SOCIETÀ

La geografia non è né mnemonica né noiosa: guardiamoci curiosamente intorno

La geografia non è una scienza né mnemonica né noiosa, forse serve davvero solo guardarsi intorno, meglio e curiosamente. Fuori dalla finestra o per le strade, nei luoghi sociali e nei musei, con la geografia è facile emozionarsi, si abbia o meno senso dell’orientamento. Anche se non si conoscono i nomi precisi, le percezioni e le emozioni ci conducono subito a vedere connessioni vitali fra il luogo in cui ci troviamo, la nostra identità storicamente determinata, le specie che vediamo o odoriamo, libertà e confini nella mobilità verso ogni direzione (maestra), i paesaggi, gli ecosistemi. E le esplorazioni possibili. Come noto, proprio a Padova è sorto il primo museo di geografia in Italia, inaugurato nel dicembre 2019 presso il dipartimento di Scienze atoriche, geografiche e dell'antichità dell'università degli Studi. L’obiettivo principale era quello di promuovere la conoscenza geografica attraverso la conservazione e la valorizzazione di un ricco patrimonio di oggetti, strumenti e documentazione. Dopo poco più di cinque anni, sembra sostanzialmente raggiunto, certamente in progress, altri e in ben altro modo faranno i bilanci culturali, scientifici, formativi, istituzionali.

Qui ovviamente se ne è spesso parlato e la geografia è sotto la costante attenzione di redattori e redattrici. A inizio del 2025 sono usciti in italiano due volumi che sottolineano e aggiornano l’importanza della geografia per convivere pacificamente e laboriosamente nel mondo di oggi, il primo realizzato proprio da uno degli scienziati che più ha contribuito all’impostazione del museo patavino: Mauro Varotto, Il primo libro di geografia, Einaudi Torino 2025, pag. 267; poi Paul Richardson, Le bugie delle mappe. Gli otto miti della geografia che capovolgono la storia, traduzione di Nausikaa Angelotti e Daniela Marina Rossi, Marsilio Venezia 2025, pag. 238 (orig. 2024, Myths of Geography. Eight Ways We Get the World Wrong). Entrambe sono opere di geografi esperti e apprezzati, che tengono in debita considerazione gli avvenimenti umani millenari nella diacronia dei tempi e molto contribuiscono a una relazione feconda, sia con le scienze biologiche, sia con le scienze sociali. Se si vuole anticipare un parziale limite potrebbe forse riguardare proprio il trattino di nesso tra storia e geografia.

La Geografia non è un bagaglio culturale superato

Terra e mondo

La perdita di rilevanza scolastica della materia “geografia” non si giustifica eppur si spiega per tre ragioni che forse riguardano molti concittadini: viene considerato un bagaglio superato; viene reputata la disciplina mnemonica e noiosa di cui sopra; viene ipotizzata come poco specializzata e quindi inservibile professionalmente. Proviamo allora a rileggere Il Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry e la commozione del Geografo (in esergo al volume): l’immaginazione e la soggettività sono essenziali nella ricerca scientifica, le geografie sono tante oltre a quella fisica e istituzionale, umanistica, culturale, economica, politica, sociale, percettiva, quotidiana, effimera. Dallo spazio oggettivo della topografia (nota tecnica ingegneristica) ci conduce alla scoperta della mobile e cangiante connettività della topologia: lo spazio è il prodotto di continui assemblaggi e lo stimolo a cogliere le infinite relazioni con ciò che ci circonda. 

La splendida “inutilità” della geografia

L’ottimo “primo libro di geografia” è rivolto con un linguaggio accessibile ed efficace a un’alfabetizzazione di chi la geografia non l’ha mai studiata ed è curioso di conoscere la splendida “inutilità” della materia, di chi l’ha studiata male a scuola o l’ha già dimenticata e vuole riscoprirne i termini principali, di chi si appresta a studiarla in ambito universitario senza certe dovute basi e di chi, infine, proveniente da saperi affini, può ritrovare nei concetti chiave della disciplina una visione d’insieme utile a inquadrare le proprie competenze tecniche e scientifiche all’interno di orizzonti più ampi. Nel testo non vengono approfondite le coordinate nozionistiche né la distribuzione gerarchica dei fenomeni; piuttosto alcuni dei modi per pensare una città, rappresentare un confine, definire cosa è vicino e cosa è lontano.

Il professore ordinario di geografia e di geografia culturale all’università di Padova Mauro Varotto ci introduce alla disciplina attraverso 20 capitoli tematici, ciascuno (una decina di pagine) anticipato da una specifica foto in bianco e nero e poi ulteriormente documentato attraverso sculture, pitture, immagini, carte, mappe, disegni (complessivamente 45). I termini-chiave della geografia (sostantivi e due soli verbi) giocano sull’ampiezza e la stratificazione, sulla complessità e le sfumature dei loro significati, antichi e moderni, con uno sguardo alle sfide del presente e del futuro: Geografia (la fatica di Atlante che sorregge il globo con la prima vertebra della colonna e con le mani, dal museo archeologico napoletano); Orientarsi; Carta e mappa; Luogo; Territorio e confini; Regione; Stato e nazione; Europa; Globo; Clima e Antropocene; Natura; Paesaggio; Città; Campagna; Cibo; Montagna; Mari e oceani; Popolazioni e migrazioni; Storia, memoria e patrimonio; Abitare. 

