CULTURA

Il caso “Argentina, 1985”, scippato al grande schermo

È difficile immaginare un incipit più riuscito. Argentina, 1985 di Santiago Mitre descrive il ritorno alla democrazia e il primo processo alla giunta militare nel paese sudamericano. Bastano dieci minuti per farci planare all’interno della storia: intuiamo già tutto sul protagonista, la sua famiglia, il contesto storico, i sentimenti collettivi, la temperie politica. Dieci minuti condotti con ritmo, garbo e ironia, intrecciando dialoghi magistrali a una fotografia che ci proietta, dalla prima sequenza, in un’atmosfera in cui il clima è lo specchio dell’anima del popolo. È una Buenos Aires cupa, notturna, umida di pioggia leggera, malinconica ma anche velata di inquietudine e lutto, in cui si inizia a respirare la libertà, a piangere gli scomparsi, ma la paura è ancora intatta, incombente. Il primo blocco narrativo, che segue Julio Strassera in famiglia e in ufficio, si chiude con il procuratore che, a casa, segue sdegnato il ministro dell’Interno mentre, in tv, cerca di attenuare le responsabilità dei militari. Strassera esce nel buio della terrazza, guarda dal balcone la figlia che, in strada, si incontra con il fidanzato (che teme legato ai servizi segreti) e osserva il palazzo di fronte, dove i riquadri illuminati delle finestre rivelano, l’uno dopo l’altro, i salotti dei vicini, tutti incollati alla tv ad ascoltare testimonianze dei familiari dei desaparecidos. Strassera, turbato, rientra in casa.

Per chi ama il cinema, vedere a casa l’inizio di Argentina, 1985 è uno strazio. Ammettiamo pure di poter trovare sufficiente silenzio e concentrazione (sempre che lo si desideri) per essere risucchiati nell’oscurità fascinosamente depressiva, ma con squarci di humour, delle prime sequenze; per quanto siamo dotati di apparecchi supertecnologici, la nerissima Buenos Aires del procuratore Strassera verrà martoriata sul nostro schermo da riflessi, barbagli, scintillii generati dalla minima fonte luminosa interna o esterna; e se anche riuscissimo a ricreare un assoluto “buio in sala”, ad essere massacrata sarà comunque la fotografia di Javier Juliá, che all’interno di ambienti foschi restituisce stille di luce fioca colme di significato (gli interni della casa di Strassera, con i dialoghi tesi tra i familiari; l’ufficio del procuratore, dove covano insidia e timore; soprattutto le finestre dei vicini, che mostrano le famiglie attonite nell’apprendere gli orrori della dittatura): chiaroscuri, o meglio sprazzi di chiari nella tenebra, che in tv o al pc risultano totalmente illeggibili e indefiniti.

Il bello è che Argentina, 1985 non è solo un film eccellente che tratta di un tema storico-politico cruciale: è, su più piani, la metafora della grandezza del cinema, e del cinema in sala. Sul piano estetico, per le ragioni raccontate prima: ma anche per la sua storia industriale. Opera su un’epoca dolorosissima e, in Argentina, ancora bruciante, viene coprodotto da Amazon, che ne cura la distribuzione. Per pianificarne lo sfruttamento, il colosso di Seattle usa la logica standard delle piattaforme. Dopo l’anteprima alla Mostra del Cinema di Venezia, il film esce nelle sale a partire dal 29 settembre in pochissimi paesi (Argentina, Spagna, Messico, qualche Stato in America Latina) per un periodo in esclusiva di sole tre settimane: a partire dal 21 ottobre è disponibile su Amazon Prime, per una copertura complessiva di 240 nazioni e territori nel mondo. Di fronte all’aut aut, le grandi catene di sale cinematografiche argentine si ribellano, e boicottano il film. A programmare Argentina, 1985 sono per la maggioranza sale indipendenti, che sfruttano la rinuncia dei big del settore e scommettono sul film-evento, capace di mobilitare il pubblico con l’enorme incognita dell’uscita in streaming di lì a pochi giorni. Risultato? Il film di Mitre viene visto nei cinema argentini, nelle tre settimane pre-streaming, da oltre 800mila persone. Un successo che mantiene un’onda lunga anche dopo l’uscita su Prime, portando la pellicola a quasi un milione 100mila spettatori alla fine del 2022, nono incasso dell’anno in Argentina, unico non americano.

Le speranze di vedere al cinema Argentina, 1985 si fondano adesso sui grandi premi internazionali. Ignorato da Venezia, il film brilla a Hollywood: ha vinto il Golden Globe per il miglior film straniero, mentre per gli Oscar nella stessa categoria è stato selezionato tra i 15 finalisti che si contenderanno le cinque nomination, che saranno annunciate il 24 gennaio.

Cosa rende Argentina, 1985 così riuscito? Tecnicamente è un “legal drama”, che si svolge in larghissima prevalenza in interni e si impernia sulla preparazione e lo svolgimento del processo ai vertici militari della dittatura. Rispetto al canone, non disdegna tinte noir ed elementi giallo-rosa nell’acre umorismo del protagonista. Mitre non si avvale di flashback sul periodo dei desaparecidos. La sua narrazione è tutta contemporanea al processo, e non sfrutta quindi la facile leva emozionale con sequenze di forte impatto (rapimenti, torture), riservando i momenti più drammatici alla pura testimonianza delle vittime o dei loro parenti: un racconto quindi solo verbale, eppure di grande forza etica ed emotiva. Il motore del film è quindi nel binomio attori-dialoghi: un cast ineccepibile, guidato da Ricardo Darín, conferisce credibilità a personaggi ed ambienti. La sceneggiatura ricrea la vicenda dell’antieroe Strassera, spirito sinceramente democratico ma indole fin troppo tranquilla, costretto dagli eventi a diventare l’inquirente più famoso della nazione, e a imbastire il processo del secolo con un gruppo improvvisato di giovani collaboratori, senza alcun aiuto da parte di istituzioni ancora conniventi, o nel migliore dei casi prudenti, verso i potenti del giorno prima. E i dialoghi serrati, scritti dallo stesso Mitre e da Mariano Llinás, plasmano protagonisti umanissimi, che passano da una battuta da trivio allo sdegno morale, dalla tiepida acquiescenza all’abnegazione, sospinti da un entusiasmo crescente che contagia, poco a poco, tutta la nazione.

L’assenza di Argentina, 1985 dalle sale induce a un’ulteriore riflessione. Come spesso capita per i film (non per le serie) che approdano allo streaming senza passare per i cinema, dell’opera si è parlato un po’ quando è uscita in anteprima (in questo caso a Venezia), visibile ai pochi appassionati e addetti ai lavori del festival. Poi, al debutto sulla piattaforma, la sua visibilità è rimasta annegata nell’oceano di offerta audiovisiva disponibile ogni settimana: e in questo modo, oltre che appiattirne i meriti, se ne è anestetizzata la valenza culturale. Quando ancora esistevano le recensioni, e il cinema aveva sulla stampa spazi superiori al francobollo, un’opera che riportava a un lungo periodo di diritti negati, violenze di Stato, imbarazzi internazionali sarebbe stata accompagnata da dossier di rievocazione, interviste, testimonianze: per ricordarci che il cinema è anche ricco di esempi straordinari di impegno civile e democratico. Adesso, incuneato tra i Ferragnez e una sequela di blockbuster, Argentina, 1985 verrà associato, al massimo, a un refuso sulla data dei mondiali di calcio.

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