SCIENZA E RICERCA

Benessere e mindfulness, Di Fabio: “Importante proseguire nella ricerca”

“La nostra attuale comprensione dell’efficacia degli interventi psicologici nel migliorare gli stati mentali di benessere è incompleta”. Parte da questa considerazione una meta-analisi recentemente pubblicata su Nature Human Behaviour che, prendendo in esame più di 400 studi per un totale di oltre 50.000 persone,  cerca di dare delle risposte. Gli scienziati, coordinati da Joep van Agteren del South Australian Health and Medical Research Institute di Adelaide, giungono alla conclusione che gli interventi basati sulla psicologia positiva e sulla mindfulness sarebbero i più efficaci per raggiungere il benessere psichico.

Per approfondire i risultati della meta-analisi Il Bo Live si è rivolto ad Annamaria Di Fabio, professoressa ordinaria di psicologia del lavoro e delle organizzazioni all’università di Firenze e presidente della scuola di Psicologia dello stesso ateneo. Con la docente, che è anche direttrice dei due laboratori internazionali Cross-Cultural Positive Psychology, Prevention, and Sustainability e Work and Organizational Psychology for Vocational Guidance, Career Counseling, Talents and Healthy Organizations, abbiamo indagato i concetti di benessere, psicologia positiva e mindfulness per capire quali siano le basi teoriche su cui si fondano.

Professoressa Di Fabio quali sono i risultati più significativi dello studio pubblicato su Nature Human Behaviour?

La meta-analisi recentemente pubblicata su Nature Human Behaviour analizza l’efficacia degli interventi psicologici nella promozione del benessere psichico. Sono stati inclusi nella meta-analisi 419 studi randomizzati controllati con popolazione sia clinica che non clinica per un totale di 53.288 partecipanti. I criteri per l’inclusione degli studi nella meta-analisi sono stati cinque: studi che hanno valutato solo un intervento psicologico o comportamentale; studi con disegno controllato randomizzato (partecipanti assegnati casualmente al gruppo sperimentale e al gruppo di controllo); studi con almeno una misura validata di benessere psicologico (ad esempio, studi con un unico item non sono stati inclusi), anche se sono stati usati studi che hanno per  risultati differenti misure di benessere psicologico (edonico ed eudaimonico); solo articoli scritti in lingua inglese. Non sono stati inclusi invece studi che hanno indagato popolazioni con deterioramento cognitivo. Gli articoli considerati sono stati pubblicati fino a luglio 2020 su riviste peer-reviewed sulle banche dati PsycInfo, PsycArticles, Scopus, Medline and Cinahl.

I risultati di questa meta-analisi mostrano che interventi basati sulla mindfulness e interventi di psicologia positiva con molteplici componenti implicate sono emersi con il più alto grado di efficacia sia nella popolazione clinica che non clinica. Soprattutto nella popolazione non clinica interventi basati sulla mindfulness e interventi di psicologia positiva con molteplici componenti implicate arrivano a presentare anche un’alta qualità di evidenza di grado 4 (il grado rappresenta la misura della qualità dell’evidenza).

La meta-analisi ha inoltre portato all’attenzione il fatto che interventi di psicologia positiva su unica componente, interventi basati sulla terapia cognitiva e comportamentale, interventi basati sulla terapia dell’accettazione e dell’impegno e interventi di rievocazione sono efficaci anche se in misura minore.

La meta-analisi appare interessante e i suoi risultati iniziano a delineare un’evidenza scientifica che è auspicabile meriti progressivamente sempre più attenzione. Studi successivi potrebbero prendere in considerazione alcuni limiti di questa valida meta-analisi, studiando in maniera differenziata gli esiti relativi al benessere edonico, che si manifesta con la percezione di essere soddisfatti nella propria vita con un predominio di emozioni positive, e gli esiti relativi al benessere eudaimonico, che invece coglie le sfumature di benessere più legate alla presenza di significato e scopo di vita. In questo modo sarebbe possibile far emergere le differenze nei risultati relativi a questi due diversi approcci nello studio del benessere (edonico e eudaimonico) a un livello più in generale, ma anche i livelli di efficacia dei vari interventi differenziati in relazione a questi due specifici approcci di benessere.

Lo studio ci è utile per entrare più nel merito di alcuni concetti: innanzitutto cosa si intende per “benessere” e come si “misura”?

Partendo dalla definizione di salute dell’Organizzazione mondiale della sanità non come assenza di malattia e di infermità ma come stato di completo benessere fisico, mentale, spirituale e sociale, emergono due assi di riflessione basilari. Il primo riguarda una visione olistica della salute che non si limita alla salute fisica ma contempla anche la salute psicologica, e include la salute sociale. Il secondo richiama l’attenzione sull’importanza non soltanto di rilevare la mancanza di fattori negativi, ma anche in particolare di rilevare la presenza di fattori positivi.

Storicamente un cambiamento della prospettiva tradizionale a cui possiamo fare riferimento si colloca negli anni Sessanta del secolo scorso con il movimento per il potenziale umano e in successione la psicologia positiva, a partire dalle teorie di Seligman & Cskszentmihalyi, con interrogativi di ricerca sul tema della felicità. In questa cornice il benessere è stato studiato seguendo due prospettive distinte, come ci ricordano Ryan e Deci: il benessere edonico inteso in termini di conseguimento del piacere ed evitamento del dolore; il benessere eudaimonico centrato sul pieno funzionamento della persona, dando valore alle componenti del significato e dell’autorealizzazione nella vita della persona.

Il benessere edonico è stato tradotto dal piano dei modelli teorici al piano della ricerca sul campo attraverso due componenti: la valutazione affettiva in termini di affetti positivi e negativi da un lato, la valutazione cognitiva della soddisfazione di vita dall’altro.

