SCIENZA E RICERCA

Caffè arabica: il segreto è nel genoma

Ogni tazzina di caffè sembra avere un aroma completamente diverso dalle altre. Un ruolo fondamentale lo giocano sicuramente la tostatura e il metodo scelto per l’estrazione (espresso, moka o altro). Ma tra gli appassionati di caffè, soprattutto tra chi va alla ricerca dei cosiddetti specialty coffee, è diffusa la convinzione che sia importantissima anche la varietà da cui si ricavano i chicchi: un caffè dell’Etiopia e uno del Guatemala avranno caratteristiche aromatiche diverse, al punto che i professionisti sono in grado di distinguerli al solo assaggio. 

Eppure la variabilità genetica di Coffea arabica (la specie di caffè che da sola copre circa il 60% della produzione mondiale) è molto bassa, tra 10 e 100 volte inferiore alla variabilità genetica delle altre specie di piante coltivate. In Coffea arabica, cioè, si osserva una varietà morfologica (come le piante appaiono) non spiegabile con una analoga variabilità del proprio genoma, che invece è piuttosto simile. A fare luce su questo apparente paradosso è una recente ricerca coordinata dall’Istituto di Genomica Applicata dell’Università di Udine e da poco pubblicato su Nature Communications.

Una storia recente

Le principali specie di caffè coltivate sono due. Oltre a Coffea arabica, infatti, una grossa fetta del mercato - tra il 30% e il 40% - è coperta da Coffea canephora, una pianta che è più nota come “robusta”. Quest’ultima è considerata un po’ meno pregiata di arabica, che invece è prediletta dai produttori di caffè gourmet, mentre l’espresso che beviamo normalmente al bar è derivato da una miscela (blend) di arabica e robusta in proporzioni variabili.

Coffea arabica è una pianta che si è evoluta recentemente, molto probabilmente meno di 50 mila anni fa

Coffea arabica è una specie relativamente giovane. Secondo Michele Morgante, uno degli autori dello studio, si sarebbe evoluta non più di 50 mila anni fa. “Inoltre, il suo genoma è costituito da due ‘sottogenomi’ provenienti dalle due specie da cui deriva”. Una è C. canephora, l’altra è Coffea eugenioides, una specie poco coltivata. Le due specie canephora e eugenioides, però, sono diploidi, cioè presentano due copie per ogni cromosoma, mentre arabica è tetraploide, cioè ha quattro copie di ogni cromosoma.

“Si tratta di un meccanismo che è noto e che riguarda anche altre piante”, spiega Morgante. Ne è un esempio il frumento. Quello duro è triploide, cioè ha tre copie di ogni cromosoma presente nel suo corredo genetico. A un certo punto due specie triploidi si sono incrociate e hanno dato origine a una nuova pianta esaploide, il frumento tenero. Qualcosa di simile è successo con canephora  e eugenioides, due specie diploidi, che hanno dato origine a una specie tetraploide, arabica.

 

Una questione di anomalie

Il genoma di Coffea arabica, che il gruppo dell’Università di Udine ha risequenziato con le tecniche più avanzate, è composto quindi da quartetti di cromosomi, provenienti a due a due dalle specie progenitrici. “Confrontando le nostre sequenze con altre già note”, racconta Morgante, “abbiamo riscontrato anomalie cromosomiche: piante con cinque copie di uno stesso gene, oppure tre”. In certi casi, è la combinazione dei quartetti di cromosomi a variare. Se normalmente dovrebbero provenire due dal sottogenoma di canephora e due da quello di eugenides, si possono trovare sequenze con mix diversi: tre di canephora e uno da eugenioides, o viceversa.

 

Di norma queste anomalie cromosomiche non sono vantaggiose, ma “in piante poliploidi come arabica, vengono meglio tollerate”. Sarebbero questi mix cromosomici all’origine della varietà di caratteristiche delle piante di arabica. Una varietà che, vista la giovane origine della specie, non può essere il risultato delle mutazioni che è spesso il meccanismo alla base dell’evoluzione biologica. 

 

Prospettive

Conoscere queste caratteristiche del caffè arabica potrebbe essere un punto di partenza importante per produrre nuove varietà di caffè e salvaguardare l’arabica. Secondo la  Lista rossa dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN), Coffea arabica è classificata come “endangered”, cioè a rischio di estinzione, mentre al contrario C. robusta non corre questo pericolo. Ovviamente, la lista della IUCN fa riferimento alla specie selvatica, non a quella coltivata, ma le minacce anche per la produzione sono le stesse. Da una parte ci sono i cambiamenti climatici. Tutto il caffè, infatti, è prodotto all’interno della fascia tropicale, una delle regioni al mondo più soggette a variazioni di temperatura e regimi di pioggia causate dalla crisi climatica, al punto che la produzione di caffè in alcune zone comincia a essere minacciata. Lo studio condotto dall’Università di Udine apre nuove possibilità per la produzione di nuove varietà che siano più adatte al clima che cambia, garantendo la qualità del prodotto.

 

La seconda grave minaccia è la ruggine del caffè. Si tratta di un fungo a cui robusta è resistente, mentre colpisce seriamente arabica. Nell’isola di Timor è stato recentemente individuato un ibrido di arabica e canephora che è resistente alla ruggine. Morgante e i suoi colleghi, spinti anche dal forte interesse dei produttori di caffè, proveranno a capire se con le conoscenze acquisite sia possibile trasferire questa resistenza da robusta ad arabica grazie a uno studio approfondito dell’ibrido di Timor.

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