SCIENZA E RICERCA

Corpi più piccoli, orecchie e becchi più grandi: come gli animali cercano di adattarsi a un pianeta più caldo

Una delle caratteristiche più dirompenti degli attuali cambiamenti climatici è la loro inusitata rapidità. Le modificazioni ambientali a cui oggi assistiamo si stanno verificando in un nonnulla rispetto alla scala del tempo geologico, che si misura in migliaia o addirittura milioni di anni.

Una delle tendenze che si stanno verificando con maggiore evidenza su scala globale come effetto dei cambiamenti climatici di origine antropica è l’aumento delle temperature medie annuali. Ciò determina, in generale, l’occorrenza di un clima più caldo per periodi dell’anno più estesi. Queste nuove condizioni ambientali rappresentano una sfida per gli esseri viventi: a lungo adattati ad ambienti relativamente stabili (con dinamiche evolutive che si dipanavano su una scala temporale ben più lunga della vita di un singolo individuo), gli individui di moltissime specie si trovano a dover fare i conti con fattori ambientali spesso del tutto inaspettati, per affrontare i quali è frequente che non abbiano gli “strumenti” adattativi adeguati.

In molti casi, in risposta alle alterazioni ecologiche di origine antropica, gli organismi provano ad adattarsi alle nuove condizioni modificando, possibilmente in tempi brevi, i propri caratteri (morfologici, fisiologici, comportamentali etc.).

A volte, tali processi sono visibili poiché coinvolgono la morfologia dei viventi esposti alle nuove sollecitazioni ambientali: è il caso, ad esempio, delle risposte morfologiche degli animali endotermi (quegli organismi che regolano autonomamente la propria temperatura corporea) a un ambiente sempre più caldo. Secondo la regola di Bergmann, ad esempio, il gradiente delle dimensioni corporee diminuisce man mano che ci si avvicina alla regione tropicale, e aumenta, invece, a latitudini maggiori, dove il clima è più rigido. Si può dunque prevedere che, in presenza di un aumento delle temperature, gli animali endotermi di una specifica regione riducano progressivamente le proprie dimensioni corporee per ottimizzare la capacità di dissipazione del calore.

Uno studio pubblicato su Science Advances convalida empiricamente questa previsione: attraverso un campione composto da 77 specie stanziali di uccelli native della foresta equatoriale dell’Amazzonia centrale, gli autori hanno potuto valutare con precisione il legame tra l’aumento delle temperature e la morfologia (nello specifico, della taglia corporea) degli uccelli considerati. Questo ha poi permesso di analizzare in che misura gli organismi di questa regione – una delle aree del pianeta con il più alto rischio di estinzione dovuto alla crisi climatica – stanno rispondendo alle sfide di adattamento poste dalle nuove condizioni ambientali, ipotizzando di trovare un tasso inferiore di cambiamento morfologico nelle popolazioni che presentano, negli ultimi quarant’anni, la maggior riduzione in termini di abbondanza.

I dati hanno pienamente confermato la previsione: per tutte le 77 specie censite si è registrata, negli ultimi quattro decenni, una generale diminuzione della massa corporea, e per circa metà delle specie la probabilità di riduzione della taglia corporea è stata stimata al 95%. Ciò dimostra come esse abbiano effettivamente subìto gli effetti del cambiamento climatico, e in particolar modo delle fluttuazioni stagionali di temperature e precipitazioni.

Inoltre, la diminuzione della taglia corporea non è, stando alle evidenze empiriche, l’unico effetto del cambiamento climatico che ha avuto ripercussioni sulla morfologia degli uccelli stanziali amazzonici. Parallelamente a questa, infatti, in un terzo delle specie censite si è osservato un aumento dell’estensione delle ali, e una conseguente riduzione del rapporto di grandezza corpo-ali. Trovare una spiegazione univoca per questa tendenza è più difficile, come ammettono gli autori della ricerca. L’ipotesi, in questo caso, è che, nel caso degli uccelli non migratori, l’adattamento risponda alla necessità di garantire la minore dispersione possibile di energia e di acqua: una delle conseguenze ecologiche del cambiamento ambientale è infatti la ridotta disponibilità di risorse e una sempre più accentuata mancanza d’acqua – risorsa, quest’ultima, che è fondamentale anche per la termoregolazione degli endotermi, e soprattutto degli uccelli. Infatti, ali più lunghe consentono una migliore redistribuzione del peso e, di conseguenza, un minore fabbisogno energetico per il volo. In generale, affermano gli autori, «la morfologia degli uccelli è rivelatrice di quanto il biota amazzonico sia sensibile all’impatto globale delle attività umane, anche laddove l’ambiente locale sia libero da fattori di stress come la deforestazione».

