CULTURA

Cento anni di Disney: abbiamo ancora bisogno dei sogni e dell’immaginazione

Da poco si è conclusa una pandemia globale, e anche se la situazione politica in tutto il mondo rimane instabile ci sono venti di ottimismo che soffiano per tutti coloro che vogliono cominciare da zero, perché il progresso tecnologico sta correndo a pieno ritmo, e sembra che basti impegnarsi per tenere il passo per uscirne vittoriosi. No, non stiamo parlando del momento attuale, ma degli anni Venti del secolo scorso, un periodo che, soprattutto in America, sembrava in grado di mantenere le mirabolanti promesse del sogno americano.

Tra quelli che erano pronti a raccogliere la sfida, c’erano due fratelli, Walt e Roy, che il 16 ottobre 1923 avevano fondato il Disney Brothers Cartoon Studio, il più antico studio di animazione ancora in attività (con il nome di Walt Disney Animation Studios). Dopo un breve rodaggio a base di cortometraggi, divisi nelle serie di Topolino e Sinfonie allegre, Walt Disney cominciò a pensare in grande. Nonostante lo scetticismo del fratello Roy e di tutta Hollywood, decise di produrre Biancaneve e i sette nani.

È molto divertente fare l'impossibile... Walt Disney

Costò quasi un milione e mezzo di dollari, ma lui ci credeva al punto di ipotecare la sua casa, lasciando come garanzia una polizza sulla vita (all’epoca avevano chiamato “Follia Disney” quella che tutti scambiavano per una fissazione. Alcuni ritenevano addirittura che un cartone di 90 minuti avrebbe causato problemi agli occhi, probabilmente nessun altro sarebbe stato disposto a provarci). Durante la sua prima uscita, il film incassò oltre otto milioni di dollari e, ad oggi, calcolando l’inflazione, risulta essere il film d'animazione che ha incassato di più in tutta la storia del cinema. Sembrava che il successo fosse ormai consolidato, sia a livello economico che artistico, ma poi arrivò la guerra.

Biancaneve era stato esportato in tutto il mondo, ma ora non era più possibile farlo con le altre pellicole. Pinocchio, grazie al quale Walt aveva cercato di esorcizzare la perdita della madre durante una fuga di gas e il complicato rapporto con il padre, non ebbe il successo di Biancaneve, come non lo ebbero Fantasia e Bambi. Fare cinema in un paese in guerra non era facile: nessuno voleva finanziarlo, c’erano cose più serie a cui pensare. E, a dirla tutta, la gente non aveva nemmeno troppa voglia di andare al cinema. Il che, se ci si pensa bene, è abbastanza controintuitivo.
Di fronte alle disgrazie che mettono alla prova le persone durante una guerra del genere, con tanto di crisi economica e morale sotto terra, ci sono due reazioni possibili. Quella di farsi trascinare a fondo, pensando costantemente alla situazione presente, e, viceversa, cercare di evadere dai propri stessi pensieri, grazie all’immaginazione.

La nostra cultura ci porta a stigmatizzare questo secondo comportamento: fuggire è disonorevole, va a tratteggiare una personalità debole, i problemi vanno affrontati e scappare non è la soluzione. Il che, intendiamoci, può anche essere vero, ma ci si dimentica troppo spesso di venire a patti con il fatto che spesso la vita ci mette di fronte situazioni che non prevedono una soluzione, o quantomeno non una soluzione immediata. È davvero così deteriore, nell’attesa, mettersi davanti a uno schermo e solidarizzare con un cerbiatto che ha appena perso la mamma? O farsi trasportare in un mondo dove nessuno cresce mai? In ogni epoca, l’immaginazione e i sogni da cui scaturisce hanno aiutato ad astrarsi da una realtà dai contorni inaccettabili, una realtà che in quel momento non si poteva cambiare in nessun modo. I colori di un cartone animato riaccendono il nostro mondo durante i tempi cupi e ci regalano la speranza che le cose possano migliorare. E, in questo senso, una storia o una favola possono cambiare il mondo, perché cambiano il nostro modo di reagire alle difficoltà, fanno sì che il cambiamento positivo possa trovarci pronti.

