SCIENZA E RICERCA

Biodiversità in pericolo. Un brusco collasso più vicino di quanto si prospettasse

La biodiversità è ancora in pericolo. Come evidenzia uno studio pubblicato recentemente su Nature, se il riscaldamento globale dovesse continuare con il ritmo attuale, entro la fine del 21esimo secolo dovremo dire addio a moltissime specie del regno animale e vegetale, preparandoci a fronteggiare un vero e proprio disastro ecologico.
Che il cambiamento climatico antropogenico rischi di causare dei gravi danni per la biodiversità non è, purtroppo, una novità. Ciò che è sempre stato difficile da prevedere, però, è il tempo che resta prima che si verifichino conseguenze irreversibili.

Lo studio pubblicato su Nature, finanziato dalla Royal society, dalla National science foundation, e dalla African academy of sciences è stato condotto da Alex Pigeot, del centro UCL per la ricerca su biodiversità e ambiente, e da Christopher Trisos, ricercatore all'università di Cape Town impegnato nello studio della relazione tra cambiamenti climatici e perdita della biodiversità.

I risultati di questo lavoro prospettano un scenario futuro tutt'altro che roseo. Sembra che gli effetti negativi sulla biodiversità non si verificheranno parallelamente al graduale innalzamento delle temperature: infatti, per un certo periodo di tempo, la gran parte delle specie potrebbe anche riuscire ad adattarsi al mutamento del clima. Questo però non sarebbe più possibile una volta raggiunta una certa soglia di temperatura, oltre la quale le condizioni ambientali potrebbero diventare improvvisamente insostenibili.
Per ogni specie, in altre parole, esiste un livello massimo di temperatura oltre il quale la capacità di adattamento è insufficiente a garantirne la sopravvivenza. Non è chiaro quindi, per quanto tempo, una volta raggiunto tale livello, una specie possa resistere; quello che è certo, però, è che da quel momento in poi il rischio di estinzione diventa molto alto.

Per cercare di comprendere quando e in quali aree del pianeta si prospetta questa minaccia alla biodiversità, gli studiosi hanno analizzato dati climatici e geografici raccolti dal 1850 al 2005, registrando inoltre quali specie abitano ogni determinato luogo, per capire cosa sia accaduto loro nelle diverse aree del pianeta in questo lasso di tempo. Proiettando questo modello climatico negli anni futuri, fino al 2100, hanno cercato di capire con che tempi e in che luoghi le diverse specie dovranno avere a che fare con temperature che non hanno mai sperimentato, trovandosi al di fuori del loro range di temperatura ottimale.

La maggior parte degli studi condotti finora si era concentrata su proiezioni limitate, ovvero stimando gli effetti sulla biodiversità in vista di un solo specifico momento futuro, o concentrandosi sulle singole specie, invece di considerare interi ecosistemi per lunghi periodi di tempo. Purtroppo però, questo approccio rischia di tralasciare quali siano i tempi e le modalità del cambiamento in questione.

In questo studio, invece, le proiezioni annuali coprono un lasso di tempo che arriva fino al 2100, tenendo conto dell'aumento delle temperature, delle precipitazioni attese e, soprattutto, della sincronia degli effetti su oltre 30.000 specie terrestri e marine in diverse aree del mondo.
Gli studiosi intendevano rilevare, in questo modo, le conseguenze del cambiamento climatico su diverse specie. Hanno perciò compilato una mappa geografica prendendo in considerazione i diversi range di temperatura sostenibile per le diverse specie, per poi prevedere, in ogni area, quando la temperatura avrebbe raggiunto la soglia oltre la quale le specie rischiavano di estinguersi e gli ecosistemi di venire annientati.

Ed è stato proprio adottando una prospettiva più ampia che i ricercatori hanno potuto comprendere il rischio a cui il nostro pianeta sta andando incontro. Il fatto che le condizioni ambientali diventino insostenibili per molte specie contemporaneamente comporta quel brusco e improvviso cambiamento nel funzionamento degli ecosistemi che rischia di essere per loro fatale.

Ebbene, i risultati evidenziano che il “momento dell'emergenza” potrebbe essere raggiunto per il 73% delle specie di tutto il mondo nel giro dello stesso decennio, molto prima dell'anno 2100, senza grosse distinzioni tra aree protette e non.
L'esposizione delle specie del pianeta a temperature non più sostenibili rischia di avvenire sì in luoghi diversi e in tempi diversi, ma comunque in maniera rapida e improvvisa, a cominciare dalle zone tropicali entro il 2030 fino alle aree del pianeta con latitudini più elevate entro il 2050. Questo scenario avrebbe delle conseguenze irreversibili sul funzionamento degli ecosistemi.

Lo scopo degli studiosi, dunque è in primo luogo quello di avvertire cittadini e istituzioni che la perdita della biodiversità non sarà un problema degli scienziati del 2100, bensì una realtà che potrebbe realizzarsi molto prima, come dimostra, ad esempio, la progressiva scomparsa della barriera corallina.
La ricerca, poi, evidenzia che anche l'Africa, a partire dalla regione del Sahel, dove si trovano le foreste pluviali congolesi, potrebbe dover fronteggiare uno scenario simile entro il 2040.
Tutto ciò comporta un rischio anche per gli esseri umani. La scomparsa non solo delle singole specie, ma anche di interi ecosistemi, rischia infatti di minare il sostentamento di quelle popolazioni, ad esempio quelle africane, che vivono di pesca e agricoltura locale o di ecoturismo, causando un problema non solo economico, ma anche in termini di salute della società.

Tutto questo è dovuto all'aumento medio delle temperature a causa delle emissioni, e maggiore sarà l'aumento delle temperature annuali, minore sarà il tempo sufficiente a causare danni irreversibili.
Per questo motivo, secondo gli studiosi, “lo sviluppo di avvertenze anticipate sul rischio di interruzioni ecologiche graduali o improvvise è una priorità urgente”.

Ancora una volta, l'appello è rivolto a chi nega l'urgente necessità di ridurre le emissioni o sottovaluta i rischi del riscaldamento globale. Attuare i provvedimenti necessari, perlomeno rallentando l'attività nociva, potrebbe ritardare il momento in cui verrà raggiunta la soglia di temperatura critica per molte specie del nostro pianeta.
Per il momento, quindi, siamo ancora in tempo per evitare questo scenario disastroso, purché ci sia un impegno concreto a mantenere il riscaldamento globale sotto i 2 gradi, tramite l'abbandono del combustibile fossile e la transizione verso le energie rinnovabili, così da ridurre drasticamente il livello delle emissioni. Si dovrebbe quindi tenere conto di questa e altre ricerche sull'argomento, diventate veri e propri campanelli d'allarme per la salvaguardia del pianeta.

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