SOCIETÀ

Le centralità per il neo-rinascimento urbano

Un effetto del Covid e delle misure prese per contrastarlo è la difficoltà di spostamento, quindi aumento del costo di trasporto e della distanza percepita. L’organizzazione urbana risultante dalla localizzazione talvolta casuale di attività, da una parte, e dall’altra da una regolazione urbanistica basata sulla segregazione per funzioni, si fonda sul basso costo di trasporto che, a parte gli ingorghi delle ore di punta, rende possibile utilizzare il supermercato in periferia, la palestra da un’altra parte, il posto di lavoro chissà dove, e le aree verdi in collina. 

Si ritorna in pratica alla città di quando si andava prevalentemente a piedi, o con l’omnibus, il mezzo di trasporto pubblico prima trainato da cavalli, poi tram ecc. Se la distanza che uno può percorrere ogni giorno è di circa un’ora (andata e ritorno), è chiaro che aumentando la velocità si allarga la dimensione della città. La città medievale era di dimensione limitata perché andando a piedi in un’ora di fanno 4-5 chilometri che quindi poteva essere il diametro massimo. Ma doveva anche avere approvvigionamento di generi alimentari al suo interno e una campagna a portata di mano, fuori le mura. 

La pandemia ci porta a riscoprire la città fatta di centri facilmente raggiungibili nei quali ci si può approvvigionare di merci, ma anche centri nei quali si può andare a lavorare. La visione della città dei 15 minuti distorce tutto questo, facendo vedere un’abitazione dalla quale tutto è raggiungibile. È una semplificazione che funziona sul piano elettorale perché ogni famiglia pensa che il politico si rivolga a lei per dire che ha capito i suoi bisogni. Ognuno capisce che il politico l’ha capito, ma non capisce che non si può organizzare una città in questo modo, dato che esistono delle economie di scala e un supermercato non funziona se lo si divide in dieci, per spezzettarlo e rendere il servizio più accessibile al consumatore. 

Una città che funziona è fatta di centri più o meno grandi. Non è nulla di nuovo: quando si studiavano le gerarchie di Christaller applicate ai centri urbani, molte analogie si sono trovate tra la distribuzione dei centri a livello territoriale e a livello urbano. Ma le teorie urbanistiche, a partire dalla Carta di Atene del 1933, avevano pensato la città come un corpo umano: fatto di funzioni localizzate da qualche parte, che, in qualche modo connesse dalla rete di circolazione, portavano al funzionamento complessivo. L’abitazione, segregata, inoltre faceva la parte del leone, sia perché in media si richiedono più metri quadri pro capite per abitare che per lavorare, sia perché l’abitare ha sempre rappresentato una sorta di compensazione rispetto alle costrizioni della fabbrica. 

La città fatta di centri, non certo tutti uguali, ma distribuiti secondo la legge di potenza, come George Kingsley Zipf ci ha abituato a pensare, è sempre stata messa in sottofondo. C’era stato l’ottavo CIAM del 1951 su “The Heart of the City”, ma non mi pare che l’idea abbia avuto molto seguito. Pensare la città fatta di centri tutti simili, ma diversi, distribuiti a potenza per dimensione, ci riporta al concetto di città frattale, e non più alla città come macchina fatta di funzioni. Ci riporta alla necessità di ripensare ai luoghi di lavoro che sono il cuore di questi centri, dato che ogni servizio significa attività. 

Per ora prevalgono le idee dell’abitazione che si fa luogo di lavoro, con il lavoro remoto. Certo ci sarà pure questo problema, ma è un problema di pochi. Di chi può lavorare da remoto, e di chi ha soldi per acquistare una casa grande. D’altra parte, le case grandi in parte ci sono già, dato che la dimensione media del nucleo familiare si avvicina all’unità. Inoltre la necessità di raggrupparsi fisicamente per lavorare rimarrà e ritornerà quando i vincoli della pandemia saranno risolti. Credo piuttosto che la pandemia ci lasci la necessità di ripensare alla città fatta di centralità, non come i villaggi della mappa di Abercombrie (il potato plan), ma come un sistema autosimilare, cioè uguale a se stesso a qualunque scala lo si osservi. 

Non è solo un problema di organizzazione spaziale, poiché coinvolge l’architettura della città. Le centralità divengono il terreno fertile per realizzare i monumenti che sono l’essenza della città. Per questo, e in Italia siamo fortunati da questo punto di vista, i centri storici, dove i monumenti sono al solito concentrati, vanno presi a modello per imitare la loro struttura nelle altre parti della città. Chissà che dal covid si possa immaginare un neo-rinascimento urbano. 

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