SOCIETÀ

Crisi climatica, ora o mai più: l'accorato appello su Nature

Inutile nasconderlo: nell’ultimo decennio, i tentativi di mitigare il cambiamento climatico hanno fallito. Forse a causa di previsioni troppo ottimistiche, forse perché i politici hanno preso poco sul serio la questione, forse perché gli interessi economici in gioco erano troppi; fatto sta che le politiche climatiche non hanno raggiunto, in molti paesi (tra cui l’Italia), gli obiettivi fissati entro il 2020, e che anche i goals definiti dall’agenda 2030 sembrano, già oggi, fuori dalla nostra portata.

Questo è quanto denuncia un recente commento pubblicato su Nature, in cui si sottolinea come, a causa di questo lungo decennio di inerzia, il nostro margine d’azione si sia drammaticamente ristretto. Se nel 2010 si pensava di avere ancora trent’anni di tempo per limitare le conseguenze del riscaldamento globale, oggi sappiamo di avere a disposizione solo altri dieci anni “utili”; il cosiddetto cambiamento incrementale – la somma di piccole innovazioni e modificazioni coerenti con l’attuale modello di sviluppo, i cui risultati si vedranno nel lungo periodo – non è più sufficiente, ma bisognerà volgersi con decisione verso un modello di cambiamento radicale e trasformativo.

A peggiorare questo quadro, già di per sé desolante, si aggiunge il fatto che le azioni politiche previste per i prossimi anni sono ben lontane dal soddisfare gli obiettivi necessari: come si legge nell’articolo, “invece di dimezzare le emissioni entro il 2030, le proposte nazionali di intervento climatico porteranno ad un leggero aumento. Come se non bastasse, i singoli paesi non sono sulla buona strada per raggiungere quegli impegni che, fin dall’inizio insufficienti, si rivelano ora tristemente inadeguati”.

Certo, non tutto è negativo: singole realtà nazionali, e più spesso regionali o locali, stanno mettendo in atto pratiche virtuose che potrebbero contribuire in modo consistente al raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030. È il caso di paesi come la Costa Rica, la metropoli cinese di Shenzhen e la città di Copenhagen, che sono passate all’uso pressoché esclusivo di energie da fonti rinnovabili; o del Regno Unito e della California, che hanno varato politiche molto ambiziose– almeno sulla carta –  per la neutralità climatica.

Insomma, qualcosa si sta muovendo. Ma non basta: il problema sostanziale è che tra le azioni promosse da singole realtà, locali o statali che siano, e le iniziative di cooperazione internazionale, indispensabili per affrontare un fenomeno globale come la crisi climatica, vi è un gap che ancora non è stato colmato, e la cui permanenza rischia di vanificare gli sforzi già in campo.

 Innanzitutto, considerate le nuove conoscenze accumulate in questi anni di ricerche, i governi si sono visti costretti a modificare gli obiettivi di riduzione delle emissioni individuati nel 2010 durante la conferenza di Cancun: oggi, infatti, sappiamo che il proposito di limitare l’aumento medio globale della temperatura di 2°C entro il 2050 è insufficiente per evitare il crollo degli ecosistemi terrestri e marini. Così, alla COP21 di Parigi (2015) è stato posto il limite di 1,5°C di aumento entro il 2030, obiettivo che, tuttavia, richiederebbe ingenti sforzi – soprattutto dai paesi sviluppati – di cui molti non vogliono farsi carico.

L’articolo di Nature sottolinea schiettamente la probabile irraggiungibilità di questa meta: “Se a partire dal 2010 fosse stata avviata una seria azione climatica, oggi i tagli richiesti per raggiungere livelli di emissioni compatibili con un aumento di 2°C sarebbero stati, in media, di un 2% annuo fino al 2030. Al contrario, le emissioni sono aumentate. Di conseguenza, i tagli necessari, dal 2020, ammontano a più del 7% annuo, in media, per raggiungere l’obiettivo del contenimento entro 1,5°C (e del 3% annuo per un aumento di 2°C)”.

Sebbene nessuno sia in grado di prevedere il futuro, sembra chiaro che le attuali decisioni politiche non permetteranno di raggiungere, entro il 2030, neanche una limitazione del riscaldamento globale medio a 2°C – per non parlare di quello a 1,5°C, che è ormai poco più di un miraggio.

Senza queste misure, gli obiettivi di lungo termine dell’Accordo di Parigi sono irraggiungibili. Ma noi non abbiamo altri dieci anni

Promuovere un’azione collettiva transnazionale non è più una tra le opzioni: è la nostra unica speranza per contrastare efficacemente il cambiamento climatico e per prevenire le sue conseguenze ambientali, sociali ed economiche. Il cambiamento richiesto deve essere di tipo trasformativo: soprattutto noi, cittadini dei paesi ricchi, non possiamo permetterci di conservare tutti i nostri confortevoli stili di vita. La riduzione delle emissioni climalteranti è un prerequisito fondamentale per realizzare i 17 obiettivi dell’Agenda 2030, che tracciano la possibilità di un mondo più equo, sostenibile e felice: “[...] i governi, il settore privato e le comunità devono entrare in una “modalità di crisi”, portare ad un livello più ambizioso i loro impegni climatici e concentrare le forze su azioni aggressive e immediate. Senza queste misure, gli obiettivi di lungo termine dell’Accordo di Parigi sono irraggiungibili. Ma noi non abbiamo altri dieci anni”.

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