Tmesipteris oblanceolata. Foto: Pol Fernandez/Kew Gardens
A volte, l’apparenza inganna. E questa massima vale non soltanto nelle società umane, ma anche nel mondo naturale. Spesso, infatti, in organismi all’apparenza semplici e di poco conto si nascondono caratteristiche inaspettatamente interessanti.
È il caso di una piccola e rara specie di felce, endemica della Nuova Caledonia (un piccolo arcipelago situato a est del continente australiano e, politicamente, territorio d’oltremare della repubblica di Francia), che è assurta agli onori delle cronache proprio per un tratto biologico che sarebbe impossibile da indovinare, osservandola dall’esterno. Tmesipteris oblanceolata – questo il nome scientifico della specie – è stata infatti riconosciuta come l’organismo con il genoma più grande di tutto il dominio eucariote. Ad effettuare la scoperta è stato un gruppo internazionale di ricercatori, che ne ha dato notizia sulla rivista scientifica iScience.
Quando l’abito non fa il monaco
È noto che, tra gli eucarioti, la grandezza del genoma (calcolata in base al numero di basi azotate che compongono l’intera sequenza di DNA nucleare di una specie) sia molto variabile. In generale, i genomi più lunghi sono stati individuati nel regno vegetale, e in particolare tra le piante vascolari, il cui DNA ha una variabilità, in termini di ampiezza, di circa 2400 volte (cioè, i DNA più estesi sono 2400 volte più grandi di quelli più ridotti). Il genoma aploide di T. oblanceolata presenta dimensioni davvero ragguardevoli: 160.000 Mb (megabasi, cioè milioni di coppie di basi azotate). Inoltre, questo corredo genetico viene ripetuto per ben otto volte in ogni cellula, poiché, come i ricercatori hanno accertato, la specie in questione è ottoploide (ognuna delle sue cellule contiene otto copie degli stessi cromosomi).
Prendendo come termine di paragone il genoma umano, la differenza in termini di ordine di grandezza è più che evidente: in ogni cromosoma umano, infatti, sono presenti circa 3.200 Mb, un cinquantesimo di quelle che compongono il genoma della felce neocaledoniana. Anche usando come riferimento una specie più vicina a quella di nostro interesse, come la pianta angiosperma Paris japonica – la precedente detentrice del primato per il più esteso genoma tra gli eucarioti – la differenza non è trascurabile, dato che il genoma di T. oblanceolata supera in dimensioni quello di P. japonica (consistente in 148.000 Mb) ben del 7%.
Come sottolinea in una dichiarazione Jaume Pellicer, uno degli autori dello studio, questo non è l’unico aspetto di unicità che caratterizza T. oblanceolata: « Tmesipteris è un genere di felci unico e affascinante, i cui antenati si sono evoluti circa 350 milioni di anni fa, ed è caratterizzato dalla modalità di sviluppo epifitica [nasce e si sviluppa su altre piante, n.d.r.] e dalla ristretta distribuzione geografica, limitata solo all’Oceania e ad alcune isole del Pacifico».
Questioni evolutive
A rendere questa scoperta di particolare interesse scientifico non è solo l’aggiunta di un ulteriore tassello alla nostra conoscenza – ancora tutt’altro che completa – della biodiversità del pianeta, e in particolare del mondo vegetale. La scoperta di un genoma così vasto (non solo in termini di paia di basi azotate, ma anche di ploidia) solleva infatti diverse questioni rilevanti sul piano teorico.
In primo luogo, gli autori si chiedono se questa scoperta segni, in termini di ampiezza del DNA nucleare, un limite massimo per la grandezza dei genomi in natura. «Questi risultati, associati alla conoscenza della diversità dell’estensione minima dei genomi – scrivono gli autori nell’articolo – suggerisce che ora conosciamo, o siamo molto vicini a conoscere, i limiti della diversità della grandezza del genoma degli eucarioti».
Un altro tema sollevato dalla scoperta dell’esistenza di un genoma così esteso riguarda la sua ‘sostenibilità’ in termini evolutivi. È molto noto, in biologia evoluzionistica, il cosiddetto “enigma del valore C”. Per “valore C” si intende la quantità di DNA (espressa in picogrammi) contenuta in un singolo nucleo aploide: nel dominio degli eucarioti, il tasso di variabilità di questo valore è, come accennato, altissimo, ma non sembra avere alcuna diretta correlazione con il livello di complessità degli organismi, come il caso di T. oblanceolata sembra confermare. La questione rimane aperta, anche se questa nuova scoperta contribuisce a far luce su questo enigma del mondo naturale: «I rapidi progressi nel sequenziamento del DNA stanno fornendo prove concrete che dimostrano che le variazioni nella quantità di DNA derivano principalmente da differenze nella frequenza della poliploidia, dall’abbondanza di DNA ripetitivo non codificante e dalle dinamiche dei processi che amplificano, erodono e cancellano il DNA. Tuttavia, rimane incerto se abbiamo scoperto l’intera gamma della diversità delle dimensioni del genoma», precisano i ricercatori.
Infine, un altro quesito su cui questo filone di ricerca porta a interrogarsi è il valore adattativo di un corredo genetico così esteso e ridondante. Come affermano gli autori dello studio sulla felce T. oblanceolata, avere un DNA di dimensioni così ragguardevoli è solitamente più uno svantaggio che un’opportunità per i suoi portatori: tra le piante, quelle con genomi più grandi tendono ad avere tassi di crescita molto lenti, una minore efficienza in termini di attività fotosintetica e un maggior fabbisogno di micronutrienti come fosforo e azoto, risultando così sfavorite in un’eventuale competizione con piante dal genoma più ridotto – condizione che può rivelarsi fatale soprattutto in un periodo di rapido cambiamento ambientale, come quello odierno.