SCIENZA E RICERCA
I campioni dell'asteroide Bennu cominciano ad essere analizzati
Con l'atterraggio nel deserto dello Utah della capsula contenente i preziosissimi campioni prelevati dall'asteroide Bennu, il 24 settembre la missione Osiris-Rex della Nasa ha concluso con successo la sua prima delicatissima fase. La sonda che ha permesso di far arrivare sulla Terra il quantitativo di materiali più elevato che sia mai stato prelevato da un asteroide si prepara adesso verso un altro lungo viaggio, diretta questa volta verso l'asteroide Apophis con arrivo previsto nell'aprile del 2029, ma l'attenzione ora è tutta rivolta al contenuto racchiuso nella capsula appena rientrata sul nostro pianeta.
Il suo carico è particolarmente promettente visto che il peso complessivo dei frammenti di roccia e polveri prelevati nell'ottobre del 2020 sulla superficie di Bennu, grazie a una manovra touch-and-go durata una manciata di secondi, potrebbe arrivare a 250 grammi, la massa più grossa raccolta su un corpo celeste dopo le missioni Apollo sulla Luna.
Ad alimentare le aspettative sono anche le caratteristiche dell'asteroide da cui provengono i materiali. Bennu appartiene infatti alla categoria degli asteroidi più antichi e per questo può aiutarci a raggiungere una maggiore comprensione di quella che è stata l’evoluzione del Sistema solare, sin dalle fasi iniziali della sua formazione. Ma non solo: dallo studio delle polveri di Bennu potrebbero arrivare informazioni fondamentali per capire quali condizioni abbiano reso possibile lo sviluppo delle prime forme di vita sulla Terra.
Da questo punto di vista alcune tipologie di asteroidi (come Bennu, ma anche come Ryugu, protagonista della missione Hayabusa 2 dell'Agenzia spaziale giapponese) sono da qualche tempo degli osservati speciali perché si è scoperto che sono caratterizzati da materiali ricchi di carbonio e da minerali idratati. E' quindi possibile che siano stati proprio questi piccoli corpi celesti ad aver portato sul nostro pianeta i mattoni fondamentali per lo sviluppo della vita, in seguito a impatti che hanno arricchito la Terra di materia organica e acqua di origine extraterrestre.
Ma torniamo alla preziosa capsula che trasportava un campione dell'asteroide Bennu. Nell'arco di un'ora e mezza dall'atterraggio, la "cassaforte" è stata trasportata in elicottero in una speciale camera allestita presso il Dugway Proving Ground del Ministero della difesa degli Stati Uniti, dove è stata sottoposta a un flusso continuo di azoto, con l'obiettivo di evitare possibili contaminazioni con materiali terrestri. Successivamente i materiali hanno raggiunto il Johnson Space Center della Nasa a Houston dove gli scienziati designati, una volta smontato il contenitore, realizzeranno un inventario delle rocce e della polvere custoditi all'interno dell'ogiva, un passo necessario anche programmare la distribuzione dei pezzi di Bennu a laboratori di tutto il mondo.
Tra gli scienziati che per primi si apprestano ad analizzare da vicino i campioni dell'asteroide c'è Maurizio Pajola, ricercatore dell'Inaf che lavora all'Osservatorio astronomico di Padova. Pajola è arrivato a Houston il 29 settembre e in collegamento dal Johnson Space Center ha raccontato a Il Bo Live cosa è accaduto in queste primissime fasi di gestione dei campioni e cosa possiamo attenderci da questi straordinari materiali.
L'intervista completa a Maurizio Pajola, ricercatore Inaf - Osservatorio astronomico di Padova, attualmente allo Houston Space Center della Nasa. Servizio di Barbara Paknazar
L'arrivo dei campioni al Johnson Space Center e gli studi preliminari
La capsula con i campioni dell'asteroide Bennu è arrivata al Johnson Space Center il 25 settembre e una prima importante sorpresa è stata la quantità di polvere trovata all'esterno: superiore alle aspettative, anche se è solo un piccolo anticipo di quello che potrà essere visto una volta che verrà aperta la "testa" di Tagsam (Touch-and-Go Sample Acquisition Mechanism), ossia la scopa-aspiravolvere spaziale che ha effettuato il campionamento.
