CULTURA

Che cosa si prova a essere un elefante?

Lo scorso giugno si è aggiudicato il premio letterario Merck dedicato a saggi o romanzi che sviluppano un intreccio tra letteratura e scienza: Al di là delle parole – che cosa provano e sentono gli animali (traduzione di Isabella C. Blum, Adelphi, Animalia, 2018, 2ª ediz., pp. 687) di Carl Safina (Beyond words – what animals think and feel, 2015) è stato tradotto quest'anno in italiano. Il libro inaugura una collana di Adelphi dedicata agli animali e alla loro intelligenza. L'autore ha rilasciato a Il Bo Live un'intervista video.

Carl Safina vive a Long Island, New York, è ecologo di formazione (dottorato in ecologia alla Rutgers University, in New Jersey) ed è stato sempre molto attivo nel campo della conservazione, quella degli oceani in particolare. È titolare della cattedra di nature and humanity alla Stony Brook University ed è presidente fondatore dell'organizzazione no profit The Safina Center.

È un divulgatore noto e apprezzato in tutto il mondo, i suoi scritti appaiono su riviste come The New York Times e online su National Geographic News and Views, Huffington Post, CNN.com. Nella serie tv “Saving the Ocean with Carl Safina” racconta le conseguenze dell'inquinamento e della pesca intensiva . È autore di diversi libri in lingua inglese, mentre in italiano è stato tradotto Un mare in fiamme, il più grande disastro ecologico di tutti i tempi, 2011.

Intervista a Carl Safina, autore di "Al di là delle parole - che cosa provano e sentono gli animali"

Al di là delle parole è un viaggio all'interno del comportamento e della mente animale. Come tutti i viaggi parte da un posto che viene lasciato alle spalle e quel posto è l'uomo come centro del mondo e misura di tutte le cose (come avrebbe detto Protagora). Il lettore è invitato a dimenticarsi per un istante di cosa significhi essere umani e a misurarsi con l'essere altro-da-umani. Come sentono gli animali ciò che sentono? In che modo sono coscienti? Che genere di emozioni provano? Queste domande chiaramente ci portano ad addentrarci in una selva ignota, irta e piena di insidie.

Nel 1974 il filosofo Thomas Nagel pubblicava sulla Philosophical Review uno degli articoli più citati di sempre, What is it like to be a bat? (Come ci si sente a essere un pipistrello?), in cui si chiedeva se fosse possibile comprendere come sente un pipistrello, comprendere l'intelligenza di un pipistrello, capire se e come un pipistrello è un essere cosciente. Thomas Nagel argomentava in favore dell'inaccessibilità dell'esperienza soggettiva e della sua conseguente irriducibilità a qualsiasi forma di comprensione oggettiva. Il filosofo Daniel Dennett ha invece contrastato la posizione di Nagel: studiando il sistema percettivo del pipistrello (basato sul sonar o ecolocazione) possiamo descrivere e comprendere, almeno in parte, come sente un pipistrello.

Carl Safina però è un ecologo che lavora sul campo e non è molto paziente di fronte a quelli che giudica sofismi teorici: “agli animali non importa nulla delle classificazioni accademiche e dei protocolli sperimentali” (p.364). Si dimostra spesso insofferente di fronte a questo genere di discussioni accademiche: “La «teoria della mente» – un’espressione così goffa!”. E ancora: “Avevo cominciato da qualche minuto a esaminare la letteratura accademica, cercando la «teoria della mente», quando m’imbattei in un tipico studio condotto di recente. (…) Probabilmente sarei in grado di comprendere quello studio – è che proprio non mi va di farlo” (p.400).

All'interno della comunità di scienziati che studiano la cognizione animale uno dei dibattiti più accesi è quello sulla “teoria della mente”, ovvero quella capacità cognitiva di attribuire stati mentali (desideri, intenzioni, conoscenze, credenze) a se stessi o ad altri individui. Io so che tu sai che dietro quell'albero c'è del cibo, quindi mi comporto di conseguenza. Gli esseri umani sono molto bravi a fare questo genere di inferenze e scienziati come Michael Tomasello ritengono che proprio l'evoluzione di questa capacità cognitiva sia alla base del successo degli esseri umani come specie, delle loro capacità comunicative e della complessità della loro cultura. Una delle domande che da decenni tiene occupati chi si occupa di cognizione comparata è capire se anche gli animali abbiano questa capacità e se sì in che misura.

