SCIENZA E RICERCA

Mettersi nei panni dell'altro: le radici evolutive del pensiero umano

Cosa rende unici gli esseri umani? Questa domanda ci accompagna almeno dai tempi dei filosofi greci, per i quali l'uomo soltanto era dotato della facoltà intellettiva, la ragione, che lo distingueva nettamente dalle altre specie animali. Secondo Michael Tomasello, docente di psicologia comparata e dello sviluppo al Max Planck Institute per l'antropologia evoluzionistica di Lipsia, filosofi come Aristotele (ma anche Cartesio) non si possono biasimare più di tanto, perché in Europa, fino ai primi dell'Ottocento, il confronto è stato tra esseri umani da un lato e uccelli, topi, lupi e animali domestici dall'altro.

Fu solo con l'introduzione dei giardini zoologici che i primati non umani, tra cui le grandi scimmie antropomorfe come scimpanzé e gorilla, giunsero in Occidente. Darwin stesso rimase sbalordito quando allo zoo di Londra vide Jenny, una femmina di orango, che la regina Vittoria definì “disgustosamente umana”. Darwin si convinse presto che la differenza tra le capacità mentali umane e animali era una differenza di grado, non di tipo: era un difensore della “tesi continuista”. Il suo opposto, la tesi della “discontinuità radicale”, è tutt'ora molto influente, soprattutto tra coloro che ritengono che il linguaggio umano sia un sistema comunicativo senza eguali nel regno animale e che rappresenti il sistema computazionale alla base del nostro pensiero. Il tema è tanto affascinante quanto articolato e complesso. Come si sbroglia questa matassa?

Tomasello, nel suo ultimo libro Unicamente umano. storia naturale del pensiero (Il Mulino, 2015), spiega come la risposta si nasconda nella nostra storia evolutiva. E come si indagano le radici evolutive di una cosa così effimera e immateriale come il pensiero? Comparando le capacità cognitive dell'uomo e quelle dei suoi parenti più stretti: i primati. L'uomo infatti è stretto parente delle antropomorfe non solo a livello anatomico, ma anche a livello mentale e cognitivo.

La quantità di dati utili per il confronto aumenta con l'avanzare delle ricerche e parallelamente vengono messi in discussione punti che si credevano fermi, come ad esempio quello che vede solo negli esseri umani la capacità di comprendere gli altri come agenti intenzionali. Grazie agli esperimenti di cognizione comparata oggi sappiamo che la vita mentale delle grandi scimmie antropomorfe è molto più ricca e complessa di quanto si riteneva pochi anni fa, ed è proprio da qui che parte il lungo ragionamento di Tomasello.

Unicamente umano è una lettura densissima e a tratti vertiginosa per le profondità di analisi che sa raggiungere. Mescola nozioni di paleoantropologia, primatologia, biologia evoluzionistica, filosofia, linguistica, psicologia dello sviluppo e psicologia sociale per esplorare territori che la conoscenza umana aveva solo osato di sperare di raggiungere. I dati raccolti negli ultimi anni, secondo Tomasello, sono sufficientemente forti per asserire che la dimensione sociale del pensiero umano è la caratteristica che cercavamo: il pensiero umano si distingue da quello degli altri animali in quanto è fondamentalmente e costitutivamente cooperativo. Tomasello chiama la sua ipotesi intenzionalità condivisa, e la presenta in due tappe fondamentali, articolate lungo la storia evolutiva dell'uomo.

La prima tappa è il passaggio dall'intenzionalità individuale all'intenzionalità congiunta. Un tempo le nostre capacità cognitive, come la comprensione di basilari relazioni di causa-effetto, erano sfruttate solo all'interno della sfera individuale, ad esempio per procacciarci del cibo; oppure forme di comunicazione gestuale erano usate principalmente per manipolare altri individui con lo scopo di acquisire qualche vantaggio all'interno del gruppo sociale (questa viene anche chiamata intelligenza machiavellica ed è contraddistinta da un contesto sociale competitivo).

A un certo punto della nostra storia evolutiva, fattori ecologici e demografici hanno modificato drasticamente il nostro habitat e le nostre abitudini: se volevamo sopravvivere dovevamo fare affidamento su altri individui. I tempi di crisi sono spesso opportunità per svolte radicali. Nascono così la caccia e la cura della prole cooperative. Queste strette interazioni con altri individui hanno un effetto rivoluzionario sulle nostre capacità cognitive: sviluppiamo una rappresentazione del mondo prospettica, ovvero iniziamo a immaginare come il nostro vicino vede le cose che anche noi vediamo, ci mettiamo nei panni del nostro vicino che condivide i nostri stessi fini di sopravvivenza. Questa comune finalità d'intenti ci porta a essere informativi nelle nostre interazioni comunicative e non più solo manipolativi: è più conveniente.

La seconda tappa è il passaggio dall'intenzionalità congiunta all'intenzionalità collettiva. I gruppi sociali si fanno sempre più ampi, e i comportamenti (cooperativi e comunicativi) delle generazioni precedenti vengono convenzionalizzati e trasmessi alle generazioni successive per un meccanismo di trasmissione culturale. Sviluppiamo un intelligenza pienamente sociale e diamo vita alla diversità culturale che ci contraddistingue. Si genera un pool di informazioni, conoscenze, norme condivise da cui ciascun individuo può attingere, come un musicista jazz che improvvisa all'interno di determinati schemi (usando però uno strumento e una tecnica messa a punto da altri).

Ciò che avrebbe reso unico il nostro pensiero, secondo Tomasello, sarebbe dunque la nostra capacità di elaborare informazioni in un continuo rimbalzo tra dimensione individuale e dimensione collettiva, imparando ad affrontare e risolvere problemi da prospettive diverse da quella meramente individuale. Sarebbe questa flessibilità ad averci permesso di esibire un'amplissima flessibilità di risposte comportamentali, grazie alle quali ci siamo adattati a pressoché ogni habitat del pianeta.

Dire che solo gli esseri umani posseggono il linguaggio è come dire che solo gli umani costruiscono grattacieli o guidano la macchina; secondo Tomasello, il linguaggio sarebbe il coronamento, ovvero una funzionale conseguenza, della matrice sociale della cognizione unicamente umana, non il suo fondamento.

Francesco Suman

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