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Una biblioteca universitaria a Palazzo Bo, trecento anni fa

Palazzo Bo, fra aule, cortili, strumenti scientifici e d’opere d’arte, è testimone di una storia secolare ricca di eventi di vita universitaria e cittadina. I suoi archivi raccontano storie non meno avventurose, talora anche poco conosciute, perché solo in essi ne rimane traccia. È il caso della vicenda della costruzione di una monumentale biblioteca al Bo: la sua realizzazione fu effettivamente iniziata esattamente trecento anni fa, ma non venne mai portata a termine.

La Libreria dello Studio di Padova, prima del suo genere in ambito universitario, fu fondata nel 1629. Luogo di conservazione del patrimonio librario a disposizione di studenti e docenti, in particolare doveva conservare una copia di tutto quello che si pubblicava nel territorio della Repubblica di Venezia. Inizialmente insediata presso l’ex convento dei Gesuiti, dal 1631 fu collocata nella sala dei Giganti presso il Capitaniato (oggi collegata al complesso del Liviano).

Stefano Zaggia racconta le vicende della biblioteca. Riprese e montaggio di Elisa Speronello

Nel corso degli anni la capienza della Sala si dimostrò insufficiente col crescere delle collezioni. Fu il bibliotecario incaricato da pochi anni che, nel 1696, sottolineò in una relazione alle magistrature veneziane, la necessità di avere più spazio da dedicare alla biblioteca, suggerendo di ampliare gli ambienti collegati alla sala dei Giganti. Si trattava di Girolamo Frigimelica Roberti (1655-1732) una delle personalità padovane più importanti dell’epoca, non solo per gli interessi in campo letterario, musicale (fu librettista) ma, soprattutto, per le competenze in campo architettonico: autore di importanti opere a Padova, come la chiesa del Torresino, la chiesa di Santa Lucia o il completamento della cattedrale; di un primo progetto per Villa Pisani a Stra; l’ampliamento di Palazzo Pisani a Venezia; della chiesa di San Michele a Modena, solo per citare le più note.

La decisione non fu immediata, come spesso in ambito veneziano, e solo dopo lunghe discussioni fu deciso nel 1716 di realizzare non un semplice ampliamento della sala dei Giganti, ma un vero e proprio edificio apposito congiunto alle aule del Bo. I Riformatori allo Studio, infatti, colsero l’opportunità di acquistare un immobile confinante con il Bo, di proprietà della famiglia Capodivacca, in cui collocare la nuova sede. La decisione ufficiale fu presa dal Senato Veneto: il giorno 3 dicembre 1716 decretava l’acquisto della casa privata su cui doveva essere poi realizzata una nuova sede per la libreria pubblica.

Per la realizzazione del nuovo fabbricato, quindi, fu eletta una commissione composta dai docenti: Giovanni Poleni, celebre professore di astronomia, matematica e fisica nonché grande esperto di architettura e studioso di Vitruvio, Antonio Bombardini, docente di diritto canonico, e da Girolamo Frigimelica, direttore della biblioteca.

Su incarico dei Riformatori, quindi, fu predisposto un primo progetto elaborato dall’architetto Domenico Margutti, proto dei Procuratori di San Marco de supra, il quale sottopose le proprie tavole all’approvazione il 18 agosto 1717. Il progetto prevedeva la costruzione di un corpo di fabbrica rettangolare principale per la sala e di un corpo minore per l’atrio, agganciati al lato meridionale del cortile del Bo. Gli ambienti si sviluppavano su due piani principali: un piano terra articolato in magazzini e un secondo livello che si sviluppava su doppia altezza, dove erano collocati l’atrio voltato a pianta ovale e l’ampia sala di lettura rettangolare, con scaffalature su due livelli, due registri di finestre con elaborate cornici e infine una volta a botte lunettata come copertura. Il prospetto esterno prevedeva ricche soluzioni decorative: l’edificio principale, che ospitava la sala di lettura, presentava al piano terra una sequenza di pilastri bugnati alternati ad archi, mentre i livelli superiori erano scanditi da cinque paraste doriche giganti, negli interassi delle quali erano collocate specchiature a rincasso e due livelli di finestre.

Il progetto di Margutti, tuttavia, incontrò subito il giudizio negativo della commissione, soprattutto da parte di Girolamo Frigimelica che appuntava le critiche sulla spesa eccessiva e soprattutto sul fatto che le scelte progettuali non fossero coerenti con le teorie vitruviane. Sulla base delle critiche espresse durante le riunioni per valutare la proposta Margutti, Girolamo Frigimelica elaborò un progetto alternativo, di cui predispose due versioni: uno con e uno senza atrio d’ingresso. Sappiamo che per far conoscere il suo progetto fece eseguire dai suoi aiutanti, non solo alcuni disegni, ma anche sia un modello cartone semplice che un modello ligneo.

Nel dicembre del 1717 i Riformatori decisero di abbandonare il progetto Margutti per seguire la proposta di Frigimelica. Nella relazione che accompagnava le sei tavole elaborate, Frigimelica spiegava che come base di partenza aveva seguito il testo vitruviano in relazione alle sale Egizie e nella scelta degli ornamenti interni sottolineava di aver pensato alle soluzioni più sobrie e semplici in ragione all’economicità. Così anche i prospetti esterni erano trattati nel più semplice di modi: «non hanno altro ornamento che quello che viene dalla schiettezza e dalle proporzioni». Le tavole rimaste rendono conto di tali assunti teorici: gli ambienti appaiono connotati da una ricercata qualità degli interni a fronte di un prospetto esterno assolutamente sobrio ispirato alla più schietta funzionalità, con pilastri e archi lisci al piano terra, paraste binate rese astratte dall’eliminazione di qualsiasi modanatura nei livelli superiori.

Nei primi giorni di maggio 1718 quindi fu posta la prima pietra del cantiere sulla base della variante del progetto di Frigimelica che prevedeva la presenza di un atrio ovale collegato alle scale meridionali del Bo. I lavori proseguirono per alcuni anni ma a causa di una serie d’imprevisti e di complicazioni di carattere finanziario, l’opera non fu mai portata a termine, se non il primo livello corrispondente ai magazzini, sopra i quali venne poi nel 1730 collocato un tetto provvisionale. All’interno del vano realizzato per ospitare l’atrio di ingresso, più tardi, a metà del secolo venne istituito il Theatrum philosophiae experimentalis che ospitava gli strumenti scientifici raccolti e utilizzati nella ricerca da Giovanni Poleni. I lavori di costruzione del cortile Nuovo, iniziati nel 1938, infine cancellarono qualsiasi traccia delle costruzioni settecentesche.

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