Nella stessa direzione si muove un altro, più esteso studio comparso recentemente su Trends in Ecology and Evolution: in questo caso, gli autori hanno realizzato una ricognizione dei dati ad oggi disponibili su diverse specie di endotermi (soprattutto uccelli e mammiferi), concentrando l’attenzione su come le modificazioni ecologiche stanno influendo sugli organi periferici di questi animali.

Le appendici esterne svolgono un ruolo fondamentale, negli endotermi, per la regolazione della temperatura corporea. Un’altra regola biogeografica, la regola di Allen, postula che in climi più caldi gli endotermi presentino appendici più grandi (ad esempio le orecchie dei mammiferi e i becchi degli uccelli), per ottimizzare – con la stessa funzione della variazione delle dimensioni corporee, che sono però inversamente proporzionali alla dimensione delle parti periferiche del corpo – la dissipazione del calore. È possibile che le nuove condizioni ambientali esercitino una pressione selettiva che favorisca o la comparsa di appendici più ampie, che offrono una maggiore superficie attraverso la quale dissipare il calore, oppure un “rilassamento della selezione” per appendici più piccole, che in un clima più caldo potrebbero risultare poco vantaggiose. Secondo gli autori della ricerca, questi cambiamenti morfologici non hanno conseguenze limitate, ma modificano l’intera conformazione corporea dell’individuo.

Nella maggior parte dei casi, è difficile dimostrare con certezza che la causa primaria del cambiamento morfologico osservato sia il cambiamento climatico (stagionale e di lungo periodo). All’origine di cambiamenti morfologici nelle popolazioni naturali possono esservi diversi fattori, tra cui ragioni biogeografiche e modificazioni ecologiche non necessariamente innescate dalla crisi climatica. «In molti dei casi riportati – affermano gli autori – i cambiamenti nella taglia delle appendici sono attribuiti alla disponibilità di cibo. Sebbene questo fattore possa essere una concausa, il ruolo delle appendici nella termoregolazione impone che l’effetto diretto della variazione di temperatura (e non indiretto, legato alla disponibilità di cibo) non venga sottovalutato.

Ad ogni modo, siamo ancora lontani dal comprendere in modo univoco quale sia il grado di correlazione tra variazioni morfologiche e cambiamento climatico. Una simile forma di adattamento è certamente possibile, ma deve sottostare a diverse costrizioni e compromessi: innanzitutto, la possibilità che una variazione morfologica si realizzi dipende da vincoli legati alla storia filogenetica, alla biologia dello sviluppo, alle condizioni ecologiche. Inoltre, nel caso in cui le variazioni riguardino le appendici, bisogna tenere in considerazione che queste ultime svolgono diverse funzioni: modificarle per ottimizzare soltanto una funzione potrebbe avere altri effetti maladattativi in termini fisiologici e/o comportamentali.

I ricercatori che hanno firmato lo studio di Trends in Ecology and Evolution si sbilanciano in alcune predizioni: a loro parere, tra gli animali che mostrano maggiori variazioni morfologiche in risposta al cambiamento climatico si possono annoverare con relativa sicurezza la rana comune (Rana temporaria), lo storno, il passero Melospiza melodia, e diverse specie di uccelli marini e piccoli mammiferi. In ogni caso, a determinare l’eventuale risposta adattativa di tipo morfologico concorreranno molti fattori, tra cui l’interazione tra le condizioni ambientali esistenti e il livello del cambiamento climatico a livello locale, ma anche il tasso di tolleranza individuale a condizioni meno vantaggiose.

In vista di una migliore comprensione di questi fenomeni, e al fine di sviluppare più precise politiche di conservazione, sarà necessaria una sempre maggiore collaborazione tra diverse discipline, come la genetica, l’ecologia, gli studi sul campo e le modellizzazioni teoriche. Nel pieno di un cambiamento ambientale di origine antropogenica, che si sta verificando su scala globale con grande rapidità, aumentare la nostra capacità di predire il futuro è essenziale.

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