SOCIETÀ

La Cina e l'anidride carbonica: sono solo parole?

Viviamo in un momento funesto su molti fronti, e l'emergenza sanitaria legata al Covid-19 sembra monopolizzare l'attenzione dei media e dei cittadini. Nello stesso tempo, però, quasi nel silenzio generale, diventa sempre più impellente un altro problema, cioè quello del cambiamento climatico che, molto più velocemente di quanto ci si aspettasse, rischia di provocare danni irreversibili.
Senza un controllo stringente sulle emissioni di anidride carbonica, le temperature globali rischiano di aumentare più di 4,5 gradi nel giro di sessanta/ottant'anni, e bisogna considerare che per evitare di giocarci il pianeta Terra la soglia tollerabile di aumento delle temperature era stata fissata a 1,5 gradi. Diversamente, le conseguenze saranno irreversibili, e oltre all'aumento delle temperature ci troveremmo a fronteggiare altri fenomeni climatici avversi come alluvioni e siccità.

Nel frattempo il mondo della politica sembra incapace di reagire, per non parlare di quando ostacola apertamente le poche decisioni prese in merito al problema del cambiamento del clima, come ha fatto Donald Trump rescindendo l'accordo di Parigi. Forse proprio per opporsi allo storico avversario, la Cina a sorpresa ha dichiarato di voler arrivare a zero emissioni di anidride carbonica entro 40 anni: lo ha detto il presidente Xi Jinping in persona in collegamento da remoto all'Assemblea generale delle Nazioni Unite del 22 settembre.

Questa notizia ha fatto il giro del mondo, perché la Cina è uno dei paesi più inquinati del mondo insieme a Stati Uniti, Europa e India ed è il primo produttore di diossido di carbonio (cioè di quella che per semplicità chiamiamo anidride carbonica).

Se effettivamente riuscisse nell'intento, la lotta per contenere l'aumento delle temperature potrebbe non essere persa in partenza come molti la ritengono, prima di tutti Greta Thunberg, che nel suo discorso all'assemblea generale delle Nazioni unite di New York del 23 settembre 2019 si è lamentata di come l'elite politica si limiti a fare grandi proclami e dichiarazioni di intenti temporeggiando nell'attesa che diventi troppo tardi.
Anche quello della Cina potrebbe rimanere un proclama vuoto e propagandistico: di fatto questo paese produce il 28% delle emissioni globali, ed è difficile immaginare non tanto che possa raggiungere il picco delle emissioni nel 2030 ma che possa raggiungere lo zero 30 anni dopo, contribuendo a mantenere l'aumento delle temperature sotto la soglia dei due gradi (l'aumento di 1,5 gradi, considerata la soglia di sicurezza per evitare che si scatenino meccanismi irreversibili, è giudicata invece poco realistica dalla maggior parte degli esperti, che darebbero ragione a Thunberg che l'anno scorso diceva che non si stava facendo abbastanza).

Quello che gli analisti reputano improbabile, come si diceva, non è tanto il raggiungimento del picco nel 2030, quanto l'obiettivo di arrivare alle zero emissioni nel 2060. In effetti, la Cina non ha ancora svelato come intende tenere fede a questo ambizioso obiettivo, anche perché oltre a un massiccio uso delle energie rinnovabili sarebbe necessario anche ripopolare le foreste per assorbire l'anidride carbonica in eccesso. Di fatto, a prescindere da quest'ultimo proclama, la Cina ha comunque bisogno di alternative, visto che l'approvvigionamento di carbone potrebbe essere messo in difficoltà dalla guerra commerciale dichiarata da Trump nei confronti di questo paese. In ogni caso, quindi, la Cina ha un effettivo interesse a investire sulle rinnovabili, ed è già su una buona strada per quanto riguarda l'energia eolica di cui è la maggior produttrice globale (ma parliamo comunque di meno della meta dell'energia che ricava dal carbone). Anche sul fronte dell'energia idroelettrica è avanti anni luce rispetto agli inseguitori europei: secondo l'Economist, ne genera più di qualsiasi altro paese e dovrebbe triplicare anche l'energia nucleare entro il 2050 (la costruzione di reattori è stata velocissima, dopo una battuta di arresto dovuta alle leggi varate per reazione all'incidente di Fukushima).

Nel complesso, comunque, rimangono ancora molti dubbi, visto che a inizio anno sono state costruite nuove centrali elettriche alimentate a carbone. Inoltre Xi Jinping ha parlato solo di riduzione delle emissioni e non dei consumi: l'ottica del profitto a beneficio di pochi non è stata minimamente scalfita, e c'è da chiedersi se davvero non si tratti soprattutto di una mossa politica, come ha sostenuto, tra gli altri, Li Shuo, esperta di politiche climatiche cinesi, su BBC news.

Intanto c'è una sola certezza: se anche la Cina raggiungesse la neutralità carbonica nel 2060, sarebbe comunque in ritardo rispetto agli obiettivi dell'accordo di Parigi, che hanno fissato al 2050 la data ultima per non raggiungere un punto di non ritorno. E, in ogni caso, anche se Xi Jinping fosse intenzionato a mantenere la promessa, il presidente è quanto di più lontano possa esserci dall'attivismo per l'ambiente: sarebbe semplicemente un politico che ha fatto bene i suoi calcoli.

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