Che vita sarebbe se non potessimo provare un senso di appagamento, almeno ogni tanto? Un gelato, un bel libro o un complimento sono tutte cose che possono contribuire dare una svolta alla nostra giornata. Ma come funziona il meccanismo di gratificazione? Ci sentiamo appagati solo quando abbiamo ottenuto quello che volevamo o succede in un altro momento?
Di recente un articolo su Science ha approfondito il ruolo della dopamina nelle api, che avrebbe una parte importante nella ricerca del piacere più che nel godimento di per sé. In altre parole, questo ormone entra in gioco quando ci aspettiamo di provare piacere, più che nel momento in cui effettivamente lo proviamo.
Per approfondire questo meccanismo e quella che potremmo definire la fisiologia del piacere, sia nelle api che negli esseri umani, abbiamo intervistato Giorgio Vallortigara, docente di neuroscienze all’università di Trento.
Servizio di Anna Cortelazzo e montaggio di Elisa Speronello
Le api, così come le drosophile (i moscerini della frutta), sono animali interessanti da studiare, perché nel loro ganglio encefalico troviamo pochi neuroni (un moscerino della frutta ne ha circa 100.000). Questo permette agli studiosi di lavorare su piccola scala e di verificare poi se gli stessi meccanismi possono adattarsi anche ad altre specie: "Se noi assumiamo - spiega Vallortigara - che i principi generali di funzionamento delle attività cerebrali, come per esempio quelli che mediano la ricompensa e la gratificazione, siano simili in tutte le specie, la possibilità di studiarle in un sistema che ha relativamente pochi neuroni costituisce ovviamente un grande vantaggio". In questo caso il processo è stato opposto: già si sapeva già che la dopamina aveva un ruolo importante nei meccanismi di ricompensa e gratificazione negli esseri umani, ora abbiamo delle evidenze che suggeriscono che lo abbia anche nel caso degli invertebrati.
Cosa ha messo in luce l'articolo su Science? "Questo lavoro - spiega Vallortigara - ha fatto emergere che quando un'ape parte per andare alla ricerca del cibo c'è un incremento transitorio dei livelli di dopamina, che è un neuro mediatore. Quando poi l'animale arriva alla fonte zuccherina e comincia a consumarla, la dopamina diminuisce e torna di nuovo ai livelli basali. Lo stesso succede quando l'ape inizia a eseguire la danza per segnalare alle compagne dove si trova il cibo e quanto ce n'è, come se richiamasse alla mente il desiderio della soluzione zuccherina. Lo stesso incremento, poi, lo si osserva anche nelle api che assistono alla danza. Questo sembra corrispondere a quello che abbiamo osservato nei vertebrati, uomo compreso".
Il meccanismo di gratificazione funziona in modo simile in tutti gli animali studiati fino a questo momento. Due psicologi, James Olds e Peter Milner, negli anni Cinquanta scoprirono i centri del piacere: applicando degli elettrodi in corrispondenza di alcune zone del cervello dei topi e stimolando quelle parti con una leggera scossa, gli animali testati provavano piacere e continuavano a cercare quel tipo di stimolazione, preferendola addirittura al cibo. I neuroni coinvolti in questa attività erano neuroni dopaminergici, quindi si è cominciato a ipotizzare che la dopamina avesse un ruolo importante nel meccanismo di gratificazione. "Non c'è però - spiega Vallortigara - una comprensione precisa e completa su cosa esattamente faccia la dopamina, non c'è pieno accordo tra gli scienziati. Ci sono due idee diverse, ma non necessariamente in contrasto tra di loro. La prima è relativa al fatto che quasi certamente la dopamina non è semplicemente responsabile della gratificazione in quanto tale, ma piuttosto sembrerebbe fare, secondo alcuni studiosi, una specie di calcolo della discrepanza tra l'aspettativa della gratificazione che si riceve e quella che ci si aspetta di ricevere. Se associamo uno stimolo neutrale con qualche tipo di premio, all'inizio ci sarà un'attività intensa dei neuroni dopaminergici quando arriva questa ricompensa, e poi andrà a diminuire. Piano piano, questo afflusso dopaminergico si trasferisce alla sola presentazione dello stimolo, anche se non è più prevista la ricompensa. Un'idea più recente è che la dopamina sia connessa più al wanting, che è il desiderio della ricompensa, che al liking, che è l'effettivo piacere".
A questo proposito, sono stati fatti degli esperimenti in cui venivano bloccati i recettori della dopamina dei topi e questi continuavano a dimostrare piacere quando gli veniva data una ricompensa. Semplicemente, smettevano di cercarla attivamente. Per lo stesso motivo, riducendo tramite farmaci i livelli di dopamina nei consumatori di cocaina, il piacere derivato dall'ottenimento della droga non diminuiva, ma si riduceva solo il desiderio di gratificazione, cioè il wanting. "L'opinione attuale - chiarisce Vallortigara - è che la dopamina segnali in qualche modo la parte relativa alla salienza di uno stimolo in quanto connesso con il desiderio di una gratificazione". In pratica la dopamina permetterebbe allo stimolo di modificare i nostri comportamenti, quindi ci permetterebbe di agire con l'obiettivo di provare piacere, ma non avrebbe invece un ruolo nel momento in cui lo proviamo.
In chiave evolutiva, il meccanismo di gratificazione, e quindi anche la dopamina, sono fondamentali: i topi privati della dopamina, per esempio, si lasciavano morire di inedia, a mano che qualcuno non li nutrisse artificialmente. "Lo aveva intuito anche Darwin - conclude Vallortigara - 150 anni fa: tutti i meccanismi di soddisfacimento portano alla ripetizione, o alla non ripetizione, di un determinato comportamento, e questo sta alla base dell'apprendimento associativo. Il circuito della ricompensa motiva quindi gli individui a imparare qualcosa sulla base delle conseguenze, piacevoli o spiacevoli, delle proprie azioni". Il che, decisamente, non è poco!