienza.

Sono tempi pericolosi Tom Nichols

Sono tempi pericolosi, dice Tom Nichols, anche perché una parte maggioritaria degli americani si dice a favore di un intervento militare a favore dell’Ucraina e contro la Russia, non avendo la minima idea non solo dei motivi che oppongono l’Ucraina e la Russia, ma neppure di dove sia l’Ucraina.

Tom Nichols teme l’ignoranza al potere. E fa l’esempio dei tragici effetti che questa condizione produce. Uno tra i tanti: il presidente del Sud Africa, Thabo Mbeki, che intorno all’anno 2000 si oppose alla comunità scientifica internazionale, dichiarando che non esisteva un rapporto tra il virus HIV e la malattia dell’AIDS, che i farmaci proposti non erano dunque efficaci e portando così alla morte anticipata decine di migliaia di suoi concittadini.

La cultura e l'estremismo populista confliggono

The Death of Expertise spiega anche perché la campagna contro la “established knowledge” funziona. Nei tempi nuovi e scomodi della nuova globalizzazione le fasce più esposte e meno attrezzate culturalmente della popolazione – classe media o proletaria in difficoltà – tende a seguire pifferai magici che indicano facili obiettivi da individuare e combattere come nemici. Questi facili obiettivi sono piccole e, in genere, innocue minoranze: gruppi individuati su base etnica o sociale (ebrei, zingari, migranti o persino i più poveri tra i poveri, indicati come parassiti e fannulloni che vivono alle spalle “di chi lavora”). E, ovviamente, dice Nichols tra i nemici ci sono gli intellettuali e i portatori di saperi esperti che invece tendono ad analizzare con spirito critico la complessità delle vicende umane: politiche, economiche, sociali e anche militari.

Ecco perché i movimenti populisti sono anche anti-cultura.

Fin qui, nulla di nuovo. Basta richiamare alla memoria la nota e tragica frase – quando sento la parola cultura metto mano alla pistola – pronunciata quasi novant’anni fa da Joseph Goebbles, il giornalista tedesco nominato Ministro della Propaganda del Terzo Reich da Adolf Hitler.

La cultura e l’estremismo populista confliggono. E, dunque, l’analisi di Tom Nichols, pur essendo esatta, non costituisce una novità. Piuttosto una (sacrosanta) denuncia. Più che mai attuale anche per noi europei, visto che il populismo estremista è ormai al potere in molti paesi del Vecchio Continente.

I votanti hanno la responsabilità di imparare Tom Nichols

E, tuttavia, vi sono alcuni passaggi del libro di Nichols che non sono affatto scontati. Perché chiamano in causa le responsabilità degli intellettuali e dei saperi consolidati. Responsabilità che non consistono solo negli errori fattuali che “chi sa” ha commesso e continua a commettere. Primo fra tutti, quello di aver contribuito a fare della “società globale della conoscenza” la società con il maggior tasso di disuguaglianza nella storia dell’umanità.

Ma – va da sé – questi errori non possono essere certo superati dall’ignoranza. Occorre, al contrario, maggiore conoscenza e un suo miglior utilizzo.

No, quello che è meno scontato nel libro di Tom Nichols è l’indicazione di un’altra colpa degli intellettuali e dei saperi esperti, compresi gli scienziati. L’errore di non aver stabilito un dialogo vero con il grande pubblico dei “non esperti”. Di essersi illusi di poter trascendere la democrazia, affidando a elite di esperti le scelte di fondo della società.

In una società democratica e di massa, questa è un’illusione. Tutti noi, anche se non esperti, vogliamo compartecipare alle scelte. Di qualunque tipo e genere. Fosse anche un intervento militare in Ucraina o la somministrazione di farmaci.

E, per evitare che in questa società vincano – come, ahimé stanno vincendo – le forze dell’irrazionalismo c’è una sola strada da percorrere, per “chi sa”. «Gli esperti hanno la responsabilità di educare». O, per meglio dire, aggiungiamo noi, di dialogare in maniera efficace con il grande pubblico, cui competono le decisioni finali su ogni e qualsiasi argomento (nell’ambito dell’articolazione politica della società). Il grande pubblico che scegli in democrazia ha a sua volta a un preciso dovere, sostiene Tom Nichols: «I votanti hanno la responsabilità di imparare».

Solo il grande pubblico può infatti decidere la direzione da conferire alle grandi scelte che afferiscono alle loro famiglie e al loro paese. E solo al grande pubblico compete la responsabilità ultima di queste decisioni. E lo deve fare con umiltà. Cercando di imparare. Di esercitare lo spirito critico.

«Ma gli esperti hanno l’obbligo di aiutarlo, il grande pubblico. Questo è il motivo per cui ho scritto questo libro», sostiene Tom Nichols.

E questo, si parva licet, è il motivo per cui lo recensiamo.

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