SOCIETÀ

Le battaglie di Eluana Englaro

La sera del 17 gennaio 1992 Eluana Englaro, studentessa ventunenne di lingue all'università Cattolica di Milano, sta facendo ritorno da una festa a Pescate, poco fuori Lecco. Il fondo della strada è ghiacciato e la vettura che sta guidando improvvisamente perde aderenza con l'asfalto: va in testacoda prima e poi si schianta contro un muro. L'impatto le sfonda l'osso frontale, le causa un trauma encefalico e spinale, la rottura della seconda vertebra cervicale, un'immediata paresi di tutti e quattro gli arti, un'emorragia nell'emisfero cerebrale sinistro e lesioni in diverse aree del cervello. La ragazza arriva all'ospedale di Lecco già in coma.

Un mese prima dell'incidente, Eluana aveva visitato in ospedale l'amico Alessandro, soprannominato “Furia”, vittima di un incidente in moto che lo aveva intrappolato in uno stato di coma profondo. Eluana era andata in Chiesa ad accendere un cero per chiedere che venisse messa fine alla sofferenza dell'amico (lo riporterà un'amica di Eluana negli atti giudiziari).

“In certe situazioni della vita non è la speranza l'ultima a morire, ma morire l'ultima speranza” ha dichiarato in un'intervista andata in onda su La7 il padre Beppino Englaro, che ha sempre descritto la figlia come un autentico purosangue, una ragazza con un innato e sviluppatissimo senso della dignità e della libertà.

Sin dal primo colloquio con i medici, lui e la moglie Saturna avevano espresso la volontà di dialogare in merito ai trattamenti cui sottoporre la figlia, ormai incapace di parlare per sé. “Eluana non avrebbe mai concepito che qualcuno potesse disporre della sua vita senza dialogare con lei” ha ribadito Beppino Englaro. “Normalmente il medico si sente dire 'faccia il possibile'. Noi gli avevamo detto che volevamo dialogare. Però abbiamo trovato una situazione culturale prima nel medico, poi dentro la società, che ci ha detto 'non c'è niente da dialogare in questa situazione'”.

Nei primi giorni di ricovero, senza l'esplicito consenso dei genitori, ad Eluana viene praticata una tracheotomia senza la quale probabilmente non sarebbe sopravvissuta.

La deontologia del medico prevedeva che i trattamenti non sarebbero potuti essere sospesi finché non fosse avvenuta la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo, ovvero finché non fosse stata certificata la morte cerebrale.

Ha lì inizio per Eluana e la sua famiglia un limbo lungo più di 17 anni durante i quali verranno combattute una serie di battaglie, giuridiche, politiche, istituzionali ed etiche, senza precedenti.

La battaglia di Eluana

La condizione di Eluana è descritta in una una lettera che i genitori Beppino e Saturna inviarono alle più alte cariche dello Stato nel 2004, a 12 anni dal proscioglimento della prognosi che dichiarava irreversibili le condizioni della ragazza.

“Eluana non è morta: è caduta in uno stato vegetativo persistente e, dopo due anni, in uno stato vegetativo permanente nel quale si trova tuttora. Oggi è in un letto d’ospedale, senza alcuna percezione del mondo intorno a sé: non vede, non sente, non parla, non soffre, non ha emozioni, insomma, è in uno stato di morte personale. Ha bisogno d’assistenza in tutto e per tutto: viene lavata, mossa, girata, nutrita ed idratata da una sonda supportata da una pompa.

(…) L’orrore di vedere uno di noi tre privo di coscienza, tenuto in vita a tutti i costi, invaso in tutto e per tutto da mani altrui anche nelle sfere più intime, non sarebbe stato in alcun modo sopportabile e ammissibile: Eluana ha sempre considerato ciò una barbarie. Questa era la volontà di Eluana e noi genitori volevamo e vogliamo che venga rispettata”.

La battaglia giuridica

Per anni i genitori di Eluana non hanno avuto interlocutori cui rivolgere quella che per loro era la rivendicazione di una libertà fondamentale e un diritto costituzionale: poter rispondere con un “no grazie” alle cure in quella drammatica situazione.

L'articolo 32 della costituzione recita che “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.

