SOCIETÀ

A casa senza pallone

Ormai #stiamoacasa è diventato un ritornello che se fosse estate farebbe furore in tutte le radio nazionali, ma in versione latino-americana. Dopo una prima fase in cui le persone, nonostante l'allarme, hanno continuato a folleggiare tra aperitivi e piste da sci, il messaggio, chiarito dai divieti imposti dal decreto e sancito definitivamente dalle chiusure straordinarie, è arrivato a tutti.
La maggior parte dei cittadini italiani ha capito che bisogna uscire solo per esigenze lavorative, e in altri casi di estrema necessità. Sorvoliamo sul concetto molto elastico di "estrema necessità", visto che alcuni ritengono di fondamentale importanza continuare la loro vita sociale alle poste o in banca, e limitiamoci a dire che Maslow si sta rivoltando nella tomba perché alcuni non si sono ancora accorti che nella sua piramide dei bisogni la salute è prioritaria rispetto all'appartenenza e quindi alla socialità.

Tutto sommato, però, non ci stiamo comportando malissimo, e infatti la curva dei contagi non è esponenziale come si era temuto in un primo momento.

È vero, c'è ancora molto da fare ed è necessario che tutti continuino a seguire le indicazioni delle autorità, tenendo presente che se si porta il cane a passeggiare sei volte al giorno in corrispondenza dei propri attacchi di claustrofobia o di insofferenza verso il partner, la bestiola potrebbe cominciare a soffrire di stitichezza per protesta. C'è da dire che stare a casa è dura: dopo aver finito le pulizie di fondo e averle ripetute perché abbiamo scoperto che l'igiene è importante, dopo aver cucinato manicaretti per soddisfare il fabbisogno calorico di una mandria di buoi, dopo aver fornito ai propri figli un livello di istruzione tale per cui quando usciranno dalla quarantena si potranno iscrivere direttamente all'università, si potrebbe avvertire una sensazione di vuoto. Gli ingenui potrebbero provare a colmarla con interminabili sessioni di divano e Netflix, con i videogiochi che il malcapitato corriere ha appena consegnato cercando di non toccare il campanello, persino con letture edificanti: tutto invano. Quel disagio atavico ad un certo punto mette radici, e qualsiasi attività indoor diventa vana: forse ancora non te ne accorgi, ma sei in piena crisi di astinenza da pallone.

 

Quello dello sport è uno dei business più colpiti dal Coronavirus. Fare sport in isolamento è praticamente impossibile: a parte l'esercizio indoor, si può a malapena andare a correre da soli, e soltanto se i nostri vicini sono accomodanti: alcuni si sono dotati di cerbottane e piselli crudi per punire gli untori maniaci del jogging, e corre voce che, finito tutto questo, la cerbottana diverrà sport olimpico. E, a proposito di Olimpiadi, la cerimonia di accensione della fiaccola olimpica si è svolta a porte chiuse e ancora non si sa nulla di Tokyo 2020, ma tutti speriamo che le l'evento possa svolgersi regolarmente.

Nel frattempo, però, tutto il resto del mondo dello sport si è fermato. In effetti, tutti gli sport di squadra sembrano una definizione da manuale di "assembramento": negli spogliatoi virus e batteri fanno party già in situazioni normali, figuriamoci durante una pandemia; sugli spalti la distanza tra le persone è, quando va bene, di pochi centimetri; gli spazi comuni, tra corriere, hotel e mense sono un lunapark per coronavirus e non solo. Insomma, un passo indietro era d'obbligo, così in Italia è stato fermato tutto, in America quasi (in particolare L'NBA è stata bloccata per prima a causa di un giocatore positivo), sono stati rinviati a data da destinarsi alcuni incontri di tennis internazionale allo stesso destino sono andate incontro le  maratone di Parigi e Barcellona.

Ma soprattutto è stato messo in pausa, forse tardivamente, il campionato di serie A. E così, a cascata, è saltata la birra del sabato sera con gli amici (che si poteva continuare a fare su Skype), la schedina di rito, gli sfottò del lunedì (ma tanto non si va più in ufficio) e anche il campionato di Fantacalcio. Per fortuna che c'è la quarantena, perché in ogni Lega c'è chi vuole annullare tutto, di solito gli ultimi in classifica, e chi vuole assegnare comunque il montepremi: la situazione si fa tesa, volano parole grosse su WhatsApp  e, complice il senso di claustrofobia, amicizie epocali si sfaldano.
Fantacalcio a parte, si sono persi anche i ritrovi di famiglia sul divano davanti a Sky o Dazn: visto che per vedere tutte le partite della propria squadra servivano almeno due abbonamenti alla pay-tv, interi nuclei familiari si erano riuniti in nome della fede sportiva alimentata da appuntamenti fissi. Ora invece alcuni genitori arrivano a trovarsi privi di argomenti di conversazione con la propria prole. Per i puristi, il divano stesso ha perso il suo senso, e ora stanno a letto o girano per la casa come inconsolabili zombie, che tanto un'apocalisse vale l'altra.

Quando poi è arrivata la notizia che gli Europei del 2020 sono stati rimandati al 2021, alcuni cuori colorati si sono spezzati: forse si può sopravvivere al Covid-19, ma nessuno ha ancora studiato gli effetti della prolungata astinenza da calcio in tv.

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