Per il benessere eudaimonico, che pone l’accento invece sul funzionamento ottimale della persona, la ricerca sul campo ha centrato la sua attenzione su componenti come l'autorealizzazione, il significato della vita, lo scopo di vita  e su processi di “fioritura” della persona (flourishing)  ed è stato descritto in termini misurabili e osservabili a partire da questi costrutti. Le ricerche empiriche hanno documentato risultati seguendo queste due prospettive del benessere, indagando per ciascuna delle due prospettive queste differenti componenti, per ciascuna delle quali sono disponibili valide scale di rilevazione psicometricamente fondate.

Ciò che emerge di particolare rilevanza a questo punto è che proseguano gli studi sul benessere ed in particolare sulle relazioni tra il benessere personale e il benessere collettivo dell’umanità, comprendendo anche il benessere del pianeta. Le risposte da ricercare riguardano infatti non solo come le persone possano raggiungere risultati di benessere edonico ed eudaimonico a livello personale, ma anche e soprattutto come le persone possano raggiungere risultati di benessere edonico ed eudaimonico che si configurino sostenibili nello scenario di quasi otto miliardi di altre persone presenti sulla terra, in relazione alla soddisfazione delle rispettive aspirazioni. Anche le Nazioni Unite hanno riconosciuto il benessere nell’obiettivo tre Good Health and Well-being (Buona salute e benessere) come riferimento essenziale per questo obiettivo chiave di sviluppo sostenibile.

Il benessere organizzativo ha assunto negli ultimi anni un peso sempre più significativo in ambito professionale, anche con una regolamentazione normativa specifica. Perché?

La definizione estesa di salute a cui facciamo riferimento richiama l’attenzione su persone sane anche come lavoratori fiorenti e resilienti, sottolineando il valore di un ambiente di lavoro positivo che contempli adeguatamente la promozione della salute, ma anche il benessere e le prestazioni dei dipendenti, in particolare facendo emergere la necessità di una prospettiva di psicologia positiva dell'organizzazione.  

Come sottolineato anche da Tetrick e Peiró da tempo, questa visione della salute chiama a porre attenzione sulla necessità del passaggio non solo verso il miglioramento della salute, ma anche verso la salute “positiva” nelle organizzazioni, con aspetti di promozione della salute, del benessere e della crescita dei dipendenti. Ciò implica concentrarsi sui talenti individuali delle persone in quanto lavoratori e sui talenti dei gruppi di lavoro al fine di ottenere prestazioni migliori, soddisfazione e benessere elevati, basati sulla valorizzazione delle risorse individuali e organizzative, sostenendo il benessere di persone, gruppi e organizzazioni. Vale la pena ricordare che l’approccio psicologico positivo sostenuto da Seligman e Csikszentmihalyi si arricchisce progressivamente con l'introduzione di un approccio proattivo e anticipatorio per migliorare la prospettiva della prevenzione, considerando adeguatamente anche una prospettiva di prevenzione primaria con gli studi condotti con Maureen Kenny del Boston College. Ciò che è di maggiore interesse, è lo spostamento dalla tradizionale attenzione all'eliminazione dei rischi per la sicurezza e la salute dei dipendenti in favore di una più recente attenzione alla promozione della crescita e delle esperienze positive con l'enfasi sullo sviluppo di un ambiente di lavoro sano e sicuro in grado di facilitare il benessere dei lavoratori.

L’articolo pubblicato su Nature Human Behaviour riferisce che gli interventi basati sulla mindfulness sono risultati tra quelli più efficaci per raggiungere il benessere. Quando nasce il concetto di “mindfulness” e quali sono le basi scientifiche?

La mindfulness è stata definita da Kabat-Zinn, che ne scrive nella prima metà degli anni Novanta, come la consapevolezza che deriva dal prestare attenzione al momento presente, utilizzando modalità prive di atteggiamenti di giudizio. Il concetto di mindfulness in termini di consapevolezza, radicato nel buddismo, ha progressivamente guadagnato attenzione anche nella società occidentale. A partire dagli anni Settanta si sono diffusi progressivamente approcci psicologici e psicoterapeutici derivati dall’applicazione di principi di meditazione buddista agli interventi.

Ciò che possiamo far emergere brevemente in questo contesto è che la mindfulness è stata concettualizzata e studiata sia come uno stato (cioè una condizione momentanea) sia come un tratto (cioè una caratteristica stabile) della persona. Se la mindfulness di stato può essere migliorata con interventi specifici documentati dalla letteratura scientifica, negli ultimi anni c'è stato un aumento della ricerca finalizzata a esplorare anche il potenziale della mindfulness di tratto. Proseguire nella ricerca in questa direzione su entrambi i fronti, può sicuramente portare a benefici per comprendere aspetti critici e opportunità di intervento per migliorare la salute psicologica nella popolazione generale.

Come si traduce nella pratica?

Gli interventi di mindfulness possono essere usati in numerosi contesti. Recenti revisioni della letteratura ne discutono l’utilità per le situazioni più diverse e disparate. Da quelle più delicate, come ad esempio per far fronte al dolore in pazienti con tumore, o il supporto durante la gravidanza (con benefici contro ansia, depressione e stress), a quelle più legate a un ambito prestativo e lavorativo come quello sportivo  o lavorativo.

Negli studi si evidenzia spesso come soggetti sottoposti a trattamento, abbiano sovente degli esiti maggiormente positivi (in termini di diminuzione di malessere o, all’opposto, di aumento del benessere) rispetto al gruppo di controllo. La ricerca suggerisce, inoltre, che gli effetti per la salute mentale siano duraturi, e soprattutto che ci possano essere diversi tipi di trattamento basato sulla mindfulness, anche relativamente brevi, che riescono ad offrire risultati soddisfacenti.

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