"Quando siamo andati a campionare la superficie di Bennu, Tagsam ha preso dei sassetti ma erano in quantità maggiore rispetto ai 2,2 cm che ci aspettavamo. Questo ha fatto sì che la testa non si sia chiusa bene e c’era talmente tanto materiale che alcuni granelli e polvere sono rimasti in prossimità dell'ogiva. In questa prima fase abbiamo potuto vedere i primi campioni che non sono all’interno di Tagsam ma nelle sue vicinanze. Ci siamo resi conto che questi sassetti presentano una grande varietà ed è già una cosa molto interessante", spiega Maurizio Pajola.
La gestione iniziale dei campioni provenienti dall'asteroide Bennu sta procedendo più lentamente del previsto ma, puntualizza anche la Nasa, per le migliori delle ragioni: l'abbondanza di materiali anche all'esterno della capsula principale. "Una volta che saranno state ripulite tutte queste strisciate di polvere si prenderà la testa vera e propria, che si pensa contenga tra 150 e 250 grammi di massa dei campioni, verrà girata e si cominceranno a fare delle foto, sia a colori che in bianco e nero", approfondisce Pajola.
La capsula verrà sottoposta nei prossimi giorni a una sorta di Tac, che aiuterà a capire come i frammenti sono distribuiti al suo interno. "Noi come Inaf, Osservatorio astronomico di Padova, abbiamo il compito di analizzare le immagini per identificare le taglie e dunque riferire al capo della missione come sono differenziati i campioni a seconda delle dimensioni. In questo compito sarò supportato da Filippo Tusberti ed è una fase importante perché la distribuzione in taglia è direttamente legata ai processi formativi di questi sassetti e dunque è una fonte preziosa di informazioni scientifiche. Inoltre c'è anche un risvolto pratico perché i responsabili della missione hanno bisogno di questo tipo di informazioni per decidere come distribuire i campioni", prosegue il ricercatore.
"Si farà un confronto allo scopo di verificare se questa distribuzione in taglia è simile o meno alla superficie dell’asteroide. Se non dovesse essere così potrebbe dipendere dal fatto che durante il campionamento abbiamo fatto un processo di selezione prendendo solo determinate dimensioni. Un'altra eventualità è che quando la capsula è penetrata in atmosfera sia stata sottoposta a forti vibrazioni e siccome il materiale di Bennu è friabile potrebbe essersi ridotto in polvere. Speriamo di no, perché ovviamente desideriamo avere anche dei veri e propri sassetti che erano sulla superficie. Il quantitativo in massa è comunque il maggiore mai portato sulla Terra dopo le missioni Apollo", osserva Maurizio Pajola.
Alla ricerca dei mattoni della vita
Analizzare i materiali recuperati sulla superficie di Bannu è come avere davanti una capsula del tempo perché è un corpo primitivo, che ha la stessa età del sistema solare. "In generale gli asteroidi sono considerati i mattoni primordiali che hanno formato i nuclei dei pianeti", spiega Pajola, precisando che questi corpi celesti possono essere di varie tipologie. Ci sono oggetti silicati come l’asteroide Dimorfos che è stato impattato dalla sonda DART nel corso del primo test di difesa planetaria compiuto nello spazio. Questo tipo di asteroidi è contraddistinto da rocce meno porose e più resistenti, in qualche modo più simili a quelle terrestri,
"E poi ci sono gli oggetti come Bennu che sono asteroidi carbonacei. E’ la famiglia più numerosa nel sistema solare e sono più primitivi perché non sono stati particolarmente scaldati dal sole. Sono dei materiali ricchi di composti organici e questi composti del carbonio si pensa siano un po’ i mattoni che, per una serie di ragioni non ancora chiare, hanno reso possibile lo sviluppo della vita. Campioni di Ryugu 5 grammi si è visto che hanno delle basi azotate. Ci sono una serie di molecole e di composti che poi troviamo all’interno del nostro corpo umano. Gli asteroidi non hanno portato la vita perché non possono avere sulla loro superficie nessuna forma di vita. Però possono aver portato il materiale costitutivo che ha fatto sì che la vita nascesse".