Eppure il ruolo dell’immaginazione è spesso sottovalutato, e fa riflettere ciò che ha detto J.K. Rowling, l’autrice di Harry Potter, in Buona vita a tutti, tratto dal suo discorso per la cerimonia di laurea di Harvard: «Nella sua qualità forse più trasformativa e liberatoria, l’immaginazione è la forza che ci consente di provare empatia per altri esseri umani di cui non abbiamo mai condiviso le esperienze». Si riferiva alle raccolte fondi che seguiva per Amnesty International: l’amore disinteressato verso gli sconosciuti, secondo lei, derivava proprio dall’immaginazione, che viene nutrita dai sogni fin da quando siamo bambini. In questo senso, l’immaginazione può davvero rendere il mondo un posto migliore, ed è il motivo per cui le persone come Walt Disney sono così importanti.

Non vogliamo nasconderci dietro all’idealismo. Sappiamo tutti che Walt Disney è un personaggio controverso, che non aveva certo un rapporto idilliaco con i dipendenti della sua azienda e che casualmente trovava dei validi motivi per licenziare proprio quelli che facevano sciopero per ottenere più diritti. Era un fervente ammiratore di Leni Riefenstahl, regista della propaganda hitleriana, e non era esattamente un estimatore degli ebrei (anche se a sua parziale discolpa c’è da dire che la sensibilità di allora era molto diversa da quella attuale: alcune sue esternazioni poco inclusive, anche nei confronti delle donne, erano ampiamente condivise dai vertici di ogni ambiente aziendale americano).

Amo Topolino più di qualsiasi donna abbia mai conosciuto Walt Disney

Probabilmente ci sono due Walt Disney: il visionario, quello che ha dato vita a mondi che solo lui poteva sognare, quello che ha reso possibile l’impossibile. E poi il cinico uomo d’affari, che dopo i vari fallimenti (ce ne sono stati davvero tanti) doveva aver capito che non bastavano i sogni per fare grandi cose, perché con i soli sogni rischi di trovarti così povero da poterti permettere di vivere soltanto in uno sgabuzzino senza bagno, in compagnia di un topo (che però era stato proprio quello che gli avrebbe dato l’idea per Topolino).
Alla fine l’unica domanda che di dovremmo fare dovrebbe essere se, senza di lui, il mondo sarebbe stato un posto migliore. E forse possiamo anche darci una risposta, viste le derive umane e politiche attuali e la tendenza che hanno molte persone di esiliare i propri sogni. L’universo di Disney ha permesso a molte generazioni di immaginare qualcosa che ancora non c’era, un mondo migliore per il quale valeva la pena di impegnarsi. Oggi più che mai abbiamo bisogno di persone così, qualcuno che ci dica che se puoi sognarlo puoi farlo (non l’ha detto Disney ma Tom Fitzgerald, un progettista che lavorava per lui, ma riassume bene quello che ci manca in questi anni grigi), qualcuno che restituisca alla fantasia il posto importante che merita, qualcuno che ci indichi la strada per scappare da quello che non possiamo cambiare.

Abbiamo ancora bisogno dei sogni e dell’immaginazione, perché ci permetteranno di lottare per la nostra Biancaneve personale, qualsiasi cosa sia: migliorare la situazione ambientale, svegliare i governi in materia di riscaldamento globale o anche, più semplicemente, diventare la cuoca più brava della città. Qualsiasi sia il nostro obiettivo, per impegnarci a fondo fallimento dopo fallimento come ha fatto Disney, dobbiamo credere che quello che sembra impossibile non lo sia veramente. E per farlo dobbiamo prima immaginarlo, anche se molti rideranno di noi.

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