Nel 1999 Beppino Englaro, nominato tutore della figlia, chiede ai giudici di interrompere l'alimentazione e l'idratazione artificiali considerati da lui e dai suoi legali, in quella condizione, un accanimento terapeutico. La richiesta viene respinta ma Englaro continua a fare ricorso. Il caso rmbalza per anni dalla Corte d'Appello di Milano alla Corte Suprema di Cassazione a Roma, fino a che quest'ultima, nel 2007, stabilisce che un giudice può autorizzare l'interruzione di alimentazione e idratazione forzati una volta che risultino comprovate la condizione irreversibile del paziente e la sua volontà contraria al proseguimento delle cure.

Nel luglio del 2008 la Corte d'Appello civile di Milano accoglie la richiesta di Beppino Englaro di staccare il sondino naso-gastrico che teneva Eluana attaccata ai macchinari.

Chiedere di essere lasciati morire non nasce dalla cultura della morte, ma dalla cultura della vita Beppino Englaro

La battaglia politica

Ma a questo punto è la classe politica che si mette di traverso, a suon di strumentalizzazioni, tra la determinazione del padre e la libertà della figlia. Eluana dal 1994 è assistita dalle suore misericordine della clinica Beato Luigi Talamoni di Lecco. Beppino Englaro richiede di individuare una struttura disposta ad attuare la sentenza della Corte di Milano, ma il presidente della regione Lombardia Roberto Formigoni vieta l'autorizzazione a sospendere i trattamenti.

Beppino Englaro rivolge allora la sua richiesta a cliniche al di fuori dalla Lombardia, ma fatica a trovarne una disponibile. Il cardinal Javier Lozano Barragan, ministro pontificio della salute, nel novembre 2008 ribadisce che la posizione della Chiesa non può essere cambiata da una sentenza dei giudici: non dare cibo e acqua ad un paziente in stato vegetativo è "un assassinio".

A luglio il direttore del Foglio Giuliano Ferrara aveva organizzato una manifestazione in piazza Duomo a Milano portando bottigliette d'acqua a sostegno della terapia per Eluana.

A dicembre è la volta del ministro del lavoro, Maurizio Sacconi, che emana un atto d'indirizzo che vieta sia alle strutture sanitarie pubbliche sia a quelle private convenzionate di interrompere idratazione e alimentazione forzate, pena l'esclusione dal Servizio sanitario nazionale.

La Residenza sanitaria assistenziale “La Quiete” di Udine offre la sua disponibilità ad accogliere Eluana e ad attuare la sentenza della Corte d'Appello di Milano, in accordo con la famiglia Englaro. Il 3 febbraio 2009 un'ambulanza parte dalla clinica Beato Luigi Talamoni di Lecco e arriva a Udine. Il 6 febbraio ha inizio il protocollo per la sospensione dell'alimentazione e idratazione assistita. Quel giorno il governo Berlusconi impugna la decretazione d'urgenza per varare un decreto legge che vieti la sospensione dell'alimentazione forzata.

La battaglia istituzionale

Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che già aveva espresso scetticismo sulla liceità di una simile azione dell'esecutivo, dal colle del Quirinale si rifiuta di firmare il decreto di Berlusconi, ritenendolo anticostituzionale. È uno scontro istituzionale senza precedenti. Berlusconi minaccia di rimettersi alle urne elettorali e tenta la via del disegno di legge da approvare alle Camere con la massima urgenza. In una conferenza stampa Berlusconi definisce Eluana Englaro una “persona in pericolo di vita, che respira in modo autonomo, una persona che potrebbe anche in ipotesi generare un figlio”.

Papa Joseph Ratzinger quella domenica all'Angelus aveva ribadito che “la malattia fa parte dell'esperienza umana” e che “siamo fatti per la vita, per la vita completa”.

Il 9 febbraio il Senato inizia la sua corsa contro il tempo per approvare il ddl che riattaccherebbe Eluana al sondino. Ma intorno alle 8 di sera di quel 9 febbraio il cuore di Eluana si ferma. “Il purosangue tornava libero” ha detto il padre. L'autopsia, effettuata l'11 febbraio, dirà che il decesso è stato compatibile con il protocollo di dismissione dell'idratazione, ma mostrerà anche il grave stato in cui versava il suo sistema respiratorio e le condizioni disastrose del cervello di Eluana, a conferma del fatto che dalla notte dell'incidente erano state perdute le funzioni cognitive e comunicative di base.

