SOCIETÀ

Agricoltura biologica in Senato: arrivano dure critiche dagli esperti

In questi giorni sta seguendo l'iter di discussione in Senato il disegno di legge (Ddl n. 988) “Disposizioni per la tutela, lo sviluppo e la competitività della produzione agricola, agroalimentare e dell'acquacoltura con metodo biologico”, che è già stato approvato alla Camera (Ddl n. 290) l'11 dicembre scorso con una larga maggioranza (contraria solo Forza Italia). La proponente, deputata del Pd Maria Chiara Gadda (capogruppo del Pd in commissione agricoltura), ha parlato di un piano strategico nazionale, che mette a sistema le richieste degli operatori e rilancerà la competitività del comparto. Il testo arrivato in Senato unifica il n. 290 presentato da Gadda, ai testi presentati da Susanna Cenni, Pd (n. 410), Paolo Parentela, M5S (n. 1314) e Guglielmo Golinelli, Lega (n. 1386).

Avevano accolto con favore il voto della Camera associazioni di settore quali FederBio, secondo cui “la produzione biologica è basata sulle migliori pratiche ambientali, su prassi di azione per il clima, su un alto livello di biodiversità, sulla salvaguardia delle risorse naturali e sull’applicazione di criteri rigorosi in materia di benessere degli animali”, e Cia – agricoltori italiani, soddisfatta in quanto “la norma porterà nuove opportunità al settore”.

Quella della sicurezza alimentare è una delle grandi sfide globali che l'aumento demografico previsto nei prossimi anni sottoporrà alle nostre società. Le stime ci dicono che destiniamo a scopo agricolo circa 1,5 miliardi di ettari, quasi il 40% delle terre emerse del pianeta. Nel 2050 saremo in 10 miliardi ad abitare la Terra e il fabbisogno alimentare crescerà. Se si vuole evitare ulteriore deforestazione e consumo di suolo si dovrà chiedere una maggiore resa ai terreni agricoli. Si dovrà produrre di più e meglio, senza andare a detrimento dell'ambiente.

Con riferimento a queste considerazioni, un nutrito gruppo di esperti, ricercatori universitari, imprenditori agricoli e gruppi di associazioni scientifiche, si sono pronunciati, con tre diversi documenti, sul disegno di legge sull'agricoltura biologica, ritenendolo una risposta inadeguata alle sfide di sostenibilità, ambientale e socio-economica, che l'agricoltura ci pone dinanzi da qui ai prossimi anni.

Le prime note critiche sono arrivate il 19 dicembre, pochi giorni dopo l'approvazione del disegno alla Camera, da un gruppo di 66 fra docenti universitari, ricercatori e imprenditori agricoli. In una decina di pagine i firmatari lamentano la scarsità di informazione documentata che i deputati, intervenuti in occasione della discussione del disegno, hanno portato nelle aule parlamentari.

Una prima forte critica al disegno riguarda la mancata distinzione (che avviene anche a livello di regolamento europeo) tra agricoltura biologica e biodinamica: “riteniamo questo particolarmente grave a livello culturale perché in tal modo si perora il ritorno di pratiche a base magica in agricoltura” si legge.

Un altro problema riguarda la scala della questione agro-ecologica: non ci si può accontentare di una “sostenibilità locale”, occorre dedicarsi alla “sostenibilità globale” di un modello produttivo agricolo. Nella discussione parlamentare infatti non sarebbe stata fatta alcuna concreta analisi economica.

Ad oggi in Italia vengono coltivati 13 milioni di ettari di Superficie agricola utile, (circa il 45% della superficie totale del nostro Paese), che però sono in grado di produrre solo il 70% di quanto effettivamente viene consumato. Il resto viene importato: si spendono 1,7 miliardi di euro in grano tenero e grano duro, mentre si arriva a 2 miliardi di euro spesi in mangimi (buona parte Ogm) per gli allevamenti. Secondo i firmatari del documento, diversi studi mostrano che la resa dell'agricoltura biologica è in media nettamente inferiore (stimata tra il 20 e il 70% a seconda della coltura) alle rese dell'agricoltura convenzionale. Se l'Italia dunque decidesse di puntare sull'agricoltura biologica, la sovranità alimentare si allontanerebbe ancora di più e aumenterebbe al contempo la spesa dell'import.

Un altro punto che il documento mira a smontare è il “copione imposto dal marketing” secondo cui i prodotti bio sono prodotti “puliti”: “chi coltiva biologico usa “pesticidi”, più o meno tossici a seconda del bersaglio” si legge. Alcuni esempi riportati riguardano la tossicità del rame e l'ecotossicità di piretrine e spinosad, insetticidi impiegati in agricoltura biologica. “Occorre anche dire che contrapporre "naturale" e "sintetico" in termini di salubrità non ha senso: essere naturale non implica infatti essere poco tossico; essere di sintesi non implica essere velenoso per forza”.

Vengono inoltre messe in luce alcune contraddizioni: non disponendo nella maggioranza dei casi di allevamenti di bestiame, le aziende biologiche attingono a letame prodotto da agricoltura convenzionale con metodi spesso avversati dalle stesse aziende biologiche. In altri termini, il biologico sta in piedi anche grazie a prodotti non biologici.

Il 9 gennaio un gruppo di 213 esperti ha firmato un'altra lettera indirizzata agli onorevoli membri del Senato. Il giudizio sul disegno di legge è ancora più duro: ne viene chiesto il ritiro e la ripresentazione “solo dopo una profonda modifica nell'impianto e dei contenuti”.

