SOCIETÀ

Europa, le ragioni di un crollo

Lo confermano anche le ultime elezioni tedesche, con un crollo della coalizione di governo nonostante i buoni risultati economici degli ultimi anni: viviamo in un mondo sempre più difficile da interpretare, anche da un punto di vista politico. “Noi storici siamo fortunati a non dover far previsioni; se facessi il giornalista troverei difficilissimo scrivere un commento alla settimana, o addirittura ogni giorno. Soprattutto in un periodo come questo”. Sorride Donald Sassoon mentre parla nel suo italiano perfetto, appena velato di aplomb british, frutto dell’adolescenza passata a Milano. È ancora mattina a Palazzo Luzzato Dina, sede del dipartimento di Scienze storiche, Geografiche e dell’Antichità (DiSSGeA): qui lo storico britannico ha da poco concluso un periodo di quattro mesi come Visiting Professor, durante i quali ha anche tenuto un ciclo di conferenze pubbliche su L'alba della Contemporaneità (1870-1914). Allievo di Eric Hobsbawm e docente emerito di storia contemporanea alla Queen Mary University di Londra, Sassoon nella sua opera ha saputo unire al rigore scientifico il successo presso il grande pubblico (il suo libro su Monna Lisa è tradotto in 10 lingue, tra cui l’italiano): a lui ci rivolgiamo per qualche domanda sull’attualità, non per improbabili previsioni ma per allargare la visuale e andare alle radici della situazione.

Ci dica professore: cosa sta succedendo? Molte delle ultime vicende sembrano aver minato la possibilità stessa di fare previsioni.

La situazione è confusa ma i fatti sono abbastanza chiari: siamo entrati in un’epoca nuova, diversa dalle precedenti.

Come è successo?

Più o meno con la crisi finanziaria del 2008, anche se ultimamente gli eventi hanno avuto un’accelerazione. Se tre anni fa avessi detto che il Regno Unito sarebbe uscito dall’Unione Europea, Marine Le Pen avrebbe preso il 30% alle elezioni o che Donald Trump sarebbe diventato presidente degli Stati Uniti, mi avrebbero preso per matto.

Perché tutto questo sta accadendo?

Da qualche anno assistiamo un po’ dappertutto allo sfaldamento dei sistemi politici occidentali. Prendiamo per esempio quello austriaco: era uno dei più solidi, governato per decenni da una coalizione tra popolari e socialdemocratici. Ebbene alle ultime elezioni presidenziali sono arrivati al ballottaggio un candidato verde e uno liberale, appartenente a un partito di destra fino ad adesso abbastanza insignificante. In Grecia e in Spagna i partiti storici della sinistra, Pasok e Psoe, sono gravemente indeboliti, e persino nei paesi scandinavi crescono i partiti di destra. Me non è solo una questione europea: guardiamo le primavere arabe, o quello che sta succedendo nella Turchia di Erdogan e nell’India di Narendra Modi. Dappertutto il modo tradizionale di fare politica sta affrontando un cambiamento radicale.

Spesso si parla dei cosiddetti populismi.

Sì, ma non bisogna limitare il discorso esclusivamente ai partiti di destra: ci sono anche Syriza in Grecia e Podemos in Spagna. Oggi la gente è talmente inacidita contro i vecchi sistemi da votare chiunque si presenti come nuovo: si chiami anche Marine Le Pen. Il ché non significa che sono tutti sullo stesso piano.

In Francia comunque ha vinto Macron.

Sì, ma al grido “ni de gauche ni de droite”: quello che nell’Italia degli anni Quaranta era il tipico slogan qualunquista. Anche lui mai eletto prima, come Trump e Berlusconi. Dovrà per forza continuare la politica di austerity di Hollande, e allora usciranno i problemi. Anche se nemmeno De Gaulle sulla carta aveva il suo potere, la sua è in realtà una forza debolissima.

Persino il Regno Unito è sconvolto dalla Brexit.