Il 70% dei campioni sarà conservato per le generazioni future
Le immagini del campione (le prime dopo le fotografie ottenute dalla camera SamCam mentre la sonda Osiris-Rex raggiungeva il sito di raccolta sulla superficie dell’asteroide Bennu) e i risultati iniziali delle analisi saranno resi noti in occasione di una conferenza stampa programmata dalla Nasa per l’11 ottobre prossimo. Nei mesi successivi i campioni saranno distribuiti a scienziati di tutto il mondo, ma solo il 30% del totale contenuto nella capsula sarà destinato alle ricerche a breve-medio termine: il 70% della massa del campione sarà infatti conservato affinché siano possibili nuovi studi quando in futuro l'umanità avrà a disposizione tecnologie più sofisticate rispetto a quelle attuali.
"Proprio come un paio di anni fa è stata aperta l’ultima valigetta dell’Apollo 17, questi campioni di Bennu saranno analizzati negli anni futuri in tutto il mondo", spiega Maurizio Pajola. E aggiunge: "Ci sono missioni spaziali, come quelle sulla superficie di Marte, che ci permettono di vedere delle immagini, reali e magnifiche, che restano però sempre un po’ distanti. In questo caso vedere che la nostra fatica e tutto il lavoro dedicato a questa missione si concretizza in materiali tangibili che potranno essere analizzati dalle generazioni future è un lascito pazzesco".
Our cup runneth over!
— NASA's Johnson Space Center (@NASA_Johnson) September 29, 2023
The OSIRIS-REX canister was opened on Monday, Sept. 25 at Johnson Space Center. The @Astromaterials curation team in Houston works as they found more material than expected in the outer canister, outside the collection head.
Learn more:… pic.twitter.com/1U3caecpFZ
Informazioni importanti anche per la difesa da eventuali future collisioni
Maurizio Pajola sottolinea inoltre che lo studio degli asteroidi è di fondamentale importanza anche sotto altri due profili, la difesa planetaria e il mining, ossia la possibilità di estrarre materie prime da altri corpi celesti.
Per quanto riguarda il primo punto se in futuro lo scenario di una possibile collisione dovesse diventare più concreto è necessario essere preparati ad evitarlo e a questo obiettivo ha lavorato di recente la sonda DART che si è scagliata verso il piccolo asteroide Dimorphos, colpendolo con successo esattamente un anno fa.
"Come Inaf-Osservatorio di Padova abbiamo lavorato anche su Dart. Ha impattato Dimofros che è un oggetto a base di silicati e ha una densità completamente diversa rispetto a Bennu. Abbiamo visto che si possono deviare asteroidi di questa tipologia quando hanno una certa dimensione. Nella realtà non abbiamo la minima idea di cosa possa succedere con gli asteroidi carbonacei come Bennu. Sono oggetti molto friabili e porosi. Con i campioni si possono fare delle analisi di compressione e capire come rispondono agli urti, ovviamente in scala", spiega Pajola, osservando quanto sia importante conoscere le proprietà meccaniche e fisiche della superficie degli asteroidi.
"Bennu essendo un Near-Earth Objects ha il vizio di passare in vicinanza della Terra. Gli asteroidi carbonacei sono i più numerosi, ma ci sono anche altre classi tassonomiche di cui non abbiamo la minima conoscenza delle proprietà chimiche, mineralogiche e fisiche. Ogni asteroide è un mondo a sé e bisogna davvero comprendere come le superfici rispondono agli urti".
E poi le possibili prospettive in termini di mining. "Miliardi e miliardi di questi oggetti si sono schiantati tra loro e hanno formato i pianeti. Quelli che vediamo sono un avanzo della formazione del sistema solare ma sono dotati anche di un risvolto molto interessante dal punto di vista del reperimento di risorse. Potremmo usare alcuni materiali come propellente o per la costituzione di sonde, con l'idea poi di andare anche più in là nel sistema solare", conclude il ricercatore dell'Osservatorio astronomico di Padova.