EuroFusion
Per più di 40 anni, JET (Joint European Torus) è stato il cuore battente della ricerca sulla fusione nucleare in Europa. Ora l’esperimento con sede a Culham nella contea di Oxfordshire, gestito negli ultimi anni dall’autorità britannica per l’energia atomica (UKAEA) in collaborazione con il consorzio europeo EUROfusion, è giunto a fine corsa, ma continuerà a servire la causa della fusione anche dopo lo spegnimento.
Le operazioni continueranno sotto il nome di JDR, Jet Decommissioning and Repurposing: lo smantellamento stesso della struttura produrrà ricerca e sviluppo di nuove tecnologie e continuerà a fornire informazioni preziose per la costruzione di ITER, il prototipo di reattore a fusione europeo, in costruzione a Cadarache nel Sud della Francia, che dovrebbe venire acceso nel corso del prossimo decennio.
Tra le migliaia di persone che negli anni hanno lavorato a JET c’è anche Lidia Piron, oggi ricercatrice al dipartimento di fisica e astronomia dell’università di Padova, dove insegna fisica dei plasmi. A Culham ha trascorso 5 anni, fino al 2018. “Mi dispiace che JET sia giunto alla fine del suo ciclo di vita. Avrei voluto vedere realizzata ancora una lunga lista di esperimenti, ma mi rendo conto che contribuirà ancora a lungo agli studi sulla fusione”.
Proprio come ITER, l’approccio alla fusione nucleare di JET è stato quello del confinamento magnetico. All’interno di una struttura toroidale chiamata tokamak, una ciambella metallica le cui pareti interne sono ricoperte da un’armatura di tungsteno e berillio, vengono confinate con potenti campi magnetici particelle ionizzate (cariche elettricamente) allo stato di plasma: elevando la temperatura a 150 milioni di gradi centigradi (10 volte quella del sole) i nuclei si fondono tra loro. Il plasma in cui avviene questa reazione nucleare altamente esotermica (che emette energia) è composto da un mix di deuterio e trizio (D-T), isotopi dell’atomo di idrogeno.
Stay tuned! Later today we'll be sharing exciting results from the #JointEuropeanTorus JET, achieved at the end of last year.
— EUROfusion (@FusionInCloseUp) February 8, 2024
Read up on earlier results from that campaign:https://t.co/JiA8EeqdEY#JETDTE3 #fusionenergy @iterorg @UKAEAofficial @fusionforenergy @EU_Commission
Proprio durante l’ultima campagna sperimentale, DTE-3, iniziata la scorsa estate, JET ha dato il meglio di sé, battendo il precedente record di 59 MegaJoule di energia prodotta, fissato nel 2022. A ottobre 2023, l’impulso ha infatti fuso 0,2 milligrammi di carburante D-T e ha prodotto 69 MegaJoule di energia per più di 5 secondi. Per ottenere questo risultato tuttavia è stato necessario riscaldare il plasma con un’energia addizionale di tre volte maggiore a quella prodotta (Q=0.34).
La promessa della fusione nucleare è che un giorno il rapporto tra energia prodotta e consumata andrà a vantaggio della prima. Per avere un reattore funzionante, con energia elettrica utilizzabile a fini commerciali, dovremo però attendere almeno la seconda metà di questo secolo. La neutralità climatica, che l’Europa intende raggiungere entro il 2050 per rispettare l’accordo di Parigi, non potrà quindi fare affidamento su questa tecnologia, che però potrà contribuire a mantenere a zero le emissioni future.
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La strada è dunque ancora lunga, ma ogni passo è fondamentale per compiere quello successivo. Oltre che sulla comprensione dei processi di fisica fondamentale, JET ha lavorato sull’ottimizzazione delle reazioni del plasma, ha sviluppato materiali che lo confinano e tecniche per la gestione dei picchi di energia.
