SOCIETÀ
L'uomo e la guerra: la storia perde sempre
La città antica di Palmira, minacciata dalla guerra in Siria. Foto: Reuters/Khaled Al Hariri
Oltre 200.000 persone sono morte nel corso del conflitto siriano; in milioni fuggono da un Paese ridotto in macerie. Pende la scure sopra le città storiche di Aleppo, Damasco, Bosra, sopra gli antichi villaggi del nord del paese e sui castelli millenari di Crac des Chevaliers e Qal’at Salah El-Din. Agli occhi occidentali, le minacce dell’Isis a Palmira hanno trasformato le sue rovine, già da anni abbandonate all’incuria, nel simbolo della barbarie anche culturale dello Stato Islamico, che già quest’anno ha ridotto in polvere l’antico palazzo assiro di Nimrud, in Iraq, perché monumento al politeismo.
Solo nel 2013 l’Unesco ha lanciato l’allarme per la salvaguardia dei principali siti monumentali siriani, inserendoli nell’elenco “World Heritage in Danger”. Ad oggi nel mondo, secondo questa lista, sono 46 i patrimoni dell’umanità che rischiano di scomparire o di rovinare irreparabilmente. A minacciare questi luoghi non sono solo esasperate situazioni di conflitto, come nel caso di Palmira, ma anche – e più frequentemente - spregiudicate operazioni speculative, ardite pianificazioni urbane e territoriali, progetti tecnici, industriali o infrastrutturali irrispettosi.
Sono 1.007 i siti iscritti nella lista Unesco dei patrimoni dell’umanità, e solo qualche decina i tesori più fragili. La quasi totalità di questi ultimi si concentra però nelle zone più a rischio del pianeta. E se la Siria, l’Afghanistan, l’Iraq, la Palestina individuano un’area rossa che racchiude circa un quarto dei luoghi a rischio, soprattutto a causa dei disordini, delle guerre, dei conflitti infiniti che li flagellano, il Centro-America è la zona dove si concentrano più fittamente le minacce provenienti da elementi legati allo sviluppo della società. Come accade per la barriera corallina del Belize, intaccata dal turismo, dallo sfruttamento dei fondali per la ricerca di petrolio e gas, dalla pesca indiscriminata; o come succede a Panama, dove le fortificazioni del lato caraibico dello stato, erette dagli spagnoli alla fine del 17° secolo, oggi versano in stato di abbandono, erose dal tempo e dall’espansione urbana. O il disinteresse, la semplice incuria.
Nel continente africano, il solo Congo conta ben cinque luoghi in pericolo, riserve naturali che ormai da decenni subiscono i colpi indiscriminati di guerre e disordini, in un clima di violenza dove la conservazione del patrimonio naturale non è, com’è da aspettarsi, fra le priorità del governo e della popolazione. Un’altra decina di luoghi a rischio sono distribuiti nell’Africa subsahariana, costituiti per lo più straordinari parchi naturalistici, casa di infinite specie animali, ma anche da città dagli antichi fasti, come Timbuctù, e complessi storici stupefacenti, come quello della Tomba di Askia, costituito da un insieme di edifici monumentali tradizionalmente costruiti in fango.
In occidente, è invece l’antropizzazione a causare i danni maggiori. Negli Stati Uniti, ad esempio, il parco nazionale delle Everglades, in Florida, entra nella lista nera dell’Unesco per la seconda volta: santuario di alligatori, coccodrilli, serpenti, anfibi, uccelli ospitati in un intreccio di mangrovie, aveva subito gravi danni in occasione del passaggio dell’uragano Andrew. Ma se in passato la causa della sua iscrizione nella lista nera è stato uno straordinario evento atmosferico, quest’ultima ricaduta è dovuta all’inquinamento, che ha di fatto portato all’eutrofizzazione dell’ecosistema acquatico.
Nemmeno i siti Unesco europei sono immuni da rischi. La vecchia area mercantile marittima di Liverpool è infatti minacciata dalla realizzazione del progetto Liverpool Waters, un enorme piano di sviluppo che coinvolge la zona portuale storica a nord del centro città, che ospiterà abitazioni, negozi, luoghi per lo sport e la cultura, e un terminal crociere. Il progetto prevede una radicale deformazione dello skyline della città inglese e, secondo il comitato Unesco, causerebbe la frammentazione e l’isolamento visuale dei moli storici.
Dove non ci si mettono le catastrofi naturali, arriva l’uomo, il pericolo più grave per questo fragile pianeta.
Chiara Mezzalira