SOCIETÀ

“Cara senatrice Merlin”

L’articolo 1 recita: “È vietato l’esercizio di case di prostituzione nel territorio dello Stato e nei territori sottoposti all’amministrazione di autorità italiane”. Era il 1958, sono passati 60 anni. La legge n.75 Abolizione della regolamentazione della prostituzione e lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui, che determinava la chiusura delle case di tolleranza, segnò una svolta. Ancora oggi, quella legge viene ricordata con il nome di chi, per prima, la sottoscrisse: la senatrice Lina Merlin (nata a Pozzonovo, Padova, il 15 ottobre 1887), nota per questo impegno e per altre battaglie per il riconoscimento del ruolo delle donne e le pari opportunità, dall'inserimento delle parole “senza distinzione di sesso” nell'articolo 3 della Costituzione alle prime proposte di legge per impedire il licenziamento delle lavoratrici incinte o in procinto di sposarsi.

…E allora signora lottate, lottate perché questo triste mercato cessi, chiudete chiudete queste tombe dei vivi. Dio vi benedirà

Edizioni Gruppo Abele ha recentemente ripubblicato Cara senatrice Merlin, lettere dalle case chiuse, volume curato nel 1955 dalla stessa Merlin e da Carla Barberis, pseudonimo di Carla Voltolina (che diventerà poi moglie di Sandro Pertini). La nuova edizione aggiornata, che segue quella del 2006, propone un saggio di Mirta Da Pra Pocchiesa, coordinatrice del Progetto prostituzione e tratta del Gruppo Abele, che immagina a sua volta di rivolgere una lunga lettera alla senatrice evidenziando i punti di forza della legge n.75 (dall'eliminazione della schedatura all'introduzione della corresponsabilità e della corretta informazione in tema di salute) e lanciando nuove sfide per affrontare un presente fatto di prostituzione visibile, in strada, e invisibile, negli appartamenti o nei privé, di violenza e pornografia “usata – scrive Da Pra Pocchiesa – come surrogato dell’educazione sessuale e che vede tra gli attori, in taluni casi, anche minorenni”. Se non è possibile pensare di eliminare del tutto la prostituzione, è possibile agire per ridurla drasticamente, investendo nella protezione sociale, nella promozione delle pari opportunità e nella lotta allo sfruttamento: “Dobbiamo lavorare sull'educazione ai rapporti per fare in modo che ci sia sempre meno domanda; dobbiamo lavorare sulla tutela dei diritti civili e sul giudizio nei confronti di chi si prostituisce restituendo rispetto, diritti, dignità".

Onorevole,

sono una di “quelle” e seguo con interesse quanto Lei vuol fare. Le dirò soltanto perché a 25 anni faccio questa vita. Ho fatto le scuole medie e poi mi sono impiegata. Il mio principale quando ha visto che sull’atto di nascita risultavo, senza mia colpa, figlia di N.N., ha subito preteso di approfittare di me. Il resto va da sé. Ora ritornando alla vita normale, come potrò rifarmi se dappertutto, anche all’affittacamere, dovrò mostrare i miei dati più privati? Perché non cerca di rimediare anche a questo? Perché tutti devono sapere i nostri fatti personali? La ossequio.

(senza firma)

La legge Merlin eliminò l’organizzazione della prostituzione da parte dello Stato, liberando chi si prostituiva da un marchio fatto di schedature e stigmatizzazione sociale senza vie di uscita. Il 20 febbraio 1958, al momento dell'approvazione della legge, in Italia si contavano 560 case di tolleranza, con la loro abolizione venne introdotta una nuova disciplina della prostituzione. Il libro raccoglie i racconti di tante quotidianità che anticipano la svolta, storie di vita vera condivise con la senatrice, confidente a cui tutte si rivolgono, senza filtri, attraverso una scrittura quasi sempre imperfetta ma capace di rivelare i sentimenti più autentici di disperazione e desiderio di riscatto sociale. C'è chi chiede di trovare una soluzione al più presto, di procedere con determinazione alla chiusura delle "case" ("Sia Ella perseverante in questa umana battaglia, Iddio in primo e noi la benediremo") e chi, invece, si dice preoccupata per le conseguenze di questa rivoluzione ("Chiudete, ma ci date un lavoro sicuro? Ci mettete in condizione di poter vivere onestamente?"). Sono frammenti di esistenze difficili, confessioni in forma di lettera, tra paure e speranze, da rileggere oggi alla luce degli obiettivi raggiunti e delle nuove sfide da affrontare.

M., 15 luglio 1949

Signora Senatrice,

il suo progetto di chiusura delle case di tolleranza ha trovato molta favorevole accoglienza negli ambienti interessati: vale a dire in “quelle case” delle quali purtroppo sono ospite anch'io. Finalmente una speranza è entrata nei nostri cuori e il nostro tormento di ogni giorno è sollevato dal pensiero che, presto o tardi (magari più presto di quello che pensiamo), saremo liberate e potremo tornare persone civili, con diritti pari a tutte le altre. È facile giudicare quelle donne che fanno la miserabile esistenza: le stesse cose le pensavo anch'io quando ero una ragazzina e facevo le magistrali nella mia città. Bisogna provare però a restare sole per poter dire “ha fatto bene” oppure “ha fatto male”. Si dice tante volte in giro, io l’ho sentito spesso, che non siamo obbligate a entrare nella vita. Non è vero: siamo peggio che obbligate. Tante volte sono dei luridi sfruttatori che costringono a darsi al prossimo, tante volte è la fame, e altre volte è il bisogno di soldi per poter mantenere la famiglia, o i figli, o il marito malato, eccetera. Ma sempre sono gli altri a obbligarci a entrare in questi inferni, a ricevere 30-35 uomini al giorno, i vecchi sporcaccioni e i giovani infoiati, e quelli ubriachi, e quelli che gridano, e quelli che vogliono sentir parlare. Quasi tutta gente, che paga per averci, come bestie al mercato. Perché, e per quanto dovremo sopportare questa vergogna? Mi perdoni questo sfogo, Signora Senatrice, ma lei meglio di tutti ha dimostrato dì comprendere le nostre sofferenze. Deve sapere che dormiamo negli stessi letti dove ogni giorno riceviamo i clienti e ogni notte è una tortura, quasi tutte abbiamo incubi e non possiamo dormire per ore e ore. E quando mi sveglio è peggio perché rivedo lo stesso letto, gli stessi mobili, ecc. ecc. I padroni sono degli sporchi individui, i mezzani sono peggio di loro, e alcune colleghe sono delle vere e proprie pervertite che vanno dietro con le loro voglie alle altre ragazze. E anche da queste bisogna difendersi. Non ne posso più, è mille volte meglio far la fame piuttosto che rimanere ancora in questi posti. Purtroppo per molte non è facile liberarsi da quegli sfruttatori che ci hanno legate a questo mestiere. Una volta prese si rimane incatenate finché si ha forza e salute, poi si è buttate via come stracci. Ma lei deve spezzare questa catena. Vogliamo tornare a essere donne come le altre, e che ci assicurino un lavoro onesto e non una carità. Faccia sapere quando press’a poco saranno chiuse tutte le "case". Io e le mie compagne gliene saremo grate per sempre.

(segue il nome)

e quattro ospiti della casa di via (…)

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