SCIENZA E RICERCA

Covid-19, nel comune raffreddore una possibilità di protezione

Mentre nei laboratori di tutto il mondo si lavora per sviluppare in tempi brevi un vaccino capace di attrezzare l'organismo umano delle difese necessarie per trasformare il virus Sars-CoV-2, patogeno insidioso e ancora quasi del tutto sconosciuto all'organismo umano, in una minaccia non più grave di un comune raffreddore, arriva la scoperta che proprio i "parenti" più innocui della famiglia dei coronavirus potrebbero garantire una protezione, almeno parziale, dalla conseguenze più gravi che possono caratterizzare l'evoluzione del contagio di Covid-19.

L'ipotesi era stata avanzata già nel mese di maggio da un team di ricercatori statunitensi del Center for Infectious Disease and Vaccine Research presso La Jolla Institute for Immunology di San Diego, il cui studio è stato pubblicato sulla rivista Cell. A corroborare questa possibilità è adesso anche un altro lavoro di ricerca, non ancora sottoposto a peer review, condotto dall'immunologo Antonio Bertoletti e dai colleghi della Duke-Nus Medical School di Singapore, secondo cui la protezione potrebbe avere una durata molto lunga e nel caso dei pazienti guariti dalla Sars del 2003 è stata rilevata la presenza di cellule T della memoria in grado di rispondere anche alla minaccia di Sars-CoV-2, a ben diciassette anni di distanza dal contatto con la precedente malattia. 

Il meccanismo è noto da tempo e prende il nome di cross-reattività. Si tratta della possibilità che un precedente attacco da parte di un virus stimoli una protezione immunitaria che si estende anche a eventuali altri patogeni con un corredo genetico simile: in altre parole, gli anticorpi sarebbero in grado di riconoscere il nuovo virus da contrastare anche senza averlo mai incontrato prima.

In particolare, nella ricerca statunitense gli scienziati hanno analizzato il sangue di un piccolo numero di pazienti convalescenti (20 persone) e di altrettanti soggetti mai esposti al virus, il cui sangue era stato raccolto tra il 2015 ed il 2018. Tra le persone contagiate da Sars-CoV-2 si è avuta la conferma di una ottima risposta immunitaria e i ricercatori hanno trovato che il 100% dei convalescenti aveva sviluppato le cellule T che aiutano le cellule B a sviluppare gli anticorpi. Si tratta di un riscontro che era emerso anche in precedenti ricerche e rappresenta una notizia molto importante nell'ottica dello sviluppo di un vaccino. Inoltre i convalescenti possedevano anche gli anticorpi contro molte delle proteine di Sars-CoV-2, mentre il 70% aveva cellule T di altro tipo che intervengono nella distruzione diretta delle cellule infettate dal virus.

Il dato più sorprendente è però giunto dal sangue dei soggetti mai esposti al virus. In 11 dei 20 campioni è stata riscontrata una risposta immune (mediata da cellule T) a SARS-CoV-2 e i ricercatori ritengono che la spiegazione sia da ricondursi all'azione di qualche coronavirus precedente, come le tipologie all'origine del comune raffreddore, che genera un'immunità almeno parziale contro il nuovo patogeno. 

 

Lo studio pubblicato in questi giorni su bioRxiv si è invece basato sui campioni di sangue di 65 soggetti, 24 dei quali guariti da Covid-19, 23 avevano contratto il virus della Sars nel passato e 18 non erano mai stati esposti né a Sars né a Sars-CoV-2. Gli scienziati della Duke-Nus Medical School di Singapore hanno scoperto che la metà di questi ultimi presentava cellule T 'di memoria' che mostravano una risposta immunitaria a Sars e Sars-Cov2 e ciò ha suggerito che la protezione si sia generata a seguito dell'esposizione a raffreddori comuni provocati da betacoronavirus, in particolare Oc43 e Hku1, o da altri virus ancora sconosciuti.

Abbiamo affrontato il tema della cross-reattività con l'immunologa Antonella Viola, docente del dipartimento di Scienze biomediche dell'università di Padova e direttrice dell'Istituto di ricerca pediatrica Fondazione Città della Speranza, con la quale siamo tornati anche sull'argomento dell'utilizzo del plasma di soggetti guariti dall'infezione da virus Sars-CoV-2 a scopo sia terapeutico che di profilassi. 

