SCIENZA E RICERCA

Covid-19: gli anticorpi monoclonali e la strada verso il primo farmaco specifico

Mentre nei laboratori di tutto il mondo si lavora per arrivare ad ottenere il prima possibile un vaccino sicuro ed efficace contro il virus Sars-CoV-2, è incessante anche la ricerca di una terapia che possa contrastare in modo certo la malattia. La svolta potrebbe arrivare grazie agli anticorpi dei pazienti che hanno superato l’infezione: una frontiera che va oltre alla terapia con il plasma, già in sperimentazione in diversi ospedali, e che si contraddistingue per la possibilità di ottenere un farmaco specifico, sviluppato attraverso gli anticorpi neutralizzanti selezionati, riproducibile artificialmente, senza quindi necessità di ricorrere al sangue dei donatori, e utilizzabile a scopo sia di profilassi che terapeutico. Le molecole mirate contro il nuovo coronavirus sono adesso più di una promessa e i risultati che arrivano da un progetto di ricerca italiano, guidato da Rino Rappuoli, che vede insieme fondazione Toscana Life Sciences e istituto Spallanzani di Roma sono incoraggianti. Il team di scienziati è riuscito a isolare 17 anticorpi monoclonali che nei test condotti in vitro, i cui dati sono stati pubblicati in uno studio preprint su BioRxivsono risultati capaci di neutralizzare il virus Sars-Cov2.

Lo studio è stato condotto utilizzando le celle mononucleari di sangue periferico (PBMCs) di sette pazienti guariti da Covid-19. I ricercatori hanno analizzato oltre 1.100 cellule B che, per stimolare la produzione di immunoglobuline, sono state incubate per due settimane con la proteina Spike del virus Sars-CoV-2, quella che riveste la superficie del patogeno e che ne facilita l’ingresso nell’organismo umano perché si lega molto bene al recettore ACE2 delle cellule. Impedire l’azione della proteina Spike priverebbe il virus della “strategia” con cui esercita, con elevata efficacia, il meccanismo infettivo.

In un’intervista a Rainews, Rino Rappuoli, tra i massimi esperti al mondo di vaccini e attualmente direttore scientifico e responsabile dell’attività di ricerca di GlaxoSmithKline, ha dichiarato che la speranza adesso è di riuscire a ottenere un farmaco entro 8-9 mesi e che si tratta di una linea di ricerca complementare a quella dello sviluppo del vaccino.

La strada degli anticorpi monoclonali specifici contro il Sars-CoV-2 è stata avviata a metà marzo con la scoperta del primo anticorpo monoclonale anti Covid-19 ad opera dall'università olandese di Utrecht. Attualmente, oltre al team guidato da Rappuoli, c'è anche un progetto di ricerca che unisce Italia, Stati Uniti e Canada e che in pochi mesi potrebbe avviarsi verso le prime sperimentazioni cliniche. In questo studio gli anticorpi neutralizzanti selezionati sono tre e la scelta è "avvenuta - ha spiegato Giuseppe Novelli, genetista dell’università degli studi di Roma Tor Vergata e dell’università del Nevada - usando una delle più grandi librerie di anticorpi esistenti al mondo, quella del centro Toronto Recombinant Antibody Centre".

Abbiamo chiesto all'immunologa Antonella Viola, docente del dipartimento di Scienze biomediche all'università di Padova e direttrice dell'Istituto di ricerca pediatrica Fondazione Città della speranza, un opinione sulle prospettive di queste ricerche e sulla possibilità di avere entro la fine dell'anno una terapia specifica contro il virus Sars-CoV-2. 

Intervista all'immunologa Antonella Viola sull'utilizzo degli anticorpi dei pazienti guariti da Covid-19: dalla terapia con il plasma alla possibilità di ottenere i primi farmaci specifici contro la malattia. Servizio e montaggio di Barbara Paknazar

"E’ una scoperta molto interessante - introduce l'immunologa Antonella Viola - nel senso che al momento, come sappiamo tutti, non c’è un farmaco specifico contro il Sars-CoV-2, quindi qualunque approccio che possa essere selettivo contro questo virus è estremamente promettente. La terapia con il plasma, come abbiamo già spiegato in una precedente occasione, si basa su un qualcosa che si conosce molto bene da tantissimo tempo ed è stata già usata in tante infezioni. Si fonda sul concetto che le persone che hanno avuto l’infezione e sono guarite sono in grado di sviluppare degli anticorpi neutralizzanti, cioè capaci di bloccare l’ingresso del virus all’interno delle nostre cellule, che possano dare protezione ed essere trasferiti con il plasma nelle persone malate o che vogliamo proteggere. L’anticorpo può conferire una protezione che non è duratura come il vaccino, in quanto si protrae per alcuni mesi, ma può rappresentare una copertura per alcune categorie che vogliamo proteggere. Ovviamente però la terapia con il plasma ha delle limitazioni importanti: la prima è che dobbiamo avere dei donatori. Poi c’è una grande variabilità tra i donatori, quindi dobbiamo trovare un modo per selezionare quelli adatti e quelli meno adatti. Inoltre ci possono essere degli effetti collaterali dovuti all’uso di questa terapia. Il passaggio successivo, che però si inserisce in una linea di ragionamento molto simile, è quello di creare un farmaco basato su degli anticorpi neutralizzanti. E questo è appunto quello che ha fatto Rino Rappuoli che, ricordiamo, è forse il più grande vaccinologo del mondo: il suo gruppo ha preso i linfociti B delle persone guarite, ha analizzato il tipo di anticorpi che venivano prodotti e ha identificato così degli anticorpi neutralizzanti che sono effettivamente in grado di bloccare l’ingresso del virus".

Una volta selezionati gli anticorpi ed eseguiti i test clinici per testarne sicurezza ed efficacia, il passo successivo è avviare una produzione su larga scala riproducendo gli anticorpi in laboratorio in quantità illimitata.

"Quindi - prosegue Antonella Viola - questo potrebbe essere davvero un farmaco, in attesa del vaccino, che può essere standardizzato perché diventa un prodotto che non ha bisogno di un donatore ma che è a disposizione in tutti i casi in cui può servire: potrebbe essere utilizzato sia per delle persone che sono già state colpite dall’infezione oppure nelle categorie a rischio in cui vogliamo andare a impedire l’infezione. E’ un passaggio veramente importante e io sono molto ottimista perché l’anticorpo neutralizzante rappresenterebbe davvero, in attesa del vaccino, la prima linea di difesa protettiva, specifica, contro questo virus".

La professoressa Viola chiarisce poi le differenze tra la somministrazione di un vaccino e quella di un farmaco basato sull'azione degli anticorpi. "Noi trasferiamo l’immunità. Il vaccino stimola la produzione di anticorpi da parte delle nostre cellule, quindi una volta che siamo stati vaccinati, oppure che siamo venuti a contatto con il virus, generiamo delle cellule B della memoria, delle cellule che nel tempo continueranno a persistere nel nostro corpo e continueranno a produrre anticorpi. Nel caso del farmaco, invece, non avremo queste cellule, non trasferiamo queste cellule, ma trasferiamo solo lo strumento finale, quindi l’anticorpo che viene prodotto: durerà un paio di mesi, ci proteggerà per quei mesi, però poi bisognerà proseguire con un secondo trattamento. Occorrerà definire qual è il modo giusto di usare questo farmaco e in quali categorie di persone, ma sicuramente è una scoperta molto promettente".

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