Esplicitamente non vi è pretesa di esaustività né nell’elenco né nella narrazione, si citano discorsivamente definizioni, autori di riferimento, ipotesi e quadri di teorie o problemi (le sintetiche note bibliografiche sono raccolte in fondo). Forse si può essere stimolati a ricercare qualche ulteriore nesso con la scienza dell’ecologia, soprattutto per la questione delle isole e delle migrazioni (pur spesso e ben trattata): la nozione di ecosistema è abbastanza decisiva per clima, biodiversità, biologia ed evoluzione. Risultano frequenti e competenti i riferimenti alle innovazioni scientifiche della cultura geografica anglosassone (forse citabile era anche la scuola francese delle Annales, storia-geografia da quasi un secolo: Bloch, Febvre e Braudel non sono citati, lateralmente una volta il più recente compianto Lucio Gambi). Completa il volume un ricco indice dei nomi e dei luoghi. 

Miti e bugie delle nostre mappe

L’altro volume è di Paul Richardson e riguarda miti e bugie connessi alle nostre mappe, perlopiù mentali, rappresentazioni soggettive e limitate della realtà. Qui e là, su e giù per il pianeta. Da vario tempo. I continenti, per esempio, fanno parte di un sistema di suddivisione delle terre emerse che non tiene conto di parecchie sottigliezze del mondo geologico, naturale e umano. Furono gli abitanti dell’antica Grecia e i loro filosofi, geografi e marinai ad assegnare per primi i nomi di “Europa” e “Asia” alle terre lambite da Mar Egeo, Mar Nero e Mar d’Azov, ben presto s’aggiunse la Libia (“Africa”). La divisione in tre continenti cominciò a plasmare una divisione del mondo che, resistendo ben oltre l’epoca in cui era nata, ha creato uno strumento di classificazione durato quasi due millenni, caratterizzati poi da una distorsione teologica di innumerevoli successive mappe. 

La “scoperta” delle Americhe mandò in frantumi l’assodata e ordinata struttura divina e sulle carte bisognò fare spazio a un altro continente. Solo che, prima e poi, non è stato mai stabilito un serio motivato confine preciso tra Europa e Asia e a un certo punto si sono dovuti pure aggiungere altri continenti, almeno un quinto. Lo stesso confine tra Europa e Africa è stato collocato sia nel Mediterraneo che nel Sahara. In termini di connessioni, il bacino mediterraneo (come altrove pure ogni fiume) favorisce da sempre le relazioni tra specie e culture umane, tra i popoli che si affacciano sulle sue varie coste. Le distinzioni sono più culturali che geografiche o climatiche o geologiche e le (spesso distorte) rappresentazioni cartografiche hanno teso a rispecchiare e modellare il dominio e il controllo esercitato dagli imperi europei sul mondo, soprattutto a partire dal XVI secolo. Eppure lo schema continentale resiste ancor oggi, come costrutto politico. E come altri miti della geografia, che allora è proprio ora di sfatare, se vogliamo vivere tutti un pochino meglio.

Continenti e confini

Il giovane esperto geografo Paul Richardson insegna adessog umana presso l’università di Birmingham, dopo varie esperienze di docenza all’estero (in vari “continenti”). I miti non contengono solo errori o bugie (da cui titoli e sottotitoli, inglese e italiano), appartengono per definizione al regno del soprannaturale e alla sfera spirituale e restano più vivi che mai quando si tratta di spiegare l’ordine delle cose (nostre). In questo ottimo colto volume, lo scienziato ripercorre geografie immaginate (e relative “storie”) che ciascuno di noi si porta dentro, spiegazioni del mondo che lo rispecchiano non come è in realtà ma solo per come ce lo raffiguriamo. Ogni capitolo rovescia alcuni assunti che spesso consideriamo certi e incrollabili, il primo quello dei continenti. Gli altri miti sono: i confini (e i muri, come il Vallo di Adriano o la Grande Muraglia cinese), le nazioni (“caleidoscopio di migrazioni passate e presenti, mix di culture, conflitti e colonizzazioni”), la sovranità, la misurazione della crescita, le ragioni dell’espansionismo russo, la Nuova Via della Seta, l’Africa da salvare. 

L’obiettivo unitario è sfatare il determinismo ambientale, secondo cui il clima e l’ambiente “determinano” l’intelligenza umana e lo sviluppo della società. Nelle mappe e negli atlanti su cui da sempre studiamo a scuola non vi è nulla di accurato e ineluttabile. Se questi miti della geografia vengono riconosciuti per quel che sono (questa è la speranza, questo il tentativo), seduttivi però né naturali né innati, potremo forse riuscire a sfruttare il potere della nostra immaginazione per plasmare mondi nuovi e migliori. Ironia della sorte, mentre invenzioni come i continenti o il concetto di sovranità vengono a malapena messe in discussione, c’è chi presenta come “miti” le emergenze reali che stiamo affrontando: malgrado ci siano innumerevoli prove che il cambiamento climatico indotto e accelerato dai sapiens e la perdita di biodiversità, se non gestiti, porteranno le civiltà e il mondo sull’orlo del baratro, c’è ancora chi ha il coraggio di negarli. Pertinenti i riferimenti alla mobilità e alle migrazioni, ancor più da sottolineare come fenomeni diacronici e asimmetrici. Dopo le conclusioni, troviamo le note accurate, una ricca bibliografia, l’elenco delle (poche) illustrazioni, un discreto indice dei nomi e dei luoghi. Da leggere. Presto.

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