Intervista all'immunologa Antonella Viola sui meccanismi della cross-reattività che possono offrire un'immunità, almeno parziale, davanti al virus Sars-CoV-2. Intervista e montaggio di Barbara Paknazar

"Queste sono scoperte molto interessanti - dichiara l'immunologa Antonella Viola, docente del dipartimento di Scienze biomediche dell'università di Padova - perché da un lato le nostre conoscenze sull’immunità stanno andando avanti ed è chiaro che in buona parte delle persone guarite c’è lo sviluppo di anticorpi, le immunoglobuline G che sono in buona parte anche neutralizzanti e protettive, anche se resta ancora da capire quanto questa protezione possa durare nel tempo. Se questi anticorpi si sviluppano un’applicazione immediata può essere quella di trasferirli, attraverso la terapia con il plasma iperimmune, a delle persone che hanno sviluppato la malattia in forma grave o anche a scopo preventivo. In questo momento stanno andando avanti degli studi per definire la riproducibilità di questi risultati, perché questo approccio è stato usato in vari laboratori e vari ospedali però mai con un trial clinico randomizzati e controllati. Quindi adesso gli studi in corso stanno cercando di comprendere sia gli effetti collaterali, sia altri aspetti come il dosaggio più indicato o quale tipologia di pazienti beneficia maggiormente del trattamento".

Un'altra applicazione che si muove in questa direzione è quella che prevede l'utilizzo di anticorpi monoclonali sintetici sviluppati sotto forma di farmaci riproducibili. Una frontiera che vede al lavoro anche un gruppo di ricerca guidato da Rino Rappuoli, tra i massimi esperti al mondo di vaccini e attualmente direttore scientifico e responsabile dell’attività di ricerca di GlaxoSmithKline: gli scienziati sono partiti dagli anticorpi derivati dal sangue dei pazienti dell'Istituto Spallanzani e ne hanno individuati diciassette che nei test in vitro si sono dimostrati capaci di neutralizzare il virus Sars-CoV-2. In questi giorni uno studio internazionale coordinato dal gruppo di Pier Paolo Pandolfi dell'università di Harvard e del Dipartimento di biotecnologie molecolari dell'università di Torino, pubblicato in pre-print su 'bioRxiv', si è invece concentrato su alcuni anticorpi monoclonali sintetici, identificati nella libreria degli anticorpi di Toronto, che si sono dimostrati capaci di modificare la proteina Spike e di chiudere la principale porta d'ingresso del virus nell'organismo umano. "Ora  - ha dichiarato il professo Pier Paolo Pandolfi in un'intervista all'Adnkronos - è finita la parte accademica, e bisognerebbe passare alla sperimentazione clinica sull'uomo: su un piccolo gruppo di soggetti. Speriamo che le istituzioni investano su questo approccio, che potrebbe darci in tempi brevi armi mirate anti-Covid, in attesa del vaccino", conclude Novelli, ribandendo l'auspicio di fare la sperimentazione in Italia.

Ma nell'ambito degli studi sulla risposta immunitaria ci sono anche altri aspetti molto interessanti. "Prima di tutto - prosegue la professoressa Antonella Viola - il fatto che la produzione di anticorpi, che normalmente avviene un po’ nel tempo, non nei primi giorni dall’esposizione a un virus, nel caso del Sars-CoV-2 invece si manifesta in tempi più brevi e queste immunoglobuline raggiungono subito un picco. E poi uno studio recentemente pubblicato su Cell che ha dimostrato che c’è una cross-reattività con degli antigeni dei comuni coronavirus, dei betacoronavirus che causano il raffreddore. Quindi l’insieme di queste informazioni porta a pensare che, almeno in alcune persone, la sintomatologia lieve possa dipendere dal fatto che c’è una protezione dovuta proprio a questa cross-reattività data da esposizioni precedenti ad altri coronavirus. Questo potrebbe essere un aspetto estremamente interessante da studiare perché potrebbe contribuire a spiegare la differenza tra una persona che ha una sintomatologia lieve e chi invece la sviluppa in forma più severa".

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012