Jair Bolsonaro durante una manifestazione elettorale
Il Brasile rischia un nuovo governo autoritario? È la domanda che si pongono in molti, dal momento che la corsa alla presidenza di Jair Bolsonaro, ex ufficiale e parlamentare da quasi trent’anni, non sembra arrestarsi nemmeno dopo il grave attentato del 6 settembre, quando durante una manifestazione in Minas Gerais è stato accoltellato all’addome, costretto al ricovero e a ripetuti interventi chirurgici. Il politico, vicino agli ambienti militari, è noto per le sue posizioni ultranazionaliste e di estrema destra: in passato ha difeso il periodo del governo dei generali (definito “vent’anni di ordine e progresso”, riprendendo il motto che compare sulla bandiera carioca) e ha elogiato l’autocrate cileno Augusto Pinochet; ha usato espressioni violente contro gli omosessuali (“se avessi un figlio gay preferirei che morisse in un incidente”), le minoranze nere (“non vanno bene neanche per la riproduzione”), le donne (in più occasioni ha attaccato colleghe parlamentari dicendo che “non le avrebbe stuprate perché non se lo meritavano”).
La sua campagna punta sulla lotta alla criminalità, in un Paese che nel 2017 ha toccato il record di 63.880 omicidi, e sul rigetto della corruzione: una piaga che ha segnato in modo crescente la società e la politica brasiliana negli anni recenti, e che ha toccato l’apice con lo scandalo Petrobras, la multinazionale petrolifera controllata dallo Stato, accusata di aver favorito un enorme flusso di tangenti dirette ai propri dirigenti e a politici da parte di imprenditori interessati a contratti con la compagnia. La grande indagine giudiziaria che ne è scaturita (operazione “Lava Jato”, ossia “autolavaggio”) ha investito i vertici dello Stato, portando all’arresto dell’ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva e contribuendo indirettamente alla destituzione della presidente in carica Dilma Rousseff.
Bolsonaro è stato definito da molti giornali internazionali “il Trump brasiliano”, ma le sue posizioni sembrano ancora più radicali rispetto a quelle del presidente Usa. I suoi orientamenti in materia economica sono al momento poco chiari: i suoi più stretti collaboratori sostengono la privatizzazione dei colossi di Stato come Petrobras e tagli al sistema pensionistico per alleggerire la spesa pubblica. Ma il carattere populista del candidato di destra è emerso durante lo sciopero dei camionisti nella scorsa primavera: Bolsonaro ha appoggiato le richieste della categoria, che chiedeva il ribasso del prezzo del gasolio e l’istituzione di tariffe minime garantite per il trasporto su gomma. Il consenso di Bolsonaro non è stato minimamente scalfito dall’attentato, anche se le sue condizioni di salute lo escluderanno dalla campagna elettorale almeno fino al primo turno, il 7 ottobre.
Sono mesi che è in testa a tutti i sondaggi: l’unico rivale che avrebbe potuto tenergli testa è il popolarissimo ex presidente Lula, bandito dalle elezioni perché in carcere dallo scorso 7 aprile per scontare una condanna a 12 anni di reclusione con l’accusa di corruzione. Malgrado l’appello in suo favore dell’Onu e i ricorsi promossi dal socialista Partito dei Lavoratori (la sua formazione politica), la magistratura brasiliana ha escluso Lula dalla competizione elettorale, cui intendeva prendere parte anche dal carcere. Il gradimento di Lula è rimasto altissimo fino al 14 settembre, giorno in cui ha ritirato la sua candidatura: gli ultimi sondaggi gli attribuivano un consenso medio intorno al 35%. Il partito è così stato costretto a nominare candidato alla presidenza Fernando Haddad, l’uomo che Lula aveva scelto per le prossime elezioni come suo vicepresidente, molto meno noto e amato. Haddad è costretto a una rincorsa: in poco più di tre settimane, deve tentare di farsi conoscere e conquistare i voti che sarebbero andati a Lula. La strategia sembra funzionare, e Haddad è in forte ascesa, ma al momento è però lontano dall’obiettivo. I tre sondaggi più recenti gli attribuiscono la seconda posizione, con consensi tra il 16 e il 19%, contro Bolsonaro dato tra il 33 e il 28%. In terza posizione un altro candidato di sinistra, il laburista Ciro Gomes, che oscilla tra il 14 e il 10,8%. Se la tendenza dovesse essere confermata e nessun candidato ottenesse la maggioranza assoluta al primo turno, in Brasile si profilerebbe, il 28 ottobre, il ballottaggio tra l’estrema destra e una sinistra con tendenze populiste. Un esito che impensierisce i mercati, stretti tra i timori di politiche protezionistiche da parte di Bolsonaro e l’opposizione delle sinistre alla riforma delle pensioni per ridurre il deficit. In un Brasile segnato da una ripresa debole e incerta dopo la pesante recessione degli ultimi anni, è una prospettiva che non induce all’ottimismo.