La ricerca in ambito di comportamento animale deve sciogliere ancora molti nodi, ma l'unico modo per farlo è attraverso il metodo scientifico. Ha probabilmente ragione Carl Safina a dire che gli studiosi di comportamento e cognizione animale dovrebbero spendere più tempo sul campo, a sporcarsi le mani, a osservare gli animali nel loro habitat naturale e a non fare inferenze che si basino solo su dati provenienti da condizioni controllate di laboratorio che non sono in grado di riprodurre la complessità di stimoli del mondo naturale; ma è proprio la combinazione di riflessioni teoriche, esperimenti e osservazioni sul campo che ha portato ad esempio Thomas Bugnyar, del dipartimento di Cognitive Biology dell'università di Vienna, a stabilire che i corvi sono dotati di teoria della mente. Le scorciatoie sono sicuramente accattivanti, ma semplicemente non sono scientificamente nè affidabili nè conclusive. Carl Safina da un lato considera poco appassionante e tutto accademico il dibattito sulla teoria della mente e dall'altro tende risolvere il dibattito stesso adottando una concezione molto inclusiva di teoria della mente, tende cioè ad attribuirla a molti animali. Sulla base di cosa Safina giunge a questa conclusione? Prendendo sì in considerazione la letteratura scientifica, ma affidandosi soprattutto ad aneddoti che forse troppo rapidamente eleva a evidenze scientifiche.

Il libro di Carl Safina è una cavalcata attraverso alcune delle problematiche più affascinanti dell'etologia, della neurobiologia e della filosofia (pur non andando a genio, a Safina, i filosofi: “noi siamo diventati umani insieme ai leoni, sulle stesse pianure, entrambi a inseguire le stesse prede e a sottrarci a vicenda le loro carcasse. Abbiamo moltissimo in comune. Non è colpa dei leoni se poi alcuni esseri umani sono diventati filosofi” p. 426). È un diario di viaggio tra il Parco Amboseli, in Kenya, dove vive l'elefante africano, tra i lupi del Parco dello Yellowstone e tra i cetacei del Pacifico nord-occidentale. Il racconto di Safina ci invita a guardare gli abitanti del mondo animale come individui dotati di intelligenza ed emozioni, e anche laddove Safina pecca di antropomorfismo (l'attribuzione di aspetti umani a comportamenti che di umano necessariamente non hanno niente; a proposito di due scimpanzé Safina scrive: “se davvero stanno ammirando il tramonto, probabilmente non è per alcuna ragione profonda, se non perché lo trovano bello. Come noi” p. 95), il libro ha sicuramente il nobile intento e il merito di far riflettere il lettore sul rapporto tra uomo e natura. Attraverso la dettagliata descrizione del comportamento degli animali, visti dagli occhi appassionati dell'autore, al lettore viene restituito quel senso di meraviglia che solo i grandi spettacoli della natura sanno dare. Safina ci fa aprire gli occhi di fronte alla triste realtà della distruzione degli habitat dell'elefante africano, del bracconaggio per l'avorio, della decimazione delle popolazioni.

E alla fine la questione sul grado dell'intelligenza animale viene sopravanzata da una questione per Safina più pressante: “Perché l’idea che altri animali pensino e sentano sembra costituire una così grande minaccia per l’ego degli esseri umani? Forse perché riconoscendo agli altri una mente è più difficile abusare di loro” (p. 402). La sua etica forse non sarà fondata su sofisticate argomentazioni teoriche, ma è limpidamente pragmatica: “La vita di un pesce o di un uccello non ha lo stesso valore che ha una vita umana, ma la loro presenza nel mondo ha la stessa legittimità della nostra. Anzi, forse maggiore: loro sono qui da prima di noi, sono le nostre fondamenta”.

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