CULTURA

Il cinema a Venezia, tra terra e luna

Passare dal cielo alla terra in un paio d’ore, nel tempo di un film. Sarà la storia di Neil Armstrong, il primo uomo a posare il piede sulla luna, ad aprire la 75esima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, al via domani, 29 agosto (e fino all'8 settembre). Si inizia con l'emozione di First man, film diretto da Damien Chazelle (già regista del fortunato La La Land) e scritto da Josh Singer, con protagonisti Ryan Gosling e Claire Foy, per passare poi ad altri attesi titoli ben distribuiti nelle varie sezioni del festival. Dal film dei fratelli Coen (The ballad of Buster Scruggs, in concorso) alle prove dei tre italiani in concorso: Luca Guadagnino (Suspiria), Mario Martone (Capri-Revolution) e Roberto Minervini che, in What you gonna do when the world’s on fire?, tratta il tema del razzismo. E ancora, l'ultima fatica di Alfonso Cuarón (Roma, in concorso), la vicenda di Stefano Cucchi raccontata da Alessio Cremonini in Sulla mia pelle (Orizzonti), la proiezione speciale dei primi due episodi della miniserie tratta dal romanzo L’amica geniale di Elena Ferrante, con la regia di Saverio Costanzo (Fuori concorso), e l'evento dedicato a Orson Welles (The other side of the wind). La Mostra veneziana gode di ottima salute e accoglie le tante e significative trasformazioni in atto: punta su qualità, ricerca e varietà, aprendosi alla rivoluzione digitale (con particolare attenzione alla realtà virtuale), alle nuove piattaforme (Netflix, per esempio, al Lido con sei film) e alle visioni di giovani registi, grazie al laboratorio di alta formazione Biennale college, registrando la crescente partecipazione degli studenti universitari accreditati e dimostrando una volontà di “divulgazione” che punta a raggiungere il grande pubblico, a parlare a tutti. In questo quadro si inserisce la bella riflessione offerta dal direttore artistico Alberto Barbera che, nel presentare scelte e obiettivi dell’edizione 2018, ha avvicinato il cinema alla scienza, concentrandosi sul concetto di tempo, partendo da una domanda fondamentale: è giusto parlare di cinema del presente? 

“La metafora più diffusa per indicare il programma di un festival consiste nel definire questo insieme di film come un’istantanea del presente -spiega Barbera- Cioè come un modo per rappresentare lo stato di salute, o quello che si ritiene tale, della produzione cinematografica mondiale, in un preciso momento e contesto storico […] Per dirla con il linguaggio della meccanica quantistica, il presente semplicemente non esiste. Per la fisica post einsteiniana, passato e futuro non si oppongono più come a lungo si è pensato, separati da un terzo lasso temporale che dovrebbe corrispondere ad un adesso: un concetto che, secondo gli scienziati, semplicemente non significa nulla. Gli eventi del mondo non si mettono in fila come gli inglesi. Si accalcano caotici come gli italiani, ironizza per esempio Carlo Rovelli. Per rimanere in prossimità della metafora da cui siamo partiti, dobbiamo allora, forse, prendere atto che cinema del presente è un modo di dire alquanto privo di senso. Per esempio, ci sono autori e produttori che continuano a fare film come si facevano nel secolo scorso, ed altri che invece procedono secondo modalità inedite, sperimentano nuovi linguaggi e nuove narrazioni, creano nuovi media. Accettare l’idea che possano legittimamente coesistere, non solo si può. Si deve. Per il semplice fatto che le cose non sono: accadono. Ancora Rovelli: Si può pensare il mondo come costituito di cose. Di sostanza. Di enti. Di qualcosa che è. Che permane. Oppure pensare che il mondo sia costituito di eventi. Di accadimenti. Di processi. Di qualcosa che succede. Che non dura, che è continuo trasformarsi. Adesso provate a sostituire alla parola mondo la parola cinema. Il cambio di prospettiva, anche nel nostro caso, è affascinante. Pensare il cinema come un insieme di eventi, di processi, è il modo che ci permette di meglio coglierlo, comprenderlo, descriverlo"

Siamo in continuo movimento, il mondo si trasforma e noi con lui. Così il cinema, che questo mondo (e molti altri mondi, in verità) prova a raccontarlo. E proprio perché il cambiamento non fissa le risposte ma invita a porci domande sempre nuove, così le conclusioni dell'intervento di Barbera stimolano la ricerca, la fame di storie, linguaggi, ritorni e scoperte: "Rendere conto degli eventi che si accalcano caotici: un disordine che siamo spesso tentati di ridurre a più miti consigli, affrontandolo con la tranquillizzante locuzione di periodo di transizione (come se non stessimo perennemente transitando verso qualcos’altro: altre esperienze, altre immagini, altre visioni). È forse, questa, la miglior descrizione del lavoro che sta alla base di questo festival. Altri possono darsi obbiettivi diversi: definire che cosa è buon cinema e cosa non lo è, ad esempio. E se fosse più importante descriverlo, cercare di comprenderlo, coglierne le feconde contraddizioni e l’irriducibile complessità, anziché stabilire temporanee gerarchie? Procedere per inclusioni anziché per dogmatiche distinzioni, allargare lo sguardo invece che metterlo soltanto e selettivamente a fuoco, spingersi oltre i limiti anziché erigere barriere? Senza rinunciare alla qualità, o meglio senza smettere d’interrogarsi costantemente su che cosa essa sia e dove risieda oggi, in questo presente che ci hanno spiegato non esistere, in un universo che non è più il passato e non è ancora il futuro. Del cinema, s’intende".

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