SOCIETÀ

55 anni dopo la tragedia del Vajont

Frasègn, Le Spesse, Il Cristo, Pineda, Ceva, Prada, Marzana, San Martino e poi Longarone, Pirago, Faè, Villanova, Rivalta: questi sono solo i nomi dei paesi che alle 22:39 del 9 ottobre 1963 sono stati spazzati via da un'onda di 250 metri d'altezza. Questi paesi però erano persone, famiglie, bambini: erano 1.917 persone uccise da una tragedia annunciata.

55 anni dopo vogliamo ricordare la tragedia del Vajont attraverso le illustrazioni di Marco Roveroni ed i testi di Carlo Calore.

La tragedia del Vajont

La sera del 9 ottobre 1963 il bacino idroelettrico artificiale del Vajont tracimò, in conseguenza di una frana dal soprastante pendio del Monte Toc, distruggendo Longarone e colpendo Erto e Casso. Ci furono 1.917 vittime accertate, 14 dispersi e 1.941 feriti.

Sono gli uomini della società Adriatica di elettricità a progettare il grande Vajont. Ma la storia dello sfruttamento di questo torrente parte un'idea di inizio 900 e dal progetto di una diga alta alta solo 6 metri. Il piccolo Vajont crescerà. E nel 1959, con 261,6 metri, è una delle dighe più alte d'Europa.

1957. Il Consiglio Superiore dei lavori pubblici approva il progetto del grande Vajont anche se è necessario completare le indagini geologiche.

1959. I geologi Giudici e Semenza avanzano dubbi e formulano ipotesi sull'instabilità del fianco sinistro del Monte Toc. Per Giorgio Dal Piaz, già professore a Padova e consulente della SADE sono solo fenomeni piccoli e lenti.

Intanto a Pontesei, in una valle vicina, una frana solleva un'onda alta 20 metri poi nel 1960 è la volta del Monte Toc, dove si pare una fessura lunga 1700 metri. Si va avanti.

Nel 1961 si stima il volume della frana: 200 milioni di metri cubi di roccia. Un anno dopo, nel centro modelli idraulici di Nove, l'ingegner Ghetti a capo dell'Istituto di idraulica dell'Università di Padova stabilisce la quota di sicurezza del bacino a 700 metri anche "nei riguardi del più catastrofico prevedibile evento di frana". Il riempimento dell'invaso, iniziato nel 1960 continua e il 4 settembre 1963 arriva a quota 710 metri.

La terra trema, nuove fessure si aprono.

Alle 22.39 del 9 ottobre la frana precipita: ha una lunghezza di 2.000 metri e una profondità di quasi 300 metri e l'onda d'acqua che spazza la valle del Vajont e raggiunge Longarone alla velocità di 300 metri al secondo è alta 250 metri.

I processi penali del Vajont si chiudono con due lievi condanne ma le controversie civili continuano fino al 2000. Il dolore di intere comunità resta invece senza risarcimento e, a lungo, senza memoria. Il silenzio cal sull'opera degli esperti, di geologi e ingegneri, di tecnici, di funzionari e politici: i presenti e gli assenti del Vajont. Non senza conseguenze: mentre il mondo impara la lezione del Vajont, le leggi italiane sulle dighe restano le stesse, congelate al 1959.

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