CULTURA

L’eco di una rivolta dimenticata

L’eco della rivolta degli schiavi neri di Haiti, una rivoluzione dimenticata, che portò nel 1804 alla fondazione della prima repubblica nera del pianeta è stata vastissima. Anche in letteratura e filosofia possiamo trovare importanti riferimenti alla rivoluzione haitiana. Nel 1855 Melville scrive Benito Cereno sullo sfondo la ribellione dei neri del centroamerica; le celebri pagine sulla dialettica servo-padrone della Fenomenologia dello Spirito (1807), secondo Susan Buck-Morss, hanno come palinsesto i fatti di Haiti, Hegel, infatti, ne poteva leggere sulla rivista storico-politica “Minerva”, già nota al filosofo tedesco dagli anni del suo soggiorno a Berna. Ma anche Manzoni, in contatto con la Société des amisdes Noirs, rivela qualche legame con Haiti. In una delle varianti della Pentecoste, edita nel 1822, leggiamo "del bellico/ coltivator d’Haiti/ fido agli eterni riti/canta, disciolti il piè".Nella redazione finale i versi che si richiamavano alla lotta per la libertà degli haitiani s’inabissano per lasciare spazio a una notazione da Lonely Planet come "l’irta Haiti" e così i lettori della versione ultima, scriverà Fortini in un tesissimo saggio del 1973, "non hanno mai saputo che cosa stesse dietro quel nome di libertà".

Ogni discorso sulla rivoluzione di Haiti però non può prescindere da un classico come I giacobini neri di  Cyril Lionel Robert James, uscito nel 1938, e che Derive Approdi adesso ristampa con l’introduzione di Sandro Chignola.

Haiti è la colonia più ricca e redditizia dell’emisfero occidentale: 500.000 schiavi al servizio di circa 40.000 proprietari di piantagioni lavorano in condizioni disumane per la maggior gloria della Francia. Nel 1789 la rivoluzione dissolve l’ancien régime e nel 1791 anche le Antille francesi entrano in subbuglio, si ribellano e iniziano una guerra di liberazione. Un paio date decisive: l’instabile abolizione della schiavitù nel 1794 da parte della Convezione Nazionale e il 1804, anno dell’indipendenza dalla Francia. Il voodoo s’incrocia con la Marsigliese: "Eh Eh! Heu! Heu! Canga, bafio tè!Canga, mouné de lé! Canga, do ki la! Canga li! Giuriamo di distruggere i bianchi e tutto ciò che posseggono; moriremo piuttosto che infrangere questo voto". 

Commenta James: "i coloni ben conoscevano questo canto e si sforzarono di reprimerlo insieme al culto Voodoo al quale si ricollegava. Inutilmente. Per duecento anni gli schiavi intonarono quell’inno nelle loro adunanze, così come gli ebrei a Babilonia cantavano di Sion".

Cyril Lionel Robert James (scomparso nel 1989), storico di Trinidad, esperto di cricket, militante terzomondista,romanziere, traccia il grande affresco di una rivoluzione dai tratti prometeici, che affrontò in sequenza Napoleone e il suo tentativo di ripristinare la schiavitù nel 1801, l’Inghilterra e la Spagna, e che si presentò, in seguito, come un modello per tutti i movimenti anticoloniali a venire. 

"Gli schiavi distrussero metodicamente e instancabilmente. Come i contadini della jacquerie o della sommossa dei Luddisti essi cercavano la propria salvezza nel modo più ovvio, cioè con la distruzione di ciò che sapevano essere la causa delle loro sofferenze e se distrussero tanto fu perché avevano tanto sofferto".

La violenza rivoluzionaria che attraverserà l’isola per più di un decennio inquietò i bianchi perché capovolgeva l’immaginario coloniale dello schiavo nero buono remissivo, ubbidiente o, che è l’opposto speculare, del nero subumano, crudele e logicamente incapace; tuttavia essa non rimase al livello di una sanguinosa insorgenza o di una violenta ordalia contro i bianchi (come quella vista nel Django Unchained di Tarantino). La rivoluzione haitiana, infatti, non fu solo l’inaudita attualizzazione di una potenzialità eversiva da parte di una popolazione oppressa ma anche l’edificazione di un nuovo ordine sociale che realizzava, al di là dell’Atlantico, i valori universali della Rivoluzione Francese. 

Descrivendo la complessa stratificazione sociale di Haiti, divisa tra proprietari e manovalanza bianca, mulatti, neri affrancati e la moltitudine degli schiavi, James mostra come nell’isola, e come in ogni meccanismo rivoluzionario, si generò ben presto una durissima polarizzazione tra padroni e schiavi (una sorta di proletariato coloniale), interpretata dall’autore come un moderno scontro di classe non riconducibile esclusivamente a una dialettica razziale tra bianchi e neri.

Il marxista James, che non dimentica il ruolo della personalità nella storia, esalta, non senza rilevarne importanti contraddizioni, la personalità e la politica di Toussaint L’Ouverture, il nero libero che dal caos haitiano "avrebbe gettato le basi di uno stato negro che perdura ancora oggi", ma ad essere enfatizzata è soprattutto la capacità di Toussaint di rappresentare i bisogni e le aspirazioni della grande massa degli schiavi.

Maddison Smart Bell nella sua biografia, uscita nel 2007, parla di catalytic role di Touissant in grado di mettere la Francia di fronte ai limiti dell’universalismo della libertà e dei diritti limitati all’Europa: "capo di una massa arretrata e ignorante, egli fu comunque all’avanguardia del grande movimento storico del suo tempo. I neri stavano facendo la loro parte nella distruzione del feudalesimo europeo iniziata con la Rivoluzione Francese, e libertà e uguaglianza, le parole d’ordine della rivoluzione, significano molto più per loro che per qualsiasi francese"

James, ma si ricordi Black Reconstruction di W.E. du Bois del 1935, inaugura conI giacobini neri la messa in crisi della storiografia eurocentrica fondata su una visione geometrica tra periferia e centro e su una visone gerarchica tra cuore della storia universale e marginalità subalterna, e fa di una colonia dell’Atlantico la punta più avanzata delle idee illuministe, più della stessa Francia, tanto che lo stesso storico dirà in seguito che nessuna storia occidentale può escludere dal proprio racconto la storia delle Antille Francesi e del loro formidabile appropriarsi dei principi rivoluzionari.

Diversamente da V.S. Naipaul, premio Nobel nel 2001 e maggior scrittore di Trinidad, per il quale nelle Indie occidentali non è mai stato creato niente di interessante, per James, che non cadrà mai in una sorta di etnocentrismo alla rovescia, Haiti ha una storia e la deve a figure come Toussaint, Henry Christophe, Jean-Jacques Dessalines. Dirà James in una conversazione del 1986:

"Mi ero stancato di leggere che gli indo-occidentali erano oppressi, che eravamo neri e miserabili, che eravamo stati deportati dall’Africa, che vivevamo lì e che eravamo sfruttati, e dissi – lo dissi quando vivevo ancora nei Caraibi – mi sono stancato di tutto questo. Ci deve essere qualcosa sugli indo-occidentali a parte essere sfruttati. E allora mi sono detto, devo scrivere la storia della rivoluzione di Haiti". 

Sebastiano Leotta

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