Anche qui il sistema si è sfaldato. C’è un partito conservatore ormai cronicamente debole, che non vince “bene” le elezioni ormai dal 1997. Ha vinto di poco nel 2010 e ha dovuto allearsi con i liberaldemocratici; ha vinto con una maggioranza striminzita nel 2015 e per mettere a tacere la sua ala destra il premier Cameron ha indetto il referendum sulla Brexit. Pensava di vincerlo, invece ha provocato un putiferio; in seguito Teresa May, subentrata a Cameron, ha creduto ai sondaggi – mai farlo! – e alle ultime elezioni ha perso addirittura la maggioranza in parlamento.

Intanto a sinistra emergono personaggi come Sanders e Corbyn.

Negli Usa è stato addirittura clamoroso: ha avuto un successo straordinario uno come Bernie Sanders; uno che si definisce socialista in un paese in cui l’espressione liberal è considerata da molti un insulto. Eppure tantissimi giovani hanno votato per lui. Anche Corbyn è diventato leader per volontà degli elettori, che si sono iscritti in massa al partito laburista per votarlo, contro il 90% del suo gruppo parlamentare. Sia Sanders che Corbyn sono percepiti come persone sincere normali, che non pensano ai sondaggi prima di parlare, e soprattutto sono contro il sistema, dissidenti all’interno dei loro stesso partiti.

Solo la Germania sembrava sorprendentemente stabile.

Ma le ultime elezioni confermano la debolezza della sinistra in tutta Europa (lo SPD ha ottenuto il suo peggiore risultato del dopoguerra), le difficoltà di conservatori ‘illuminati’ come Angela Merkel e la crescente forza della destra xenofoba. Meno male che la Merkel rimane alla guida del governo, altrimenti chissà cosa succede. Questo però non lo scriva, altrimenti si arrabbiano i miei amici socialdemocratici tedeschi…

La domanda è come siamo arrivati a questo punto.

Per capirlo occorre fare un passo indietro: almeno all’inizio del secondo dopoguerra: l’epoca in cui in Occidente è stato costruito un certo modello di società e di sistema economico. Che poi è entrato in crisi più o meno all’inizio degli anni Ottanta.

Di cosa di trattava?

C’era una specie di accordo implicito tra destra e sinistra: lo stato doveva e poteva intervenire nell’economia, anche in maniera pesante. Da parte sua la sinistra, malgrado una certa retorica, di fatto accettava il capitalismo in una sua versione riformata ed edulcorata, dall’altra i cosiddetti partiti di destra accettavano di temperarlo con politiche sociali e inclusive. Del resto in Italia, Germania e Austria erano al potere i partiti cristiano-popolari, che condividevano alcuni valori sociali e avevano in sospetto una certa idea di capitalismo individualista, quella del tutti contro tutti. Anche il gollismo però non era del tutto filocapitalista, e persino il partito conservatore britannico, al potere dal 1951 al 1964, non tentò affatto di smantellare il sistema di Welfare creato dal governo laburista di Clement Attlee.

E negli Stati Uniti?                                                                                                                                 

Anche qui, fin dall’epoca del New Deal fu costruito un sistema di Welfare, più piccolo rispetto a quello europeo ma comunque molto più grande rispetto alla situazione precedente. I progressi più forti ci furono però durante la presidenza di Lyndon Johnson, con i diritti civili e le riforme del Medicare e Medicaid, e la sua opera fu continuata proprio dall’uomo più disprezzato a sinistra: Richard Nixon. Il Clean Air Act (una delle leggi più importanti sull’ecologia, ndr) e la lotta alle discriminazioni tra uomo e donna furono passaggi fondamentali.

Quando entra in crisi questo patto?

Di solito si indica come spartiacque l’elezione di Reagan e della Thatcher, oppure l’inizio della globalizzazione, ma sono risposte che come storico non posso considerare soddisfacenti; andrebbero comunque spiegate. Dal mio punto di vista ad esempio è più importante il ruolo di François Mitterrand: dopo la vittoria alle elezioni nel 1981 – anche con i voti dei comunisti, che all’inizio sono anche al governo –  il presidente francese cerca di portare avanti una politica in parte alternativa al modello capitalista, ma nel giro di due anni è costretto a fare marcia indietro. Divenendo in seguito un modello di sinistra “vincente” in tutta Europa.