“Un’altra questione aperta è come gestire il calore all’interno del plasma e fare in modo che non interagisca con le pareti” spiega Lidia Piron, che a Culham è stata coordinatrice scientifica delle attività di monitoraggio e diagnostica. “Abbiamo lavorato allo sviluppo di sistemi di controllo, anche in tempo reale, per massimizzare l’energia prodotta. JET è stata l’unica macchina che ci ha consentito di sviluppare queste tecniche, che avranno una grande utilità per ITER”.
Quando ha iniziato le sue attività, nel 1983, lo spegnimento dell’esperimento era programmato già per il 1992. È stato poi ritardato al 1997 e ancora agli anni 2000. Ogni volta si è ritenuto che valeva la pena operare un upgrade, condurre altre campagne sperimentali ed estrarre nuove informazioni utili: “ha sempre raggiunto i target che si era prefissato” sottolinea Lidia Piron.
Nel 1997 ha ottenuto il primo record di energia prodotta da fusione, superato poi nel 2022 (il doppio di quello precedente) e nuovamente a ottobre 2023. Nel 2016 si è fatto un ultimo bilancio costi-benefici e si è ritenuto che l’investimento non avrebbe più pagato come le volte precedenti. ITER sarà infatti un esperimento più grande, perché i ricercatori ritengono che aumentando le dimensioni salga anche la probabilità di facilitare le reazioni di fusione.
JET però non lascia la propria eredità solo a ITER: ha figli sparsi in tutto il globo. L’esperimento JT-60SA in Giappone rappresenta attualmente il più grande tokamak al mondo. Ci sono poi tokamak di media grandezza in Francia, in Germania, uno in costruzione in Repubblica Ceca e un altro in Italia, il DTT di Frascati (Divertor Tokamak Test facility), a cui Lidia Piron ha scelto di prestare le proprie competenze.
A Culham invece, con un investimento di oltre 500 milioni di sterline per i prossimi 12 anni, inizieranno le operazioni di smantellamento dell’impianto, che continueranno a impiegare tra le 200 e le 300 persone, non tante meno di quante ne lavoravano quando era a pieno regime.
Gli sforzi di JDR sono adesso concentrati sulla sostenibilità dell’intero ciclo di vita dell’esperimento. Anche la fusione nucleare infatti produce scarti radioattivi, seppur non come le centrali a fissione, che lasciano scorie radioattive per millenni. “Il trizio ha un’emivita di 12 anni e può lasciare materiale radioattivo per decenni” spiega Lidia Piron. “Anche i materiali che hanno ricevuto un bombardamento di neutroni dai processi di fusione di deuterio e trizio possono essere radioattivi”. Tuttavia, con un opportuno trattamento, tali materiali possono venire stoccati in modo sicuro, venendo classificati come rifiuti radioattivi di basso livello, come quelli prodotti dagli ospedali: è questo uno degli obiettivi di JDR.
Nel tentativo di raggiungerlo si produrrà anche nuova ricerca. “Per rendere i materiali inerti si svilupperanno nuove tecnologie per estrarre trizio: sarà la parte più delicata perché come l’idrogeno si infila dappertutto. Si svilupperà ingegneria innovativa per la manipolazione remota, ad esempio nell’ambito della robotica”.
Alcune componenti di JET che sono rimaste intatte potranno venire smontate e riutilizzate in altri esperimenti. Altre invece, prima dello spegnimento, sono state deliberatamente danneggiate dagli scienziati dirottando il plasma. Anche in questo caso, questa sorta di crash test restituirà informazioni preziose.
Le circa 60 mattonelle di tungsteno e berillio nella prima parete del tokamak, che contano più di 3.000 componenti, verranno smontate e analizzate: “sono veri e propri reperti, testimonianze importanti, uniche al mondo, che verranno studiate quasi con approccio archeologico, con attenzione meticolosa” spiega Lidia Piron. “Si capirà quanto il plasma ha danneggiato la mattonella. Sarà un lavoro molto fondamentale perché per la prima volta verrà studiato come il plasma interagisce con alcuni materiali, come il trizio li ha permeati”.
Jet ha fatto in scala quello che Iter dovrà fare più in grande, incluso lo smaltimento dei materiali. Secondo Lidia Piron “tutto questo dà credibilità alla fusione nucleare”.