Il documento riporta infatti dieci fatti “poco conosciuti, conflittuali e negativi del biologico”: oltre alla scarsa produttività, ne viene messa in discussione la sostenibilità ecologica non solo su scala globale ma anche su scala locale. Ma ne viene messa in discussione anche la sostenibilità sul piano economico-sociale: un'adozione generalizzata del biologico porterebbe ad un aumento dei prezzi di prodotti, come frutta e verdura, indispensabili per la prevenzione di molte malattie, quando i prodotti “bio” sono tutt'ora già in vendita a prezzi mediamente più elevati di quelli provenienti da agricoltura convenzionale.

Oltre a fare uso di fitofarmaci, viene sottolineato che il biologico riceve già sussidi non inferiori a quelli dell'agricoltura convenzionale, e viene inoltre fatto notare che il disegno di legge violerebbe alcuni principi fondamentali, tra cui quello della libera concorrenza fra imprenditori agricoli: “La libera concorrenza prevede che gli incentivi offerti ai diversi processi produttivi (biologico, convenzionale, Integrato di base e integrato avanzato) non siano tali da produrre distorsioni dei mercati. Al riguardo non si capisce perché il Ddl preveda incentivi per il biologico e non ne preveda per l’Integrato di base e avanzato, anche attraverso una più efficace promozione del marchio Sqnpi (Sistema di qualità nazionale produzione integrata)”.

Si legge inoltre che l'agricoltura biologica “rifiuta in modo preconcetto l’innovazione nel campo della genetica e delle tecniche colturali fondata sulle recenti acquisizioni scientifiche”, quando “il mancato accesso alle tecnologie porta già oggi i produttori a non riuscire a rispondere alla concorrenza dei produttori esteri”.

Nel documento vengono poi analizzati punto per punto i singoli articoli del disegno di legge (19 in tutto) e ne viene evidenziata l'inadeguatezza a garantire “uno sviluppo armonico, l’efficacia (in termini di auto-sufficienza, sicurezza alimentare e salubrità dei prodotti) e l’efficienza del sistema agro-alimentare italiano, in quanto si fonda su una serie di presupposti inconciliabili con un’agricoltura tecnologicamente evoluta e fondata sull’applicazione delle moderne acquisizioni della scienza. Ciò mortifica non solo le aspettative dei nostri imprenditori agricoli più professionali ma anche le legittime aspirazioni della comunità scientifica nazionale”.

L'articolo 11 è l'oggetto principale di una terza lettera firmata sempre lo scorso 9 gennaio da Aissa (Associazione delle Società Scientifiche Agrarie), Fisv (Federazione italiana scienze della vita) e Anbi (Associazione nazionale dei biotecnologi italiani).

Con quest'articolo il disegno di legge promuove “specifici percorsi formativi nelle università pubbliche attraverso la possibilità di attivare corsi di laurea, dottorati di ricerca, master e corsi di formazione in tema di produzione biologica” e prevede finanziamenti pubblici specifici per la ricerca in ambito di produzione biologica. I firmatari lamentano che “decretare per legge che parte dei fondi del Cnr (Consiglio nazionale delle ricerche) e del Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agrari) siano obbligatoriamente dedicati all’agricoltura biologica (alla quale, fra l’altro, il Ddl in questione equipara l’agricoltura biodinamica, vedi Art. 1, una pratica senza basi scientifiche), significa condizionare fortemente la ricerca scientifica”.

“Nella legislazione, le diverse pratiche agricole basate sulla ragione e le evidenze sperimentali dovrebbero essere considerate complementari e avere pari dignità, con l’obiettivo generale di incrementare e integrare produttività, qualità e sostenibilità ambientale dell’agricoltura” conclude il documento.

Il 15 gennaio è arrivata la replica di FederBio, secondo cui le accuse mosse dagli esperti riporterebbero tesi vecchie e già smentite, e viene citato uno studio pubblicato su Nature Communications del 2017, che mostrerebbe come l'adozione diffusa del metodo biologico in agricoltura possa, in linea di principio, arrivare a incontrare le esigenze alimentari della popolazione mondiale. Ciò tuttavia risulterebbe possibile solo a patto che altri ambiziosi obiettivi vengano raggiunti: il drastico calo dello spreco di cibo, la riduzione della produzione di mangimi animali e la conseguente minore dipendenza alimentare da carne da allevamenti, che rappresentano una delle concause dell'aumento della temperatura globale.

Per gestire queste sfide serviranno sicuramente scelte politiche, non si potrà avere la botte piena e la moglie ubriaca, occorrerà rinunciare a qualcosa e ricercare un compromesso tra regimi di consumo e tutela dell'ambiente. Ma servirà soprattutto preparazione.

Questa volta il bersaglio della critica degli esperti non è un'associazione anti-vaccinista o un manipolo di negazionisti climatici, ma il Parlamento tutto, che a larga maggioranza e con eccessiva leggerezza ha votato alla Camera un disegno di legge ritenuto completamente inadatto ad affrontare il tema dello sviluppo agricolo-alimentare del Paese. Viene da chiedersi allora quale valore possa avere lo slogan “vota la scienza”, lanciato per le elezioni dello scorso 4 marzo, da quella stessa parte politica che propone un disegno di legge che da buona parte della comunità scientifica oggi riceve una bocciatura su tutta la linea.

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