SCIENZA E RICERCA

Gorilla, quando la consanguineità è un vantaggio

Sono nostri cugini, non troppo lontani, e sono la prova vivente della creatività con cui evolvono le specie. Vivono in piccoli gruppi isolati da molte centinaia di secoli. E hanno un profilo genetico pressoché identico. Sono infatti riusciti a fare di necessità virtù e a riprodursi per centomila e più anni senza problemi tra fratelli e sorelle e parenti prossimi. Se ne infischiano allegramente delle leggi che inducono a evitare l’endogamia e a prediligere la diversità. E possono essere dunque considerati – a seconda dei punti di vista – esempio tra i più clamorosi delle capacità di adattamento delle specie viventi o, al contrario, una sfacciata trasgressione, con il loro ristrettissimo universo di selezione, delle leggi che assicurano, su base statistica, la sopravvivenza del più adatto. Sia come sia, è un fatto che da millenni i gorilla di montagna (Gorilla beringei beringei), sono felicemente insediati sui rilievi vulcanici del Virunga, al confine tra Ruanda, Uganda e Repubblica Democratica del Congo, e, sebbene siano stati considerati fino a qualche settimana fa una specie in via di estinzione, è evidente che si trovano relativamente bene se stanno aumentando di numero. 

Sono queste, a grana grossa, le conclusioni cui sono giunti Yali Xue, del Sanger Institute di Hinxton, Gran Bretagna, e il suo gruppo di collaboratori, tra cui l’italiano Luca Pagani dell’Università di Bologna, che tre anni fa hanno portato a temine il sequenziamento completo del genoma di alcuni esemplari di quelle peculiari grandi scimmie antropomorfe. Ora sono riusciti a elaborare un’analisi comparata tra il Dna dei gorilla di montagna e il Dna dei gorilla di pianura, che vivono in gruppi molto più estesi in regioni più occidentali dell’Africa. I risultati di queste analisi, non certo attesi, sono stati pubblicati ad aprile su Science

L’analisi del Dna dei Gorilla beringei beringei ha dimostrato, non senza sorpresa, che il declino della popolazione dei gorilla di montagna è reale, ma non è un fenomeno recente. È iniziato almeno 150.000 anni fa. La popolazione, ridotta a pochissime centinaia, è stabile da almeno 100.000 anni. Altri dati, presi sul campo, indicano che l’erosione demografica sembra essersi arrestata e ora la popolazione dei gorilla di montagna è in crescita. Chi, come i Gorilla doctors (una partnership  tra il Mountain Gorilla Veterinary Project e l’ UC Davis Wildlife Health Center), se ne sta prendendo cura, assicura che i 253 esemplari contati nel 1981, forse un minimo storico, ora sono pressoché raddoppiati: ce ne sarebbero, infatti, circa 480. In questo caso non c’entra tanto la genetica, quanto il fatto che il Virunga è diventato un grande parco e tanto la distruzione dell’habitat quanto la caccia sono stati drasticamente ridotti.

La genetica c’entra, invece, per la sopravvivenza di lungo periodo. L’analisi comparata tra il Dna dei gorilla di montagna e quello dei loro fratelli di pianura (Gorilla gorilla gorilla) ha infatti dimostrato che lassù, sul Virunga, la diversità genetica è decisamente inferiore. Il 34% delle sequenze dell’acido deossiribonucleico dei Gorilla beringei beringei risulta omozigote (in pratica, è identico in ciascun individuo). Una omogeneità che è due o tre volte superiore a quella dei loro fratelli di pianura. Il che è tutto sommato normale, vivendo i gorilla di montagna da lungo tempo in gruppi molto piccoli. Ma la sorpresa autentica è che tra i gorilla del Virunga sono assenti proprio gli alleli (le diverse forme dei geni) più pericolosi, quelli che espongono i loro fratelli di pianura a una serie di gravi malattie genetiche. L’unione sistematica tra parenti stretti ha dunque portato a selezionare gli alleli “buoni” e a escludere gli alleli, recessivi, che espongono i Gorilla gorilla gorilla, laggiù in pianura, a rischi gravissimi.  Probabilmente, grazie all’endogamia, sono sopravvissuti i gruppi familiari che non erano portatori di alleli “cattivi”, mentre si sono estinti quelli che invece avevano alleli pericolosi.

La consanguineità ha dunque funzionato al contrario. Da elemento che esalta il rischio di malattie genetiche, come avviene tra noi, Homo sapiens, ma anche tra gli altri sottogruppi di gorilla, a elemento che abbassa il rischio. 

La scoperta, per quanto sorprendente, non mette certo in discussione la teoria dell’evoluzione biologica per selezione naturale del più adatto. Dimostra solo che l’evoluzione non segue strade rigide e uguali per tutti, ma è dotata di notevole creatività. Per cui un fattore, come la riproduzione endogamica, che in alcune specie rappresenta un rischio, per altre specie (e persino per altre sottospecie) può rappresentare un’opportunità. 

È abbastanza dimostrato, infatti, che quando una popolazione isolata di una qualsiasi specie si riduce al di sotto di una certa soglia, la riproduzione endogamica diventa prevalente e accelera il declino fino all’estinzione della specie. Nel caso dei gorilla di montagna ha invece consentito l’eliminazione degli alleli recessivi più pericolosi e si è dimostrata un’opportunità, invece che un rischio.

Pietro Greco

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