Così, all’inizio degli anni Ottanta, il modello vincente è il cosiddetto neoliberismo…

Si inizia a pensare che occorra meno stato nell’economia. Insomma tra il 1945 e il 1975, per dirla come il vostro Gramsci, l’egemonia culturale è a sinistra anche quando al potere ci sono i partiti conservatori o di centro: in Inghilterra si parla di Socialdemocratic Consensus. Negli anni Ottanta invece l’egemonia passa a destra: i partiti di sinistra si adattano alla nuova ideologia oppure cercano di difendere le conquiste del passato. Diventano cioè conservatori.

Quanto dura questa fase?

Nel 2008 negli Stati Uniti arriva la crisi dei mutui subprime, e con questa l’austerity. E questo è un problema: in fondo il neoliberismo non è mai stato troppo amato, nemmeno nei Paesi occidentali. Sono apprezzati la crescita, la ricchezza, il lavoro; il capitalismo in sé non ha mai troppo scaldato i cuori, a differenza del socialismo, del nazionalismo e persino del cattolicesimo politico. I partiti fieramente filocapistalisti in Europa sono stati sempre piccoli e abbastanza marginali: in Inghilterra i Liberals scompaiono nell’800; in Italia liberali e i repubblicani, in Francia i Radicals erano votati da imprenditori e i professionisti. L’idea che da soli avrebbero potuto prendere la maggioranza era semplicemente assurda.

Perché oggi c’è tanta rabbia contro il sistema? Colpa delle disuguaglianze?

In realtà non credo che sia l’aspetto fondamentale: le disuguaglianze in fondo si possono accettare, a patto però di fare tutti un passo avanti. Una volta pochissimi avevano la macchina, oggi ce l’hanno tutti; poi c’è sempre quello che ha la Ferrari, ma in fondo stiamo tutti meglio. Inoltre le disuguaglianze non sono strettamente connesse al capitalismo: infatti sono diminuite tra le due guerre e nei primi anni del secondo dopoguerra, anche nei Paesi occidentali. Forse, nello scontento generale, conta di più il consumismo, e soprattutto l’idea che si sia rotto l’ascensore sociale.

E l’Italia?

Come al solito in queste cose è all’avanguardia: già 25 anni fa con tangentopoli abbiamo assistito al crollo di quello che a noi osservatori esterni sembrava il sistema partitico più forte d’Europa. Il Partito Comunista e la Democrazia Cristiana avevano milioni di iscritti, erano stabili e ramificati nella società con banche, cooperative, parrocchie, sindacati… veri e propri pilastri della società.

Come mai quel tracollo?

In realtà un’analisi forte non c’è ancora stata. Colpa del crollo del muro? E perché anche la Democrazia Cristiana avrebbe dovuto sparire? Corruzione? Come se nessuno sapesse niente: c’erano scandali prima e ce ne sono stati anche dopo. Il punto però è di chi arriva poi al potere. Un signore mai eletto prima, molto ricco e noto attraverso le televisioni: Silvio Berlusconi. Oltre 20 anni in anticipo su Trump. Quanto a quello che accadrà alle prossime elezioni… nessuno lo sa.

A volte si fa un parallelo tra la situazione attuale e la Belle Époque, con un’Europa in decadenza e i rischi di una nuova grande crisi. Dobbiamo preoccuparci?

Da storico non faccio previsioni, però non esageriamo. La fine del sistema europeo creatosi tra gli anni Cinquanta e Sessanta dell’Ottocento è dovuta essenzialmente alla prima guerra mondiale, cui è seguita la rivoluzione russa, il fascismo e il nazismo, la profonda integrazione tra Usa e Europa, che peraltro ha fatto sì che la Grande Depressione del ’29 si diffondesse al di qua dell’oceano. Non sono fatti da poco: si tratta di eventi assolutamente straordinari. Certo in Occidente la crescita economica è diminuita, ma non è ancora cessata; le disuguaglianze e le tensioni sociali sono certamente aumentate, ma non esplose. Insomma all’orizzonte non si vedono ancora cambiamenti così catastrofici. Per il momento.

Daniele Mont D’Arpizio

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