SCIENZA E RICERCA

Anche i pulcini hanno i neuroni per riconoscere le quantità

Quando impariamo a distinguere le quantità? Non lo sappiamo, esattamente, ma ci sono prove che dimostrano che le capacità numeriche hanno una base nervosa molto precisa in tutti gli animali studiati fin qui, uomo compreso. In alcune regioni del cervello di scimmie e uccelli adulti, infatti, sono stati individuati dei neuroni che rispondono alla numerosità, e ora un articolo pubblicato su PNAS dimostra che questi neuroni sono presenti anche nei pulcini appena nati. È una scoperta importante, perché i pulcini sono modelli già utilizzati per comprendere il funzionamento del cervello umano, quindi ricerche come questa possono dare dei suggerimenti preziosi in questo senso, anche se un esperimento come quello che andremo a raccontare non può essere replicato sui neonati. Per capire come si è arrivati a questa scoperta e cosa comporta, abbiamo intervistato uno degli autori dell'articolo: Giorgio Vallortigara, docente di neuroscienze all’università di Trento.

Servizio di Anna Cortelazzo e montaggio di Barbara Paknazar

I pulcini sono stati messi al lavoro molto presto, quando erano al mondo da cinque, sei o sette giorni, cioè da quando avevano maturato una minima capacità di movimento (i neonati, invece, la sviluppano più tardi). Ma come si fa a capire che i pulcini sanno distinguere le quantità? In realtà l'esperimento è semplice: sul soggetto vengono collocati dei piccoli elettrodi che riescono a registrare l'attività di singoli neuroni e poi viene mostrato loro uno schermo in cui vengono presentati degli insiemi di puntini rossi di diverse numerosità. L'esperimento è condotto in assenza di altri stimoli che potrebbero far reagire i neuroni, in modo che il pulcino possa concentrarsi sullo schermo del calcolatore su cui compaiono questi puntini, e deve fare solo questo. Nel mentre, i ricercatori registrano l'attività di questi neuroni in un'area che si chiama nidopallio cautolaterale (NCL) e che è probabilmente equivalente ad aree associative della corteccia frontale dei mammiferi.

Ma come possiamo essere sicuri che il pulcino distingua il numero dei puntini e non qualcos'altro? "Noi - spiega Vallortigara - sappiamo che ci sono una gran varietà di specie animali oltre all'uomo che sono in grado di discriminare numerosità: posti di fronte a collezioni di oggetti artificiali come i dischetti dell'esperimento, sono in grado di distinguere dove ce ne sono di più o di meno. Sappiamo che questa abilità è molto diffusa: ce l'hanno polli, rane, pesci e persino le api. Non sappiamo moltissimo delle basi neurali questa capacità, però in anni recenti abbiamo scoperto dei neuroni che rispondono in maniera selettiva alla numerosità, grazie a esperimenti su scimmie e corvi adulti.  Quando l'animale viene messo di fronte allo schermo di un calcolatore e osserva, per esempio, tre puntini con caratteristiche che variano per grandezza, area, perimetro e densità, il suo neurone risponde a questa che potremmo definire la treità" (e non risponde o risponde meno e in maniera graduata a differenti numerosità).

Ma a cosa si deve la presenza dei neuroni della numerosità? Sono presenti fin dalla nascita (e in questo caso questa cognizione sarebbe innata) o sono frutto di un apprendimento di qualche tipo? L'esperimento si proponeva proprio di rispondere a questa domanda, utilizzando animali anagraficamente molto piccoli per vedere se questi neuroni reagiscono. Il problema è che gli animali utilizzati negli esperimenti devono anche essere in grado di muoversi e di tenere gli occhi aperti, e poi devono essere sensibili agli stimoli visivi: per questo si è aspettato il quinto giorno dalla schiusa, e per questo sono stati utilizzati proprio i pulcini. Questi animali, infatti, appartengono a una specie a sviluppo precoce, cioè sono in grado di muoversi molto presto, al contrario di altre specie usate per esperimenti di altro tipo come scimmie e topi, che sono invece specie a sviluppo altriciale, cioè alquanto inette alla nascita che iniziano a muoversi in giro dopo un po' di tempo, anche grazie all'aiuto dei genitori, proprio come accade agli esseri umani. Esistono altre specie a sviluppo precoce, come i porcellini d'India, ma non sono altrettanto sensibili agli stimoli visivi. L'esperienza numerica dei pulcini, che fino all'esperimento sono rimasti al buio, è nulla, non hanno quindi avuto modo di imparare a distinguere le diverse quantità, e nonostante questo i loro neuroni hanno reagito immediatamente. Il risultato dell'esperimento suggerisce quindi che questa abilità sia innata nonché frutto dell'evoluzione: "L'utilità di questa capacità - chiarisce Vallortigara - è evidente, basti pensare alle possibilità di sopravvivenza  di un animale che sappia distinguere dove sia presente più cibo o dove rischia di incontrare più predatori o potenziali partner sessuali rispetto a un altro che lo ignora. Le decisioni basate sulle quantità sono necessarie per l'adattamento degli animali all'ambiente".

Proprio in questo senso l'esperimento è importante: è la prima volta che i neuroni sono stati individuati in animali così piccoli, e questo confermerebbe che questa cognizione è innata, e non appresa in un secondo tempo: si basa su una memoria che trascende lo sviluppo individuale e che riguarda invece la storia filogenetica delle specie. Ora la speranza è quella di trovare un modo per condurre esperimenti anche sulle specie a sviluppo altriciale, per scoprire l'eventuale presenza di questi neuroni anche nel loro cervello.

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