SOCIETÀ

La caccia all'untore serpeggia sui social

Chiusi in casa, senza fonti di distrazione (ad un certo punto l'offerta di Netflix comincia a scarseggiare) e con una scarsa attitudine alla lettura, a molti italiani rimane una sola cosa: Facebook. In attesa di tornare finalmente a essere tutti ct della Nazionale, stanno prendendo piede nuove lauree all'Università della Vita. Il 3+2 (giorni) in epidemiologia va per la maggiore, ma Economia nelle Pringles tiene il passo. Chi non se la sente di studiare così tanto (!), però, non deve disperare: è disponibile il corso di mezz'ora per sceriffo di quartiere, una nuova professione che si può esercitare dal balcone o anche seduti sul divano, indagando sui profili social dei vicini.

Verrebbe da pensare che in un momento di difficoltà globale le persone dovrebbero sentirsi affratellate sotto l'egida del "mal comune mezzo gaudio", e invece ci stiamo gettando nell'agone del tutti-contro-tutti senza nemmeno capire perché. Eppure delle ragioni sociologiche probabilmente ci sono: ne abbiamo parlato con Claudio Riva, sociologo dei media e presidente della triennale in scienze sociologiche a Padova.

Uno dei problemi è la narrazione del lockdown da parte dei media. Facciamo un passo indietro: il lockdown non cura il coronavirus, ma serve a evitare il tracollo del sistema sanitario nazionale. Forse anche in buona fede, visto che all'inizio in molti non avevano compreso la gravità della situazione, si è lanciato un messaggio che suonava un po' come "stai a casa e salva vite dal tuo divano". Nonostante le buone intenzioni, però, questo messaggio si è rivelato un boomerang: "La responsabilità individuale nella gestione del lockdown – spiega Riva – per come è stata posta dai media e dalle istituzioni, ha subito aperto all’idea che, se la curva dei contagi scende lentamente, la responsabilità sia nostra e così quotidianamente viene additato un colpevole: il runner che corre in spiaggia, chi porta a passeggio il cane, chi prende il sole in riva al mare, la mamma che vuole acquistare pennarelli in cartoleria, l’anziano che gioca a briscola con gli amici in mezzo al bosco, la famiglia che organizza il barbecue in terrazza e via dicendo".

Da qui, un florilegio di foto su Facebook di mercati e argini pieni, invettive contro categorie specifiche e fin troppo spesso innocenti e un'aggressività generalizzata figlia della frustrazione, che in certi casi arriva a preoccupare più del virus. I media cavalcano l'onda, offrendo spettacoli poco edificanti come per esempio il presunto esodo del giorno di Pasqua. In realtà i carabinieri stavano giustamente controllando le autocertificazioni di chi si muoveva, e per questo attorno a Roma si era formata una colonna di auto. In seguito sono stati diffusi i dati: nel weekend di Pasqua sono state fatte oltre 30.000 verifiche, e sono stati riscontrati solo 240 illeciti. Ma allora perché siamo cosi disposti a credere che tutti quelli che vediamo fuori, magari mentre siamo fuori a nostra volta, non siano titolati a muoversi?

"Per prima cosa – sostiene Riva – lo stereotipo dell’italiano incapace di attenersi alle regole, trasgressore per natura, è una facile risposta all’esigenza di dare un senso ai dati che hanno visto per molte settimane l’Italia come primo Paese al mondo per numero di contagi e decessi. Più che affrontare il tema dell’efficienza del sistema sanitario, dei focolai mal gestiti, di percentuali elevatissime di lavoratori in movimento, è stato ed è più semplice ribadire lo stereotipo di un popolo antropologicamente più portato a trasgredire le norme anziché a rispettarle, ponendo il tema dei checkpoint e della sorveglianza tramite droni, app per il contacttracing".

Dare la colpa agli italiani, insomma, può essere molto comodo per la politica, e forse, in assenza dello sport sul campo, competizioni di Scarica Barile potrebbero essere un'alternativa. "Puntare l’indice sui comportamenti privati – conferma Riva – è un modo facile che molti, anche amministratori e politici, hanno usato per trovarsi uno spazio nell’arena comunicativa:a fronte della gestione dell’emergenza accentrata a livello nazionale, localmente si è assistito, all’inizio, a un gioco al rialzo, quando si chiedevano regole più restrittive rispetto a quelle nazionali: per esempio, ci sono sindaci che hanno emanato ordinanze coprifuoco che hanno dovuto poi ritirare perché in contrasto con le norme emanate dal Governo e governatori che vietano le passeggiate con ordinanze giudicate incostituzionali da alcuni giuristi. Ora, il gioco è al ribasso, chiedendo di allentare le norme esistenti, anche al di là di quelli che prima sembravano irrinunciabili principi di precauzione ispirati da una sorta di ragione epidemiologica".

Così le dichiarazioni ufficiali seguono gli umori dell'opinione pubblica, di cui i social sono il termometro. Prima il sentimento più diffuso era la paura del virus, ora l'ago sta pendendo verso la paura del crollo dell'economia. E anche qui, comunque, la responsabilità sembra tutta sulle spalle del singolo: se ci comportiamo bene e mettiamo guanti e mascherina, possiamo riprendere a lavorare e scongiurare il pericolo, altrimenti no. Quelli che prima attentavano alla vita degli anziani scendendo a comprare il giornale, ora sono quelli che, con i loro presunti comportamenti scorretti, mettono in crisi l'economia dei prossimi 100 anni. Purtroppo la maggior parte degli utenti di Facebook non si è accorta che le certezze scientifiche sulle modalità di contagio sono ancora poche: "La retorica della vigilanza sull’individuo – chiarisce Riva – prevale, di nuovo, sulla messa in sicurezza degli ambienti di lavoro, sull’adeguatezza dei sistemi di trasporto, sul sostegno alle famiglie in relazione alla difficoltà di dover uscire di casa mentre ai figli resta proibito l’accesso a scuola".

Ed ecco pullulare gli sceriffi di quartiere, i delatori che denunciano comportamenti illeciti, reali o presunti, e i continui chiarimenti delle autorità, visto che le norme sono tutto fuorché chiare (un solo esempio dall'ordinanza di Zaia n. 40 del 13 aprile 2020: " nei giorni del 25 aprile e del 1° maggio 2020 il picnic all’aperto è autorizzato solo nella proprietà privata e limitatamente al nucleo famigliare residente nella proprietà stessa". Gli altri giorni non posso grigliare nel mio giardino privato? O posso scorrazzare libero e felice per tutto il territorio?).

È lecito chiedersi cosa succederà dopo. Saluteremo ancora i nostri vicini di casa? "Sarà interessante – conclude Riva – verificare come si concretizzerà l’effetto di questi atteggiamenti nelle relazioni che avremo con gli altri, nella fiducia o sfiducia che nutriremo verso gli altri: potrò stringere la mano a un nuovo collega, baciare un amico, cenare con i miei vicini di casa, avvicinarmi a uno sconosciuto? Quanto saremo diffidenti e condizionati dalla sfiducia verso gli altri, per paura che potranno infettarci o denunciarci?".

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