Nemmeno il rispetto per la morte riesce a placare le parole prive di riguardo che volano da un ramo all'altro del parlamento. Il senatore Gaetano Quagliariello grida “Eluana non è morta, Eluana è stata ammazzata”.

Una sentenza dell'aprile 2016 del Tribunale amministrativo regionale (Tar) condannerà la Regione Lombardia a pagare un risarcimento di 132 mila euro per la decisione presa da Formigoni nel 2008. In seguito a una denuncia dei Radicali la Procura di Roma aveva aperto un'indagine per violenza privata contro il ministro Sacconi, conclusasi poi con l'archiviazione.

Nessuno di quei politici ha mai chiesto scusa a Beppino Englaro o a sua moglie, mancata a 78 anni nel dicembre 2015.

La vita non ce la diamo noi, ma l'esistenza sì Beppino Englaro

La battaglia etica

I funerali di Eluana sono stati celebrati in Carnia nel paese natale di Beppino, Paluzza, in provincia di Udine, al confine con l'Austria. Il paesino di montagna si è riunito intorno al feretro in silenzio e con commozione. Beppino che aveva già salutato la figlia, quel giorno è rimasto a casa accanto alla moglie malata. Della cerimonia funebre hanno sentito in lontananza solo il rintocco delle campane. Diversamente da come accadde per Pier Giorgio Welby, questa volta la Chiesa diede il consenso a celebrare le esequie religiose.

Beppino Englaro ha sempre ribadito che la libertà si dà solo all'interno della legalità e della socialità e la battaglia laica da lui portata avanti è stata condotta all'interno di questi confini. Il diritto che rivendicava era un diritto già presente in costituzione: ha però combattuto 17 anni per vederselo riconosciuto.

L'alimentazione e l'idratazione forzata sono da considerarsi una terapia o una forma di sostentamento vitale di base?

Laddove prevalga la seconda interpretazione, l'interruzione del trattamento andrebbe considerata una forma di eutanasia. Oggi in Italia in merito all'eutanasia c'è un vuoto legislativo che occorre colmare. L'articolo 580 del codice penale punisce con la stessa pena l’aiuto e l'istigazione al suicidio, da 5 a 12 anni. Il 27 febbraio 2017 Fabiano Antoniani, noto come Dj Fabo, si è recato in Svizzera accompagnato dal dirigente radicale Marco Cappato, leader dell'Associazione Luca Coscioni, per avviare la pratica di suicidio assistito. Nel 2018 la questione è giunta sino alla Corte Costituzionale che ha invitato il Parlamento a normare la materia con una legislazione aggiornata.

Laddove invece l'alimentazione e l'idratazione forzata vengano interpretati come una terapia, la somministrazione di quest'ultima contro il volere espresso dal paziente è da considerarsi una forma di accanimento terapeutico. In questo senso si erano espressi i giudici della Corte Suprema Statunitense in riferimento al caso, analogo a quello di Eluana, di Terri Schiavo, impiegata statunitense morta nel 2005 dopo aver trascorso 15 anni in stato vegetativo. E nella stessa direzione è andata la Corte di Cassazione nel 2007, stabilendo che i trattamenti possono essere sospesi per un paziente in uno stato vegetativo irreversibile che abbia espresso in vita la propria contrarietà a tali cure.

Solo 8 anni dopo la morte di Eluana, il 22 dicembre 2017 il Parlamento ha approvato una legge sul biotestamento (n. 219), o sulle norme in materia di consenso informato e Disposizioni anticipate di trattamento (Dat), entrata poi in vigore a fine gennaio 2018. La legge consente di dare disposizioni sul “fine vita” e sulle terapie da accettare in caso di futura, sopravvenuta incapacità di intendere e di volere. Per garantirne la piena operatività tuttavia è necessaria l'istituzione di una banca dati che ad oggi ancora non è attiva.

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