SCIENZA E RICERCA

Black Lives Matter: anche gli scienziati scendono in piazza

Continuano le proteste contro la brutalità della polizia e il razzismo negli Stati Uniti e nel resto del mondo. La morte di George Floyd ha toccato nel profondo numerose persone: anche il mondo accademico ha deciso di unirsi a questa lotta. Il 10 giugno, infatti, molti scienziati ma anche organizzazioni e istituzioni scientifiche, editori e università, hanno deciso di interrompere qualsiasi attività lavorativa, dalla ricerca all’insegnamento

LEGGI ANCHE

Le ferite degli Stati Uniti: dall'emergenza sociale alla crisi sanitaria ed economica

È stato chiesto alle università e alle società scientifiche di rilasciare dichiarazioni e di promuovere azioni e iniziative: le discriminazioni, secondo i ricercatori, riguardano sia il genere che il colore della pelle e le recenti proteste hanno accentuato questo divario. Lo sciopero indetto rappresenta un momento essenziale per riflettere sulle discriminazioni razziali all’interno dell'ambito scientifico e accademico. A sostenere la causa e per promuovere azioni concrete, sono nate diverse iniziative tra cui #ShutDownSTEM e #ShutDownAcademia, a cui si aggiunge anche Particles for Justice.

Coordinate da professionisti e accademici in materie STEM, il loro obiettivo è di promuovere un piano a lungo termine per sradicare il razzismo dalla comunità scientifica. Interessanti sono le proposte della prima iniziativa che struttura degli interventi da compiere su tre livelli: l’educazione, l’azione e la guarigione. Nel primo caso, gli scienziati suggeriscono di informarsi il più possibile attraverso libri, film, blog, podcast e social media, per poter conoscere al meglio ciò che si sta combattendo. Inoltre, si chiede di essere responsabili e attivi nel contesto di appartenenza, promuovendo interventi volti a cambiare la situazione. Infine, le persone colpite dal razzismo hanno bisogno di rialzarsi e per fare ciò è necessario che ognuno contribuisca donando il proprio tempo, soprattutto a livello emotivo. Particles for Justice, invece, è attivo già prima dei recenti avvenimenti, per combattere la discriminazione di genere nell’ambito della fisica: nelle loro dichiarazioni hanno testimoniato la bassa percentuale di persone di colore all’interno delle istituzioni accademiche e delle collaborazioni internazionali di ricerca. Nei dipartimenti di fisica, scrivono gli organizzatori, spesso queste persone si sentono sgradite, non supportate, aumentando così l’insicurezza sulle loro capacità.

Migliaia di persone da ogni parte del mondo hanno partecipato allo sciopero: secondo gli organizzatori, questa iniziativa è solo l’inizio di un processo per il cambiamento. La rivista Nature, durante lo sciopero, ha proposto alcuni approfondimenti per sconfiggere il razzismo, mentre altre testate scientifiche hanno deciso di interrompere le loro pubblicazioni. Dopo lo sciopero, studenti, ricercatori, professori e non solo hanno dato voce alle loro esperienze nella “torre d’avorio” delle università e istituti di ricerca, sotto l’hashtag #BlackintheAvory.

Le testimonianze presenti, sia negative che positive, tracciano diverse strade in cui il razzismo si è insinuato. Una studentessa racconta che, prima di iscriversi alla scuola di medicina, si è documentata sul livello di razzismo nelle varie città mentre altri hanno ammesso di aver modificato i loro capelli per non rischiare di compromettere la loro carriera. 

Neil A. Lewis, professore di Communication and Social behavior alla Cornell University, ha riportato nelle pagine della rivista Science la sua esperienza come ricercatore afroamericano: come spiega lui stesso, nella società statunitense, essere nero è come avere dietro alla schiena un bersaglio. Una delle principali disuguaglianze che ha riscontrato l’autore è la difficoltà di far valere il proprio lavoro o semplicemente di studiare quello che appassiona. Inoltre, viene messo in luce un aspetto importante: l’aumento della rappresentanza di studenti, ricercatori, professori o altre figure afroamericani nell’ambito accademico non deve diventare il simbolo della diversificazione. Per ottenere un cambiamento radicale, è necessario capovolgere la situazione all’interno dei luoghi accademici, in cui lo scopo principale delle persone afroamericane non sia la mera sopravvivenza lavorativa e accademica, sottostimando il proprio lavoro e le proprie capacità, ma la possibilità di far fiorire le proprie idee e il proprio apporto alla scienza

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012