SOCIETÀ

In Africa le multinazionali pagano troppo poche tasse

2,3 miliardi di persone senza cibo o impossibilitate a seguire una dieta bilanciata, 3 miliardi di persone che sopravvivono con meno di due dollari al giorno a testa e una regione, quella dell’Africa subsahariana, che ha una prevalenza di malnutrizione del 24,1%. 

Una situazione, quella dell’Africa subsahariana che vede 413 milioni di persone vivere con meno di 1,90 dollari al giorno, 319 milioni non hanno accesso a fonti di acqua potabile e, nel 2020, erano 264,2 milioni le persone denutrite. 

Questi dati sono stati ripresi da The Conversation, che li ha analizzati in relazione ad un altro argomento, strettamente correlato alla vita dei cittadini: le tasse. Quando si parla di tasse bisogna sempre considerare che sono proprio le entrate fiscali che consentono allo stato di ridistribuire la ricchezza per alleviare la povertà e dare servizi. Con le tasse poi si paga l’ istruzione pubblica, l’assistenza sanitaria, la sicurezza sociale, le pensioni, i trasporti pubblici, insomma tutti quei servizi che nelle economie più sviluppate spesso diamo per scontati.

Jia Liu e Olatunde Julius Otusanya, rispettivamente Professor of Finance all’università di Portsmouth e Professor of Taxation alla University of Lagos, cioè i due autori dell’approfondimento hanno messo in luce come sia nei paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo, le entrate fiscali siano spesso minate dalla capacità di alcuni dei contribuenti più ricchi, comprese molte società multinazionali, di rinunciare in modo efficace al sistema dell'imposta sulle società. Gli esempi sono sotto gli occhi di tutti, tra giganti del tech e multinazionali che legalmente hanno sedi in Paesi in cui la tassazione è minore.

In uno studio a firma dei due autori però si è cercato di indagare l'effetto dell'evasione fiscale sullo sviluppo in Africa, con un focus su Nigeria e Zambia.

Lo Zambia è un paese ricco di risorse naturali, basti pensare che la produzione di minerale è aumentata di 1.193.977.000 tonnellate da dicembre 2009 al 2019. I guadagni per il Paese però sembrano essere irrisori in proporzione alla produzione mineraria. Un esempio concreto ci viene sempre dallo studio di Liu e Otusanya che mettono in luce come nel 2011, cinque società che producono rame per un valore di 4,28 miliardi di dollari hanno pagato solamente 310 milioni di dollari in tasse. La produzione rappresentava rispettivamente l'11% e il 19% del totale per il 2010 e il 2011. A questo poi bisogna aggiungere come solo una o due società minerarie abbiano dichiarato utili positivi. 

La conseguenza di ciò si riversa sul Paese che, secondo alcune stime, perde così circa 3 miliardi di dollari all'anno di entrate fiscali. Questa cifra significa circa il 12,5% del totale del prodotto interno lordo annuale dello Zambia.

War on Want, un'organizzazione benefica anti-povertà con sede a Londra, ha accusato la società Vedanta, produttrice di rame che opera in Zambia, di eludere le tasse attraverso il trasferimento errato dei prezzi. In pratica, secondo l’organizzazione, la società avrebbe commerciato ad un prezzo non di mercato al fine di eludere le imposte. Da quanto si legge nell’articolo di The Conversation Vedanta avrebbe inoltre 29 filiali che operano nelle "giurisdizioni segrete" di Mauritius, Paesi Bassi, Isole Vergini britanniche e Jersey. La società inoltre avrebbe pagato solo 11.111 dollari di tasse contro profitti di 221 milioni di dollari nel 2011-2012.

Allo stesso modo, anche l’Associated British Foods sarebbe stata accusata, nel 2015, di non pagare tasse in Zambia, nonostante la sua società affiliata locale, la Zambia Sugar, avrebbe realizzato profitti per 123 milioni di dollari. 

La stima delle perdite ammonterebbe, secondo War on Want a 27 milioni di dollari, tutti soldi che sarebbero potuti essere reinvestiti in servizi per la comunità.

Un altro focus realizzato dai due autori è quello sulla Nigeria. Nel Paese il Gruppo Shell, attraverso la sua affiliata, Shell Petroleum Development Company of Nigeria, avrebbe uno speciale accordo di condivisione con un'altra affiliata, la Shell Petroleum International Mattschappij BV (SPIM). Servizi e spese sono stati addebitati al gruppo in modo che risultasse a profitto zero per ben 8 anni. Il costo totale in mancate entrate fiscali sarebbe di 44,72 milioni di dollari. 

Ma quindi perché lo sfruttamento continua? Gli autori dello studio provano a darsi una spiegazione dicendo che in un'era di globalizzazione i paesi in via di sviluppo sono stati incoraggiati a deregolamentare e privatizzare le loro economie per attrarre investimenti esteri. Una politica che sembra aver funzionato in quanto gli  investimenti esteri in Nigeria è cresciuto da 0,59 miliardi di dollari nel 1990 a 2,14 miliardi di dollari nel 2000 e 2,31 miliardi di dollari nel 2019, che significa rispettivamente l'1,09%, 1,64% e 0,52% del PIL. Anche lo Zambia ha attirato 0,12 miliardi di dollari nel 2000 e 1,11 miliardi di dollari nel 2017.

Investimenti però che, abbiamo capito, non hanno portato a grosse entrate fiscali, o almeno a quanto sperato. 

Gli autori dello studio poi, mettono in evidenza come a livello globale, i paradisi fiscali sono tra i 50 ed i 60 e danno rifugio a oltre 2 milioni di aziende, tra cui migliaia di banche e fondi di investimento. Delle società Fortune 500, quasi tre quarti hanno filiali in paradisi fiscali offshore. 

I paradisi fiscali sono spesso sotto l'occhio del ciclone. Grazie a delle prestigiose inchieste giornalistiche collaborative conosciamo nomi di persone influenti e capi di stato che traggono giovamento economico da tali paradisi. I Pandora Papers su questo hanno aperto uno squarcio fondamentale. Ci sono però tutti quei meccanismi economici che sono legali ma che di fatto permettono alle società multinazionali di sfruttare il territorio senza restituire il presunto dovuto in termini economici.

L’articolo apparso su The Conversation riporta due importanti rapporti. Il primo, del 2015 della Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo, ha stimato che il trasferimento dei profitti da parte delle società multinazionali costa ai paesi in via di sviluppo 100 miliardi di dollari all'anno in perdita di imposta sul reddito delle società. 

Il secondo rapporto, dei ricercatori del Fondo Monetario Internazionale, ha stimato invece che i paesi in via di sviluppo potrebbero perdere fino a 213 miliardi di dollari l'anno a causa dell'elusione fiscale. Un cifra simile è stata data anche da Oxfam, che ha stimato che i paesi in via di sviluppo perdono tra i 100 e i 160 miliardi di dollari all'anno a causa dell'elusione dell'imposta sulle società.

Lo sviluppo dei Paesi deve passare anche da questo e quello dell’elusione fiscale, anche attraverso mezzi leciti, non può non essere argomento importante non solo per i Paesi in via di sviluppo ma anche per l’Europa stessa.

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