SOCIETÀ
Multitasking? Cervello in pappa
“Lascia perdere i fumetti mentre fai cuocere il budino” tuona la nonna siciliana nelle strisce dell’illustratrice Fiamma Luzzati su Le Monde, facendone il corollario perfetto di molte teorie scientifiche che tutte convergono su un punto ormai pacifico: il multitasking fa male. La Luzzati, che collabora con Liberation e Le Monde, è italiana di origini sicule ma ha subito fatto suo, oltre allo spirito satirico delle bandes dessinées, anche un certo stile d’oltralpe nell’uso di immagini culinarie, forse perché si occupa anche di raccontare a fumetti il lavoro degli chef. E riecheggia nell’incipit del capitolo del suo blog L’avventura intitolato “il cervello non può fare due cose contemporaneamente” l’immortale saggezza del Barone St. Fontanel, il compagno del corso di cucina di Sabrina - Audrey Hepburn, che ebbe a sentenziare: “Una donna felice in amore lo brucia il soufflé, ma una donna infelice... Ahimè! Si dimentica di accendere il forno. Dico bene?”
Di certo lo brucia anche la donna che ha un sacco di altre cose da fare e non segue i consigli del web su come essere multitasking. Già, perché è così, il web: se su Google scrivi multitasking, metà dei link sono consigli su come diventarlo, soprattutto consigli a beneficio delle donne da parte di altre donne, e sempre cose inarrivabili tipo “prepara la caffettiera la sera prima così la mattina dopo dormi di più” (certo dipende da quanto caffè hai bevuto la mattina prima). L’altra metà, invece, dice che il multitasking fa male e non è un valore aggiunto. Il problema è che, come del resto le attività cui qualche sindaco dedicherebbe una via, chi lo sceglierebbe per professione se non costretto?
Si fa multitasking perché non se ne può fare a meno, insomma. E sì, forse a farne le spese (come a fare la spesa) sono soprattutto le femmine, perché fanno i figli tardi quando sono più stanche, hanno più lavori perché uno non basta, non hanno la governante e sono attratte dalla sconfinata offerta di servizi e attività rivolte all’infanzia, spendono un mucchio di soldi e per giunta tirano su piccoli multitasker. Gente destinata, dicono gli scienziati, ad essere rapita da una pletora di fonti di informazione, a diventare scaricatori di app e controllatori compulsivi di posta, social, rassegne stampa, video. Tipi stressati, inclini ad ansia e depressione, inconcludenti e distratti. Le madri sappiano che il giovane dedito ad un heavy multitasking può subire un temporaneo abbassamento del quoziente intellettivo di 15 punti (raggiungendo dunque in alcuni casi di menti povere in partenza la media delle temperature di gennaio sulle coste lapponi): tre volte di più di quanto accade al fumatore abituale di cannabis, che perlomeno è un tipo rilassato. Il prof. Glenn Wilson della London University ci avverte dal 2005, ma noi niente.
Il problema è che le possibilità sono proliferate e diventano massimamente potenti durante le riunioni di lavoro, in cui tutti fanno altro, da sempre: ma se una volta si facevano i disegnini ora con l’android si hanno molte più possibilità di perdizione: dal poker allo shopping. La tentazione è incalzante anche perché i mezzi di cui disponiamo sono complici e molto probabilmente perseguibili per favoreggiamento del multitasking: le suonerie diverse per whatsapp, posta, sms, le pubblicità che accompagnano la posta, i suggerimenti di Google, le offerte di viaggio, gli inserti video, tutti trillano invitanti il loro beep irresistibile come le sirene di Ulisse. Il lavoratore multitasker ci casca a piè pari e diventa un costo, in azienda, per il tempo che perde. C’entra la dipendenza, c’entra l’entusiasmo iniziale rispetto per questo paese dei balocchi apparentemente gratuito, c’entrerebbe il buon senso ma quello di solito non fa notizia e nel multitasking finisce per entrarci pochissimo.
È una notizia, al contrario, e molti lo hanno riportato, anche se i processi neurali associati al fenomeno sono ancora largamente inesplorati, che chi è immerso nel più pesante multitasking digitale subisce effetti cognitivi e psicosociali negativi. Recentemente una ricerca dello University College of London e dello University College of Sussex ha evidenziato che individui con alti indici di multitasking registrano minore densità di materia grigia nella corteccia cingolata anteriore. La definizione - che richiama al profano cui si è ridotto il cervello col multitasking la quantità di fango sotto i cingoli o le suole dette "carrarmato" - è riferita alla regione cerebrale preposta al controllo emotivo, e il fatto che si assottigli non è di suo gravissimo, spiegano gli autori; dipende dai punti di vista sull’autocontrollo, si potrebbe aggiungere.
Fiamma Luzzati nella sua inchiesta a strisce interroga sul tema Stanislas Dehaene, docente al College de France, studioso dei correlati neurali della coscienza, che in sostanza concorda con la nonna della Luzzati: il cervello non può fare due cose alla volta. Registra le informazioni, ma non passa tutto alla coscienza che chiude la porta e, attenendosi alle istruzioni impartite dal cervello, invita gli "iscritti" ad entrare uno alla volta ignorando le proteste di chi è registrato ma si ferma sulla soglia, e questo in virtù del fenomeno dell’attentional blink, ovvero interruzione dell'attenzione: si sprecano su youtube i video-test buffi per mettersi alla prova.
Certo, puntualizza Dehaene, poi ci sono gli automatismi accettati: leggere e ascoltare musica, guidare e cantare o ascoltare il podcast di un corso universitario. Ma non guidare e telefonare, sia ben chiaro, né, a breve anche in Italia, guidare e fumare coi minori a bordo. Che, in fondo, è un multitasking pure quello.
Silvia Veroli